Rapporti&Relazioni
Defilippis, Coppi e una nuova sfida
di Gian Paolo Ormezzano

Il fatto meritava una immediata musealità: nel senso che doveva essere subito archiviato con tutti gli onori, esposto all’attenzione generale, presentato nel migliore dei modi per una incipiente devozione. Diciamo del monumento a Fausto Coppi inaugurato a giugno a Torino, nei giardini davanti al Motovelodromo: ma inaugurato, ecco il punto, esattamente nell’ora della dedizione ufficiale nazionale alla telecronaca diretta dell’incontro calcistico fra Italia e Croazia. La sfida è stata grossa, sono state chiamate a inaugurare, rinunciando al voyeurismo calcistico ufficiale del Bel Paese, il sindaco della città, il presidente della regione e la presidente della provincia. Tutti lì, con i loro assessori, lì con i grandi ciclisti del passato, Merckx e Stablinski, Magni e Geminiani, Motta e Bitossi, Zilioli e Balmamion, Gimondi e Messina, lì con bersaglieri dalle bici con le gomme piene, veterani dello sport e di tanti sport, lì con Boniperti per quel calcio che Coppi seguiva da tifoso del Grande Torino.

La concomitanza precisa con la partita cruciale del torneo mondiale di calcio non è stata cercata dal ciclismo come una sfida, ma neppure è stata evitata quando pure c’era ancora tempo di aggiustare i programmi e magari qualcuno sperava che l’orario venisse cambiato, pur non osando chiederlo esplicitamente. Tutti gli astanti sono rimasti per tutto il tempo della partita senza provare crisi di astinenza, spasmi da curiosità, senso di ghettizzazione. Tutti lì felici di essere nobilmente tristi, pensando a Coppi e al suo mondo che non c’è più.
Sono lontani i giorni in cui il ciclismo faceva premio di attenzioni popolari, di importanza sul calcio. Personalmente troviamo difficile raccontare e far credere che gli anni del ciclismo più «forte» del calcio sono relativamente vicini, occupano ancora i primi Sessanta. Presto neanche un giorno come quello del monumento di Coppi sarà raccontabile, credibile. Ma come?, vuoi farmi credere che non fu teleseguita la partita di calcio, che persone importanti andarono a tenere discorsi dove si diceva di robe di tanti, troppi anni prima, rinunciando a fare gli italioti da video? Ma come?, vuoi farmi credere che alla fine della cerimonia quei latitanti del telecalcio non furono tutti incarcerati, o almeno internati?


Tutta colpa di Nino Defilippis, da corridore detto il Cit, in piemontese il Piccolino, se c’è stata questa faccenda inquietante e incredibile del monumento. Defilippis nel 1995 ebbe l’idea, la partecipò ad un amico giornalista che ci fece subito un articolo, e poi cominciò a curare i dettagli: tipo trovare i soldi, tanti, sino ad un miliardo e duecento milioni di vecchie lire, e trovare l’artista per la scultura, e trovare le pietre delle montagne, perché l’idea primigenia, ed imprescindibile, era quella di creare alla base del monumento un specie di Europa ciclistica delle rocce, una foresta di pietre celebri, dell’Izoard e dello Stelvio, del Turchino e del Ghisallo, della Crespera e di Roubaix, del Puy de Dome e del Pordoi, del Gardena e del Vars, dell’Alpe d’Huez e del San Bernardo, della Bocchetta e del Bernina. Pietre certificate dai sindaci delle varie località, pietre dei grandi posti di Fausto.

Defilippis ha infognato nel terribile compito tre splendidi amici, che si chiamano Angelo Marello, Oscar Menegatti e Giancarlo Guazzone e sono stati suoi complici nella realizzazione del miracolo, ha lanciato la prima pietra e ha trovato tutte le pietre che cercava. Nino da ciclista era un balzano, gran talento ma poca organizzazione psicofisica, faceva spesso il mattoide, comunque ha vinto molto e qualcosa anche con e contro Coppi, che gli voleva bene. Defilppis è un personaggio forte, sodo, stupisce che la federazione non lo abbia inglobato seriamente per usarne la voglia, la competenza, le idee. La volta che gli diedero la squadra nazionale fu subito il titolo mondiale 1973 a Barcellona, con Gimondi che vinse una volata in cui c’era pure Merckx, c’era pure Maertens. È un personaggio forte e scomodo, dice quello che pensa e anche quello che gli altri pensano ma non vogliono dire. Il monumento è un’impresa sensazionale, sia chiaro, e Nino ha dato molto al ciclismo, dandogli quest’opera. Però la sfida al calcio è troppo simbolica, troppo emblematica perché ci si possa accontentare. Noi e lui.


Il monumento ovviamente è il più bello del mondo. Qualcuno ha fatto notare che il Fausto in bronzo che vince lassù, in cima alla spirale che circonda la montagna, alza le braccia al cielo, e che Coppi invece non toglieva mai le mani dal manubrio, neanche per celebrare la vittoria più grande. È vero, ma lassù chi vince non è soltanto Fausto, è il ciclista, è il campione dei campioni. Mettiamo che Giuseppe Tarantino, lo scultore, avesse rigidamente scolasticamente pensato ad un Fausto con le mani sul manubrio. Sapendo della sfida vinta al calcio di Italia-Croazia, anche Fausto, quel Fausto di bronzo, avrebbe alzato le braccia al cielo.

Gian Paolo Ormezzano, torinese, editorialista de “La Stampa”
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