Rapporti&Relazioni
Addio a Goddet, addio ai giornalisti-cantori
di Gian Paolo Ormezzano

In morte di Jacques Goddet ci sono state alcune commemorazioni preziose, anche in Italia, relative all’importanza che il giornalista ha avuto nella diffusione del Tour de France, alla cui confezione suo padre e poi anche suo fratello avevano dato una buona mano, collaborando con Desgrange: tutti giornalisti. Anche il Giro d’Italia ha avuto una matrice giornalistica, come bene o male si sa. Anche la Mille Miglia la ebbe. E tornando a Goddet, fu in larga parte creatura e poi creazione sua la Coppa del Mondo di calcio. Erano i tempi in cui i giornalisti non andavano dai Biscardi, ma palesavano il loro amore per lo sport in idee e non in urli, in lavoro creativo e non in comizi, in spunti concorrenziali e non in battibecchi. I giornalisti erano cantori, specialmente nel ciclismo, ma anche cantori assai pratici, che cantavano sì le loro creature, però le facevano crescere pingui e redditizie. Le amavano come un po’ si finisce per amare il bovino che pure è destinato all’ingrasso ed al mercato.

I giornalisti-cantori hanno comunque fatto molto per lo sport. Sono stati, di certi eventi, inventori, organizzatori, agenti pubblicitari, difensori, propagatori. Normale che non siano stati anche molto versati nello scrivere degli eventi: un po’ l’impaccio di parlare delle loro creature, un po’ il poco tempo dedicabile alla cultura ed al perfezionamento della scrittura, visto tutto il resto che avevano da fare, un po’ l’atteggiamento paternalistico, che li portava ad usare un linguaggio magari efficace, ma tanto, tanto elementare.
Goddet, però, sapeva anche scrivere bene: di qui la sua grandezza speciale, la sua diversità nei riguardi di tanti suoi colleghi cantori. Era un fiorettista della penna, aveva un certo umorismo, praticava l’understatement. C’erano suoi articoli che sembravano tradotti in francese dall’inglese. Sapeva criticare con estrema correttezza, sapeva colpire senza eccessivo sciorinio di aggressività.
Importantissimo: non andava quasi mai in televisione.

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Supponiamo che adesso rinasca uno come Goddet, come Desgrange: con una grande idea sportiva in mente, e magari anche un organo editoriale, mediatico per diffonderla. Cosa farebbe?
Per prima cosa, non farebbe il giornalista. Nel senso almeno che non farebbe la cosa più fisiologica per un giornalista, cioè scrivere, nella fattispecie scrivere dell’idea, del progetto.
Poi contatterebbe una qualche emittente televisiva, con tutte le cautele anche giuridiche del caso, per cercare di avere un appoggio, una garanzia, conservando i diritti sull’idea. Sempre senza scrivere niente.

Ad accordi perfezionati, a contratti firmati, scriverebbe qualcosa. Ma soprattutto sceglierebbe con cura il mezzo televisivo al quale affidare l’annuncio, la rivelazione della cosa nuova. Poi farebbe il cosiddetto lancio, senza nulla lasciare al senso di avventura, ma annunciando già tutti i dettagli organizzativi, proclamando la sicurezza assoluta nel futuro più luminoso e più ricco.
Forse è per tutto questo cumulo di cose da fare intorno all’idea che non vengono più le idee. Forse. Interpretazioni, spiegazioni assai benevole, assai buone verso la fauna giornalistica attuale, della quale peraltro facciamo parte.

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Ma forse la domanda deve essere allargata. È ancora possibile, ad un giornalista sportivo di oggi, inventare qualcosa? C’è posto nel suo cervello e nel suo cuore per una attività di questo tipo? Non ha troppe altre cose, e immediatamente redditizie, da fare subito, troppo sport da seguire, troppi viaggi da affrontare? Può ancora fantasticare su una creazione e sui suoi sviluppi, senza invece affidarsi subito ad uno studio programmatico di un’agenzia specializzata, senza passare la sua idea a qualche ente che dia garanzie di efficienza materiale, di solidità economica per mandarla avanti?

Il giornalista-cantore può ancora esistere, ma sicuramente deve essere un cantore di fatti esistenti al di fuori di lui, un poeta con rime altrui. Non c’è assolutamente più spazio e modo per creare e cantare ed avere successo nello stesso tempo. E poi c’è la certezza che anche la più grande idea umana del mondo, in materia di sport e non solo, è destinata in partenza a venire sconfitta dallo stesso embrione di idea elaborato però da un computer. Goddet ha smesso di lavorare nel giornalismo quando ha capito la superiorità della televisione e del computer sulla poesia. Grande anche in questa uscita a tempo giusto.

Gian Paolo Ormezzano, torinese, editorialista de “La Stampa”
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