Quaranta chilometri di indifferenza
di Gian Paolo Ormezzano
Abbiamo fatto un sogno: che questo inverno pieno di dubbi, di problemi, di paure, venga usato dalla Federazione e da tutto il mondo del ciclismo per indire una sorta di stati generali, dove si parli eccome della situazione, appunto generale, dello sport della bicicletta, almeno in Italia: per non andare contro ad un altro anno di semiclandestinità, in cui si affidi un po’ tutto al Giro d’Italia che fra l’altro non è più d’Italia, con tutta l’Europa che ingloba nel proprio tracciato, e che sta provando l’orgasmo massimo e intanto un po’ provinciale legato alla possibilità di avere alla partenza Lance Armstrong, cioè di essere vinto da un americano.
Passare un altro inverno di letargo da marmotta, pretendendo di restare in vita perché si consuma il grasso che non c’è più, è molto semplicemente pazzesco, suicida. Il ciclismo ha il bisogno di un rilancio assoluto ed ha il dovere di tentarlo. Ha bisogno di uno studio sulla sua potenzialità pubblicitaria, ha bisogno di un sondaggio su se stesso fra la gente di città, ha bisogno di un chiarimento al CONI, ha bisogno di affidarsi al WWF dello sport perché la specie del ciclista non venga massacrata dai predatori del calcio, ha bisogno di ritrovare le radici ma al tempo stesso di reperire altri sistemi di alimentazione, di nutrimento, sistemi moderni e antichi, e se non si trovano pazienza, almeno si sa di cosa si muore.
Ha bisogno anche di una fortissima iniezione di fantasia: possibile che il ciclismo, che letterariamente, umanisticamente, poeticamente, aristicamente non deve temere niente, sul piano concorrenziale, da nessun altro sport, non riesca a crearsi o ricrearsi una base intellettuale per far valere questo suo primato? Ci sono varie possibilità di farlo: pensiamo, così al volo, ad un concorso letterario legato ad esempio al Giro d’Italia, con mobilitazione di firme note e no. Pensiamo ad una giornata anticalcio nel cuore dello stesso Giro (prendere informazioni e cercare appoggi pratici presso lo schermitore Paolo Milanoli, campione del mondo), invece di cercare, nel percorso del Giro, patetici agganci con il calcio, agganci in cui il ciclismo fa regolarmente la parte del questuante.
Se si deve decadere, per ragioni storiche ed economiche e pincopalliniche, che lo si faccia con dignità e reazione, si dibattono persino le anguille, per sfuggire al sacrificio di Natale.
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Facciamo un esempio pratico: nei giorni della battaglia di Kabul, una battaglia-sprint per usare la nostra terminologia, è apparsa e scomparsa, con la rapidità felpata di certi gatti in certi salotti, una notizia, detta da alcuni giornali radio nella sezione sportiva, e per quel che ci risulta non ripresa altrove: il primo empito sportivo del nuovo Afghanistan è stato dovuto al ciclismo, perché una ventina di pedalatori afghani hanno organizzato, ripresa la libertà di sport, persino di divertimento, una sorta di corsa. Quaranta chilometri su una strada che dalla capitale va verso il Nord, quaranta chilometri su una strada dissestata, «bucata» dai mortai, quaranta commoventi storici chilometri di ripresa di vita.
Quanti, nel mondo del ciclismo, sono stati messi in grado di recepire la notizia? Quanti hanno pensato alla straordinaria valenza della notizia stessa, al privilegio di averla, con il proprio sport, generata? Quanti hanno dato spazio ad essa, al di là si capisce di queste povere righe che state leggendo? Quanti nel mondo del ciclismo sono ancora capaci di pensare all'occasione perduta, a come il mondo del calcio avrebbe sfruttato una simile omologa notizia che riguardasse la sua attività?
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Altro esempio pratico, però appiccicato al futuro, non al passato. Il Giro d’Italia televisivo verrà probabilmente affidato alla coppia, peraltro molto valida, formata da Bulbarelli e da Cassani, purtroppo senza nessuna partecipazione di De Zan. Ma davvero si pensa che si possa andare avanti, nel senso di stare fermi, cioè continuare ad avere un posto nella vetrina del grande sport, con le consuete telecronache, più o meno supportate da iniziative assortite, processi e cose simili?
Secondo noi bisogna mandare in onda un nuovo Giro, e nel corpo stesso della telecronaca della corsa; parlare di una chiesa, di un monumento, ma quando la corsa gli passa di fianco, non in noiosi servizi collaterali, sistemati poi in orari impossibili. Fare dell’enogastronomia viva, sul posto, nel momento stesso, magari grazie al telecronista in moto che si fa confezionare un panino. Chiosando panorami, situazioni, ma direttamene, nel vivo della corsa. Insomma, affiancando ai due telecronisti canonici qualcosa e qualcuno di più, di diverso.
Non se ne farà nulla. Perché il ciclismo è sport che non vive di trovatine, che sta nei cuori della gente e che non vuole fermarsi agli occhi di essa. Vero, per carità. Ma allora si abbia il coraggio pieno della diversità e intanto della forza dei sentimenti e dell’umiltà della loro frequentazione. Si porti in giro un poeta, a contarli ed a cantarli, questi sentimenti. E pazienza se questo poeta è senza sponsor.
Gian Paolo Ormezzano, torinese, editorialista de “La Stampa”
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