Io difendo i giornalisti di oggi
di Gian Paolo Ormezzano
Mi chiedo, mi chiedono, ci chiediamo, dovremo chiederci se il giornalismo ciclistico funziona così com’è, o dovrebbe essere oggetto di varianti, epocali o contingenti. Parlo del giornalismo scritto, quello che ho il dovere di conoscere almeno un poco. Per quel che concerne il giornalismo radiotelevisivo posso mettere avanti la mia incompetenza, per non infognarmi in una discussione difficile. Vagamente, posso dire che lo ritengo assai perfettibile, come d’altronde ogni cosa a questo mondo. Casomai un giorno, forte di un ulteriore supplemento di età che spero possa significare immunità, proverò a mettere giù nero su bianco una mia idea di giornalismo radio e televisivo. Non so se lo farò direttamente da un manicomio-prigione o se in un manicomio-prigione mi metteranno subito dopo.
Il giornalismo scritto, dunque. Negli ultimi vent’anni ci siamo trovati di fronte a frasi di questo tipo: è superatissimo, perché insiste a fare della cronaca di corse che la televisione racconta già, e come nessun giornalista potrà mai fare per iscritto; bisognerebbe avere il coraggio di tornare alla cronaca, e se non della corsa in senso stretto, del contorno, che la televisione non può coprire; niente da fare, il giornalista dovrebbe scrivere articoli che siano il completamento, la spiegazione della televisione, cioè di cosa i suoi lettori hanno già visto ricavando la curiosità di saperne di più; ormai il giornalista deve limitarsi ai commenti, al suo punto di vista su vicende delle quali chi si mette a leggere i giornali sa già tutto; macché commento, il giornalista non ha nessuna autorità per farlo, deve casomai raccogliere i pareri dei protagonisti, in interviste che vadano al di là delle banali dichiarazioni televisive...
Potrei andare avanti sino a riempire tutte le pagine di questo giornale. Meglio chiudere con un’antologia di frasi fatte, rifatte e sfatte: bisognerebbe essere un Hemingway per farsi leggere da viziatissimi telespettatori; i giornalisti-cantori di una volta erano ingenui e magari anche sgrammaticati però sapevano trasmettere il loro amore per la bicicletta; i giornalisti giovani sono troppo attratti dal calcio e dalle sue morbide trasferte; nelle redazioni si stenta a trovare un giovane che sia entusiasta di fare il Giro d’Italia; è pieno di giovani che non aspettano altro che di fare giornalismo sul Giro d’Italia; bisogna riportare al Giro d’Italia gli scrittori veri magari anche i poeti; bastano ordine d’arrivo, classifica generale e comunicati dell’antidoping, altro che nuovo o vecchio giornalismo...
Passo adesso alle mie impressioni di giornalista che va verso il mezzo secolo di pratica e che ha superato i quarant’anni di pratica decisamente ciclistica. Dunque:
in linea di massima tutti, dico tutti i giornalisti ciclistici di adesso scrivono meglio, come grammatica & sintassi, di quelli di una volta;
∑ in linea di massima è cresciuta la competenza, che adesso è tecnica & scientifica;
∏ l’esperienza viene fatta in fretta, su calendari ciclistici pieni e con abbondanza, se non sempre di personaggi, almeno di motivi anche turistici, etnici, geografici, sociologici;
π i giornalisti ciclistici di adesso conoscono quasi tutti un po’ di inglese, mentre quelli di una volta non uscivano dal francese: e conoscere un po’ di inglese significa, automaticamente, conoscere un altro po’ di mondo, anche mondo dello sport;
Œ i giornalisti ciclistici di adesso tifano per il ciclismo, non per i ciclisti, ancora più dei loro nonni: e sono affinati, irrobustiti dalla lotta redazionale contro il calcio invadente, gaglioffamente dominante;
œ i giornalisti ciclistici se la cavano in genere onestamente bene di fronte a radio e televisione, mentre sino alla fine degli anni sessanta i loro padri di mestiere, di lavoro intendevano radio e soprattutto televisione come vetrine per farsi belli, per mettersi in mostra, con straordinari effetti comici, su tutti la questua per una apparizione al Processo alla tappa di Sergio Zavoli;
º varie ed eventuali, tutte comunque in positivo.
Va da sé che, alla luce di quanto ho scritto sinora, non esiste, giudicando dal mio piccolo, crisi di valori, di identità, di comportamento nel giornalismo ciclistico attuale. Se il ciclismo pena a trovare spazi, che non siano soltanto quelli degli scandali o delle grandi facili imprese, nel giornalismo sportivo, sia parlando di quotidiani politici sia parlando di quotidiani sportivi (in pieno Giro d’Italia, una notizia di mercato calcistico si sovrappone facilmente, anche sul giornale organizzatore, ad una tappa senza squilli, di peraltro poetica onesta routine), è perché il giornalismo di oggi è un giornalismo di grandi città, per lettori di grandi città, quelli che sbuffano in auto quando c’è un infartino del traffico per ragioni ciclistiche. Eppure l’Italia è anche e soprattutto un bel paese (paesino, paesone, cittadina). Stesso stacco che esiste fra il paese reale e quello dei giornali: che infatti sono in crisi.
Gian Paolo Ormezzano, torinese, editorialista de “La Stampa”
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