Ho sempre pensato che il ciclismo non avrebbe mai potuto ripartire, voltando pagina, cambiando davvero, fino a quando si fosse portato dietro il terribile peccato originale dell’Operacion Puerto. Meglio: dell’odiosa e insopportabile ingiustizia seguita al fragoroso scandalo spagnolo.
Tutti, nel ciclismo, hanno fatto finta che bastasse buttare fuori un Basso e un Ullrich per eliminare le scorie e ripartire di slancio. In sostanza, tutti hanno pensato di scopare sbrigativamente la polvere sotto al tappeto, per fingere che il locale fosse ripulito. Ma non esiste possibilità di riscatto senza che prima sia applicata una giustizia vera, equa, giusta. Cioè senza che le regole siano applicate nello stesso modo ovunque e su chiunque. Così, sin dall’inizio, nell’Operacion Puerto non è stato: mentre alcuni Paesi ci andavano giù duri, altri, soprattutto il Paese teatro delle porcherie, ineffabilmente passavano oltre. Sotto gli occhi di un ambiente codardo, pusillanime, pilatesco.
Il risultato, in questi anni, l’abbiamo visto tutti. Alcuni distrutti, altri tranquillamente in giro a vincere corse. Ovvio che questo discorso mi serve per arrivare al punto di sempre, quello che sin dall’inizio non ho mai digerito: Valverde, meglio noto come “Valv-Piti”, sacca numero 18, corretta Epo. In tutti questi anni, mi sono sempre rifiutato di prendere sul serio il rinnovamento del ciclismo per il solo fatto che costui, il fenomeno di Spagna, era in gruppo senza alcun fastidio. Mi sembrava un orrore indicibile: Basso e Ullrich massacrati, lui che vince la Liegi-Bastogne-Liegi. Mezzo mondo sottosopra, e lui che veste la maglia gialla al Tour. Una vergogna. E tutto questo tra gli applausi della stampa mondiale, sotto gli sguardi ebeti delle squadre avversarie, nel silenzio e nell’ignavia generale. Com’è possibile, mi dicevo, che nessuno avverta una rabbia minima per una simile ingiustizia? Tutti a scaricare il barile su qualcun altro. Tocca alla federazione spagnola, no tocca alla giustizia spagnola, no tocca all’Uci, no tocca alla Wada. Ma era solo un modo per scantonare le proprie responsabilità. Di fronte a un simile scandalo, ciascuno avrebbe potuto fare la propria parte. Per esempio, come tuttoBICI ha proposto sin dall’inizio, le squadre avrebbero potuto boicottare le corse dove c’erano gli spagnoli. In Spagna e fuori dalla Spagna. Quanto ai giornali, avrebbero potuto come minimo evitare i toni celebrativi per le gesta di simili impuniti. Invece niente. Sempre lo stesso disco: se la Spagna non fa niente, se l’Uci non fa niente, se la Wada non fa niente, io che ci posso fare? Mica posso risolvere io il problema Valverde… Invece no, amico caro: forse tu non puoi risolverlo, ma almeno puoi evitarlo. Girargli al largo. Prendere le dovute distanze. Anche solo per non uscirne sempre da beoti.
Sono stati anni molto brutti. Gente che invocava regole, che scriveva codici etici, e intanto bellamente accettava di avere in gruppo Valverde e la sua band, quella congrega spagnola uscita bella come il sole dal più grande scandalo della storia sportiva, capitato casualmente proprio in casa propria. Mi ricordo che spesso, a forza di parlare del popolare Valverde, incontravo gente dell’ambiente che mi guardava un po’ così, con sorriso beffardo, sparando domande del tipo “ma che ti ha fatto questo Valverde, c’è qualcosa di personale?”.
Sì, ho qualcosa di molto personale: non posso proprio accettare l’ingiustizia. E non sopporto la sciatteria della gente, che crede i problemi siano risolti soltanto dal passare del tempo. Cosa vuoi, ormai è passato tanto tempo: così dicono. Valverde l’ha sfangata, ormai sono passati tre anni: così subiscono. Proprio un altissimo senso della giustizia. E come no: ti hanno svaligiato la casa, picchiato la moglie, ucciso il cane, e tu risolvi tutto lasciando passare qualche mese. Certo, il tempo medica tutto…
Il tempo non medica un corno. Almeno per me. Passassero cent’anni, l’Operacion Puerto continua a restare quello che è: una vergogna. Con pochi capri espiatori e certi signorini salvati da manovre nazionaliste. Ma passassero anche cent’anni, i conti devono tornare. Il senso di giustizia non cade in prescrizione. Non ha una scadenza come le medicine e gli yogurt. Il senso di giustizia sanguina anche cent’anni dopo, fino a quando non viene appagato e sanato. Per questo, comunque vada a finire, devo dire un colossale grazie alla procura antidoping del Coni. Ha condotto un grande lavoro, ma soprattutto non l’ha lasciata cadere, accodandosi al lassismo codardo e accidioso di chi lasciava fare al tempo. Per una volta, mi sento molto fiero d’essere italiano. Persino più di quando Cipollini e Ballan vincono il Mondiale. Ci sono corse che valgono più di qualunque trofeo. Io farei partire pure l’Inno.
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