Dato per postulato che tanto sport di vetrina ormai è il posto ottimale (ma si dovrebbe dire pessimale) per violare o ignorare i comandamenti, cioè quelle dieci regolette che possono ancora in qualche modo rappresentare la morale corrente, auspicabile, giochiamo al gioco di vedere dove e come il ciclismo (per molti ormai sport “out”) li rispetta ancora e dove e come il calcio (leader in Italia degli sport “in”) non li rispetta più. Per certificare una diversità, non per stabilire una graduatoria. L’occasione è anche utile per il ripasso dei dieci comandamenti stessi, il che a priori e forse anche a posteriori non è un male. A proposito: i dieci comandamenti appartengono alla nostra religione, altre religioni hanno e predicano altre formulazioni del peccato, del non peccare. Ma pensiamo che grosso modo i dieci punti praticati o auspicati dalla nostra religione siano adattabili anche ad altre situazioni morali di altri paesi, per non dire di tutti i paesi.
Primo comandamento, “non avrai altro Dio all’infuori di me”. Lo sport produce dei, divinità, totem, simulacri. Lo sport è profondamente pagano. E ormai gridare ad un campione che è un dio non è un modo di dire, è una certificazione. Da questo punto di vista il calcio produce divinità in continuazione, assolute o - dio dell’attacco, dio della difesa, anche dio del centrocampo - settoriali. Nel ciclismo neppure il Campionissimo dei Campionissimi è accostato ad una divinità. Anzi, lo si vuole molto terreno, nostro fratello di fatica, nostro vicino di casa senza poteri speciali, senza armi miracolistiche.
Secondo comandamento, “non nominare il nome di Dio invano”. Diciamo pure che nel ciclismo si sta peggio che nel calcio. I ciclisti sono spesso bestemmiatori, e non deve bastare l’alibi della fatica ferina, bestiale. Nel calcio la bestemmia, quando intesa e capita e provata, può venire punita anche severamente.
Terzo, “ricordati di santificare le feste”. Le gare in linea del ciclismo da qualche tempo non riguardano più la domenica. Ma è stato un obbligo imposto dalla crescente motorizzazione, non una scelta etica. Il calcio è orgiastico di impegni anche la domenica: ideale alibi per non santificare la festa, per addirittura ignorarla del tutto. La Pasqua del ciclismo al Nord ha invece un che di sacro. Più irrituale il calcio.
Quarto, “onora il padre e la madre”. Più trasgressione nel calcio, il ciclismo è paesano, contadino, anche mammone. Ma tutto sommato non esiste una forte violazione in uno dei due sport.
Quinto, “non ammazzare”. Inteso come condanna della violenza fisica, è un comandamento che il calcio elude, aggira, infrange. Ci sono molti calciatori che vogliono far del male al rivale, ci sono pochissimi ciclisti che coltivano e concretizzano questa intenzione.
Sesto, “non commettere atti impuri”. Il ciclismo (come il ciclista) è quasi tenero per scarsa pratica del sesso libero, per povertà di sex appeal. Il calcio è una perversa discoteca a cielo anche aperto.
Settimo, “non rubare”. Si cerca sempre e dovunque di arraffare la vittoria con quasi ogni mezzo. Il calcio ha in più la corruzione pessima e abbondante, un impianto di corruzione, una organizzazione di corruzione. Con la partecipazione dei calciatori. Nel ciclismo si compra un traguardo, la contrattazione spesso è aperta, a parità di truffa morale non c’è anche truffa pratica della collettività che “ci crede”.
Ottavo, “non dire falsa testimonianza”. Quasi tutti gli atleti sono bugiardi, diciamo che i calciatori lo sono di più per la grande quantità di occasioni che la dinamica del loro sport concede.
Nono, “non desiderare la roba d’altri”. Pochi resistono alla voglia di possedere la ricchezza altrui, indipendentemente dalla quantità della propria. Chi è più ricco, comunque, vive di più questa voglia (e magari proprio perché la ospita e la asseconda da sempre è diventato ricco). Il ciclista mediamente è assai meno ricco del calciatore. Dunque…
Decimo, “non desiderare la donna d’altri”. Diciamo pure che, se non altro per maggior qualità e quantità di opportunità, il calciatore desidera tante, tantissime donne di altri, e riesce pure a conquistarle. Il ciclista meno, assai meno. Purtroppo per lui, può dire qualcuno.
Fate voi i conti. Ricordiamo che, in un celeberrimo film di Mel Brooks, Mosè saliva sul monte Sinai dove riceveva da Dio tre tavole di pietra con incisi i comandamenti, scendeva tra il popolo in attesa, diceva “ecco a voi i quindici…”, e però mentre così parlava una tavola gli scivolava dalle braccia e andava in mille pezzi, e lui allora si correggeva: “Ecco a voi i dieci comandamenti”.
A questo punto la discussione è aperta, se qualcuno ci fa l’onore di impegnarsi sul tema. Legittima anche la tesi che ormai i dieci comandamenti sono superati, alla luce di qualche nuova morale di presa sicura presso chi trova zavorranti le due tavole rimaste quel giorno intatte. Per finire, se qualcuno arrivando sin qui è arrivato anche a pensare che chi scrive ritiene il ciclismo uno sport, tutto sommato, assai più buono del calcio, gli diciamo non che ha capito tutto, ma che senz’altro ha capito noi, insomma ci siamo capiti.
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