Il tempo cambia anche per il ciclismo
di Gian Paolo Ormezzano
Siccome non ci sono più le mezze stagioni, il ciclismo deve avere il coraggio di cambiare il suo calendario. Se si pensa al bordello di proteste, richieste di interruzioni, martirologio assortito che il calcio ha messo avanti per qualche campo ghiacciato, il ciclismo è, come sempre, colpevole di immobilismo. Questa volta immobilismo meteorologico, come di chi sta fermo sotto la pioggia e si lascia bagnare tutto.
Ha ancora senso parlare di ciclismo di primavera, di ciclismo d’estate, di ciclismo d’autunno? E non è forse il caso di cominciare a parlare di ciclismo d’inverno, anche se non si vive nell’altro emisfero?
Hanno ancora senso le date classiche di Giro d’Italia e Tour de France, per non dire di quelle, ormai lasciate alle spalle, di apertura della stagione? Come saranno, come staranno a neve le vette alpine nel prossimo maggio, fra l’altro con conclusione del Giro anticipata onde ridurre al minimo la sovrapposizione con i giorni sacri della Coppa del Mondo di calcio? Come sarà la Classicissima d’autunno, il Giro di Lombardia che magari si correrà sotto la neve, oppure vivrà straordinarie ore di sole asfissiante? E come sarà il Midi o il Nord del Tour, come saranno di clima i Pirenei e le Alpi?
Sta cambiando tutto, anzi tutto è cambiato ma ce ne rendiamo conto a gradi. Il ciclismo rischia di essere psicologicamente impreparato di fronte a brutte giornate che non si aspetta perché fuori dal solito copione, estranee alle classiche scadenze. O rischia di offrire blande corse in giornate di clima delizioso quando la gente si attende l’epopea della sofferenza nel clima ostile. Il ciclismo non può permettersi come il calcio di baloccarsi con una nevicata, una gelata, e di essere comunque preso sul serio, con i suoi giocatori subito additati come eroi, martiri, vittime gloriose.
Bisogna indire un convegno sulla sparizione delle mezze stagioni e sulla linea di difesa che il ciclismo deve adottare. Un convegno non si sa se all’aperto o al coperto, dipende dal tempo che fa.
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Sarà l’effetto 11 settembre, sarà la carenza di denaro, ma il ciclismo ha consumato ormai tutto l’inverno e tanta primavera senza frequentare come nel recente ma subito intenso passato località esotiche, senza concedersi troppe avventure alla ricerca del sole. La novità se vogliamo è l’Australia, che tutto il nostro sport ha avvicinato grazie ai Giochi di Sydney 2000, ma non c’è stata autentica transumanza, come pure sembrava scritto che dovesse esserci.
Forse anche la voglia, nata e subito repressa, di esotico è alla base della vistosa proposta giornalistica del mistero della morte di Fausto Coppi. La nazione nel cuore dell’Africa, il missionario, l’erba misteriosa. Anche chi non ci ha creduto ha letto, ha cercato di ricordare o di far ricordare, ha parlato, ha discusso.
E dire che Coppi era così riservato, speciale, coinvolgente, che anche quando d’inverno si spostava da Novi Ligure a Varazze pareva che facesse un tuffo nell’esotico.
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Aspettiamo anche il caro vecchio ciclismo alla prova dell’euro. Quanto ci vorrà perché si pensi in euro anche nel ciclismo, perché un traguardo a premio con un oggetto per chi passa per primo venga dal pensiero subito monetizzato in euro? La prova del ciclismo secondo noi è vitale per l’euro. È la cartina al tornasole. Il ciclismo è sport povero, nonostante tutto, e la traduzione in lire di ogni pedalata è diventata e rimasta una sorta di regola per sopravvivere, nel senso di dare alla fatica una consistenza materiale, ad un certo punto superiore alla valenza morale.
Pensare in euro, senza passare attraverso il pensare in dollari. E a proposito, adesso che trecento milioni di persone si sono date la stessa moneta, e sono persone dei paesi che da soli fanno vivere diciamo gli otto decimi del ciclismo, non sarà il caso che la federazione internazionale rivede la sua unità di misura per premi, appalti, multe, cioè il franco svizzero?
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Un’idea di nuova sponsorizzazione ciclistica: il bingo sposato alle due ruote. È un gioco popolare, costa poco, è anche per famiglie, è semplice, è generoso sia pure su basse cifre. E poi in fondo porta un secondo nome che al ciclismo ricorda l’azzardo e la caduta insieme: tombola.
Gian Paolo Ormezzano, torinese, editorialista de “La Stampa”
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