Cerchiamo il Pippo Baudo del ciclismo
di Gian Paolo Ormezzano
È uscito anche in Italia, in italiano, «Massacro alla catena» (Bradipolibri Torino), il libro di Willy Voet che, massaggiatore belga alla Festina, quando fu arrestato con la sua auto piena di prodotti dopanti diede in pratica il via alla campagna di Francia che colpì tanti ciclisti, su tutti Virenque, e che fu all’origine, se vogliamo, della stessa legge antidoping italiana. Voet si rivela scrittore efficacissimo anche e soprattutto nella descrizione di commissariati, carceri, poliziotti, interrogatori. Diciamo pure che il doping trova in questo libro una sorta di letteratura, anche se di genere minore.
I fatti sono del 1998, ma come suol dirsi «tengono» ancora, per una sorta di continua diabolica attualizzazione. I personaggi conservano la loro attualità, hanno sbalzo, come si dice di certi altorilievi. Le illustrazioni non paiono datate, certe liste sembrano compilate ieri.
In fondo in questi anni c’è stata, per il trasferimento anche a casa nostra di certi problemacci, e per il nascere anche da noi di una legislazione di Stato, con tanto di inchieste ed interventi della magistratura ordinaria, una specie di traduzione in italiano del problema doping-ciclismo. E la traduzione del libro è un aspetto di ciò. Bel libro, nel senso di buona scrittura di cose bruttissime ma interessantissime per 140 pagine, l’editore è Bradipo, sono 14 euro e mezzo bene spesi. In chiave di informazione ma anche di espiazione.
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Il sogno è quello di spalancare al ciclismo le prime pagine dei giornali sportivi, e le pagine sportive dei giornali politici, anche e soprattutto adesso che si piomba in piena orgia calcistica premondiale. Non è facile, non bastano neppure le gare, ci vorrebbe un campione sensazionale, e non è detto che servirebbe in pieno. Però bisognerebbe che tutto il mondo del ciclismo, insieme, studiasse qualcosa di profondamente teatrale, di forte, di sacro, e naturalmente di televisivo per trovare spazio, per opporsi al calcio.
Non sappiamo cosa, sappiamo che si dovrebbe fare qualcosa. Sennò si perde, specie in Italia, altro terreno, che non si riconquista più.
Ci vorrebbe un Pippo Baudo per ripresentare la bicicletta, come ha ripresentato Sanremo. Una Raffaella Carrà per miracolarla. La trovata delle trovate per il Giro d’Italia.
Non si farà nulla. E a proposito, speriamo che anche se non più da direttore della «rosea» Candido Cannavò, che del ciclismo è grande amico, continui a parlare del mondo della bicicletta. Questo non è un augurio che facciamo a lui, alla sua presenza comunque sulla scena giornalistica. È un augurio che facciamo a noi.
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Una idea potrebbe essere quella delle donne in gara al Giro d’Italia, ecco. Ma non con una loro corsa, no. Nella corsa degli uomini. E con qualche «letterina», qualche «velina», qualche «schedina» fra di esse.
Vogliamo o no accorgerci che il ciclismo è rimasto forse l’unico sport che fa a meno della spezia sessuale? Che non ha atletesse che si spogliano, si calendarizzano? Che continua a masticare l’antico chewing-gum dell’adulterio fra Coppi e la Dama Bianca, per darsi qualche brivido proibito? Che è patetico per culto della serietà, della moralità, intanto che pecca e strapecca di doping?
Siamo cattivi, duri. E realisti. Ci vuole uno streaking (nudismo con corsa, meglio se nudismo di donna) in qualche tappa, altro che il solito ansimante diavolo che fa la corsetta a fianco dei corridori.
Però attenzione: a noi va benissimo il ciclismo classico, e pazienza se si rattrappisce, però rimanendo se stesso. Il fatto è che come giornalisti siamo continuamente accusati di fare poco per lo sport beneamato, di essere cultori dell'immobilismo. E allora avanti con la volgarità, perlomeno dicendo esplicitamente che la si pratica.
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Importante: si girano film pornografici sul mondo del calcio, dei festival di fitness e di aerobica, dei gran premi automobilistici, del baseball, del basket... Non del ciclismo, mai. Anche qui bisogna scegliere: o si decide di rimpicciolire, o ci si deve gonfiare anche così, spingendo e se del caso sovvenzionando certe iniziative. Molto bene fece nel passato al ciclismo il film «Totò al Giro d’Italia», adesso potrebbe essere «Rocco Siffredi al Tour».
Insomma, a museali o maiali. Non è un gioco di parole.
Gian Paolo Ormezzano, torinese, editorialista de “La Stampa”
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