L'urlo di Filippo Zana

di Pier Augusto Stagi

Stiamo a cavallo? Forse. Di sicuro si trotta con Filippo Zana, il nostro campione d’Italia, il ragazzo cresciuto nella “cantera” di Bruno e Roberto Reverberi che, piaccia o no, hanno avuto il merito di aver individuato cresciuto e svezzato Filippo, per poi fargli fare il grande sal­to verso il World Tour, tra non pochi mugugni e perplessità.
«Ma questo non è un ragazzo che ci può rappresentare nel mondo: è un corridorino…», diceva solo qualche me­se fa chi la sa sempre più lunga. I Reverberi invece, da parte loro, erano convinti dei margini di miglioramento di un ragazzo ancora di là dal crescere.
«Filippo ha motore e serietà e con queste due qualità generalmente la strada la si percorre in lungo e in largo», mi assicurava Bruno Reverberi, lo “zio” del ciclismo nazional popolare. E lo stesso mi disse Brent Copeland, immediatamente dopo aver fatto mettere la firma di Filippo sul contratto. «È un ragazzo di prospettiva, che ha fatto già vedere buone cose, ma le migliori speriamo di tirargliele fuori noi. È un atleta tutto da scoprire, ma bisogna avere pazienza e noi ce l’abbiamo…».
Siamo a cavallo con Filippo, che di ca­valli se ne intende e ne possiede anche uno, che di nome fa Vior.
«Dovete sapere che questo cavallo se l’è comprato con i suoi soldi, con quello che racimolava con i premi delle corse, una decina di anni fa. È innamorato del suo cavallo - mi racconta Carlo Guardascione, medico della Jayco-AlUla -. Mi ha spiegato che è un cavallo da tiro e che d’inverno lo aiuta nel trasporto della legna. Che ragazzo è? Un ragazzo di una sensibilità rara ed è proprio come lo vedete: senza grilli per la testa, di una semplicità incredibile».
Filippo in questo Giro ha trottato a tutto galoppo per tre settimane. Sem­pre al fianco di Dunbar, l’uomo di classifica, sempre nel vivo della corsa e poi capace anche di andari a prendersi il primo traguardo in un Grande Giro, che è davvero l’attestato di quello che è stato e soprattutto di quello che sarà. Sceglie la Val di Zoldo per mandare al mondo una bellissima cartolina. Sceglie il Monte Pelmo che lo accoglie e il Ci­vetta che lo osserva. Siamo nel cuore delle Dolomiti bellunesi, a Zoldo, ed è qui, di tricolore vestito, che festeggia la sua piccola grande impresa, una delle più belle di questo Giro d’Italia avaro di spettacolo. La prima vittoria nel World Tour arriva battendo allo sprint su un arrivo in salita del Giro d’Italia uno scalatore del calibro di Thibaut Pinot. A premiarlo è una delle leggende del ciclismo italiano, l’ultimo dei grandi, Vin­cen­zo Nibali, che non a caso è stato anche l’ultimo tricolore in carica a vincere in salita nella corsa ro­sa (Risoul 2016, ndr): «Sono passati giorni e la cosa ancora non l’ho metabolizzata bene - mi racconta il 24enne di Piovene Rocchette, Vicenza, che ora fa base a San Marino -. È stato davvero un fulmine a ciel sereno, uno squarcio nel cielo della Val di Zoldo. Se ci penso mi vengono ancora i brividi e mi sembra per certi versi impossibile. In­vece è tutto vero! Occasioni come quella non capitano tante volte nella vita e io ho avuto il merito di crederci fino alla fine, giocandomela come me­glio non avrei potuto. Certo, oltre alle gambe occorre anche un pochino di in­telligenza tattica e di fortuna. Se ho fatto il furbo? Eccome. Nell’ultimo chilometro, stando un po’ più a ruota».
È un bel cavallino il nostro Filippo Zana, come il suo Vior.
«Veniva dalla Serbia, aveva già questo nome e non l’ho cambiato - racconta -, mi hanno raccontato che con i cavalli non si fa e io non l’ho fatto».
Ma Filippo non è solo innamorato della natura e dei cavalli, visto che ha una piccola arca di Noé. Lui adora gli animali. Non a caso ha galline, conigli, una vitellina e un maiale. La fattoria degli animali di Filippo è ampia e accogliente, destinata ad aumentare.
«Ci sono tanti corridori che amano la terra, che sanno lavorarla. Francesco Moser lo sanno tutti che ha la passione dell’agricoltura: da lì è venuto e lì appena può torna. So che Bruseghin ha tan­ti asini e fa buon vino, io magari lo fa­rò. Una cosa è certa, l’agricoltura mi pia­ce davvero. È una passione, uno svago. A me serve per staccare, per liberare la testa, per tenermi in movimento senza stressare il fisico. E poi di­ciamolo, è bello avere altro fuori dal­la bici, non si può pensare solo al ciclismo. Se un domani questa passione potrebbe diventare il prossimo lavoro? Con la bicicletta è stato così, perché la cosa non potrebbe ripetersi? Io ho due grandi passioni: la terra e la bicicletta. Il bello è che le faccio coincidere».
E la cosa curiosa che la sua passione abbia coinciso con quella di Thibaut Pi­­not, la maglia azzurra del Giro d’I­ta­lia, che l’Italia ce l’ha davvero nel cuore e anche sulla pelle (ha un tatuaggio, “So­lo la vittoria è bella”, rigorosamente nella lingua di Dante, ndr) e adora la terra, l’agricoltura.
«Ci ho parlato: è un ragazzo eccezionale. È davvero uno che ama la terra e che ha già deciso che quello sarà il suo futuro».
Filippo è cresciuto nel mito di Marco Pantani - è nato l’anno dopo la doppietta Giro-Tour -, nelle categorie giovanili praticava ciclocross e qualche volta su strada era finito davanti a un certo Tadej Pogacar, rispetto al quale è più giovane di cinque mesi.
«Quando lo racconto non ci crede nessuno e anche a me viene un po’ da ridere, ma è successo per davvero…».
Sbarcato da questa stagione nel World Tour adesso è allenato da Marco Pi­notti, già maglia rosa e pluri-tricolore della crono. «Il merito è tutto suo - spiega l’ingegnere bergamasco -, perché Filippo è un ragazzo molto intelligente e scrupoloso: sa ascoltare. E, so­prattutto, ha pazienza, come tutti noi della Jayco AlUla.  Ha avuto una crescita in linea con l’età, la maturazione e il supporto della squadra, ma siamo solo all’inizio. Dove può arrivare? Io un’idea ce l’ho, ma per il momento non lo dico neanche a lui».
A distanza di giorni, se Filippo appena socchiude gli occhi, sente ancora il fracasso generato dai campanacci dei suoi tifosi.
«È stata una sorpresa vincere, ma an­che vederli tutti lì a festeggiare con me - racconta Filippo che è fidanzato con Francesca -. Se è stato il giorno più bello della mia vita? Penso proprio di sì. Per il momento direi di si, ma spero che sia solo l’inizio. Se la fatica viene ripagata da queste giornate, ne voglio tante. Ancora tante».

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