Rapporti&Relazioni
I dieci comandamenti

di Gian Paolo Ormezzano

Dato per postulato che tan­to sport di vetrina or­mai è il posto ottimale (ma si do­vrebbe dire pessimale) per violare o ignorare i comandamenti, cioè quelle dieci regolette che possono ancora in qualche modo rappresentare la morale corrente, auspicabile, giochiamo al gioco di vedere do­ve e come il ciclismo (per mol­ti ormai sport “out”) li rispetta ancora e dove e come il calcio (leader in Italia degli sport “in”) non li rispetta più. Per cer­ti­ficare una di­versità, non per stabilire una gra­duatoria. L’occa­sione è anche utile per il ripasso dei dieci co­mandamenti stessi, il che a priori e forse anche a po­steriori non è un male. A proposito: i dieci comandamenti ap­partengono alla nostra religione, altre religioni hanno e predicano altre formulazioni del peccato, del non peccare. Ma pensiamo che grosso modo i dieci pun­ti praticati o auspicati dalla no­stra religione siano adattabili an­che ad altre situazioni morali di altri paesi, per non dire di tutti i paesi.

Primo comandamento, “non avrai altro Dio all’infuori di me”. Lo sport produce dei, divinità, totem, simulacri. Lo sport è profondamente pagano. E or­mai gridare ad un campione che è un dio non è un modo di dire, è una certificazione. Da questo pun­to di vista il calcio produce divinità in continuazione, assolute o - dio dell’attacco, dio della difesa, an­che dio del centrocampo - settoriali. Nel ciclismo neppure il Cam­pio­nis­simo dei Campionissimi è accostato ad una divinità. Anzi, lo si vuole molto terreno, nostro fratello di fatica, nostro vicino di casa senza poteri speciali, senza armi miracolistiche.
Secondo comandamento, “non no­minare il nome di Dio invano”. Di­ciamo pure che nel ciclismo si sta peggio che nel calcio. I ciclisti so­no spesso bestemmiatori, e non de­ve bastare l’alibi della fatica ferina, bestiale. Nel calcio la be­stemmia, quando intesa e capita e provata, può venire punita anche se­veramente.
Terzo, “ricordati di santificare le feste”. Le gare in linea del ciclismo da qualche tempo non riguardano più la domenica. Ma è stato un ob­bligo imposto dalla crescente mo­torizzazione, non una scelta etica. Il calcio è orgiastico di impegni an­­che la domenica: ideale alibi per non santificare la festa, per addirittura ignorarla del tutto. La Pasqua del ciclismo al Nord ha invece un che di sacro. Più irrituale il calcio.
Quarto, “onora il padre e la ma­dre”. Più trasgressione nel calcio, il ciclismo è paesano, con­tadino, an­che mammone. Ma tutto sommato non esiste una forte violazione in uno dei due sport.
Quinto, “non ammazzare”. Inteso come condanna della violenza fisica, è un comandamento che il calcio elude, aggira, infrange. Ci sono molti calciatori che vogliono far del male al rivale, ci sono pochissimi ciclisti che coltivano e concretizzano questa intenzione.
Sesto, “non commettere atti impuri”. Il ciclismo (come il ciclista) è quasi tenero per scarsa pratica del sesso libero, per povertà di sex ap­peal. Il calcio è una perversa di­sco­teca a cielo anche aperto.
Settimo, “non rubare”. Si cerca sem­pre e dovunque di arraffare la vittoria con quasi ogni mezzo. Il calcio ha in più la corruzione pessima e abbondante, un impianto di corruzione, una organizzazione di corruzione. Con la partecipazione dei calciatori. Nel ciclismo si compra un traguardo, la contrattazione spesso è aperta, a parità di truffa morale non c’è anche truffa pratica della collettività che “ci crede”.
Ottavo, “non dire falsa testimonianza”. Quasi tutti gli atleti sono bugiardi, diciamo che i calciatori lo sono di più per la grande quantità di occasioni che la dinamica del loro sport concede.
Nono, “non desiderare la roba d’altri”. Pochi resistono alla voglia di possedere la ricchezza altrui, indipendentemente dalla quantità del­la propria. Chi è più ricco, comunque, vive di più questa voglia (e magari proprio perché la ospita e la asseconda da sempre è diventato ricco). Il ciclista mediamente è assai meno ricco del calciatore. Dun­que…
Decimo, “non desiderare la don­na d’altri”. Diciamo pure che, se non altro per maggior qualità e quantità di opportunità, il calciatore desidera tante, tantissime donne di altri, e riesce pure a conquistarle. Il ciclista meno, assai meno. Pur­troppo per lui, può dire qualcuno.

Fate voi i conti. Ricor­dia­mo che, in un celeberrimo film di Mel Brooks, Mosè saliva sul monte Sinai dove riceveva da Dio tre tavole di pietra con incisi i comandamenti, scendeva tra il po­polo in attesa, diceva “ecco a voi i quindici…”, e però mentre così par­lava una tavola gli scivolava dalle braccia e andava in mille pez­zi, e lui allora si correggeva: “Ecco a voi i dieci comandamenti”.

A questo punto la discussione è aperta, se qualcuno ci fa l’onore di impegnarsi sul tema. Legittima anche la tesi che ormai i dieci comandamenti sono superati, alla luce di qualche nuo­va morale di presa sicura presso chi trova zavorranti le due tavole rimaste quel giorno intatte. Per finire, se qualcuno arrivando sin qui è arrivato anche a pensare che chi scrive ritiene il ciclismo uno sport, tutto sommato, assai più buono del calcio, gli diciamo non che ha capito tutto, ma che senz’altro ha capito noi, insomma ci siamo capiti.
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