Nibali, lo Squalo pensa a domani

di Paolo Broggi

Ha voltato pagina, con un po’ di commozione ma anche con la de­terminazone di chi ha deciso di chiudere una parentesi - lunghissima, bellissima, emozionantissima - e di gettarsi a capofitto in una nuova avventura.
Una settimana dopo aver affrontato Il Lombardia, sua ultima cor­sa su strada, Vincenzo Nibali è andato all’Elba per disputare in moutain bike la Capoliveri Mtb marathon (dove è giunto nono), ma soprattutto si è seduto alla scrivania e si è gettato a capofitto nel suo nuovo lavoro di consulente del neonato team professionistico Q36.5. È una squadra nata in Svizzera, voluta dal ma­nager sudafricano Doug Ryan (quello della Qhubeka, per intenderci) e dall’imprenditore Luigi Bergamo, proprietario del marchio di abbigliamento sportivo Q36,5. Sono loro che hanno voluto Vincenzo, che lo hanno coinvolto, che gli hanno affidato la costruzione della squadra.
«Vivo giornate davvero intense, trascorro molto tempo al computer a in­viare e ricevere e-mail, le telefonate si sono moltiplicate, a livello mentale è stressante. Continuo ad alzarmi molto presto al mattino come quando dovevo allenarmi per le classiche - racconta lo Squalo, che è anche ambassador del marchio Q36.5 -. Abbiamo chie­sto la licenza Pro­Team, avremo 23 corridori, mol­ti dei quali italiani, e nel mese di novembre annunceremo tanto l’organico completo quanto un secondo sponsor molto importante».
Vincenzo lavora ma nei nostri occhi resta Il Lom­bardia con l’abbraccio che a lui e Valverde ha riservato il gruppo, e con le congratulazioni del presidente mondiale David Lappartient ed europeo Enrico Della Ca­sa venuti per salutarli. E soprattutto quell’applauso lungo 250 e più chilometri, le centinaia di cartelli, le migliaia di saluti, di urli, di incitamenti.
«È stato un Lombardia molto diverso dagli altri, ma sono molto contento. Quando sono passato professionista questa era gara che nemmeno pensavo di vincere, ce l’ho fatta due volte (2015 e 2017, ndr): anche stavolta ho combattuto dal primo metro, con la gente che mi ha incitato senza sosta. E quando dai il massimo, non puoi avere rimpianti».
Una gara carica di emozioni.
«È stato così sin dalla mattina, gli striscioni, l’affetto del pubblico è stato straordinario. C’è stato qualche ragazzino che piangeva. Quando corri in Italia e trovi un pubblico così, non puoi che essere contento. E questo un po’ mi mancherà. Gli ultimi 10 chilometri li ho pedalati con il sorriso, perché in gruppo c’è stata la riconoscenza e il saluto di tanti corridori, anche questo è stato emozionante».
Il ricordo più bello?
«In 18 anni sono stati tanti i momenti importanti, impossibile sceglierne uno solo. Mi piace sottolineare la mia crescita regolare, e poi tutti i trionfi fino a oggi. Chiudere con in maglia Astana era il mio desiderio, è la maglia che mi ha regalato le soddisfazioni più grandi, è un giusto omaggio anche per loro».
Un ritiro già metabolizzato?
«No, e non potrebbe essere diversamente. Voltare pagina così improvvisamente non è semplice, ma sono sereno perché è una decisione maturata, pesata, condivisa con la mia famiglia. E poi ho già cominciato a lavorare per la squadra, sono stato nella mia Sicilia come ambassador di Q36.5, insomma di riposo finora ne ho fatto poco...».
Pochi giorni fa è stato presentato il Giro d’Italia, inevitabile chiedere un parere al corridore che ne ha vinti due e che non ha amato nessun’altra corsa come quella rosa.
«Fidatevi, è uno dei più belli degli ultimi anni. Ho disputato undici Giro d’Italia in 18 anni di carriera, non tornerò sicuramente indietro, ma questo Giro mi sarebbe piaciuto prepararlo e correrlo. Ho letto che Alberto Conta­dor gli ha dato dieci come voto in pa­gella e io sono decisamente sulla sua stessa lunghezza d’onda. Ho studiato un po’ il percorso e notato che assomiglia molto a quelli che ho vinto, nel 2013 e nel 2016. Secondo me è stato disegnato molto bene, con una terza settimana dura, come piaceva a me, vi­sto che grazie al buon recupero riuscivo a pedalare forte proprio in quei mo­menti».
Cosa le piace in particolare?
«Che è impegnativo sin dall’inizio. La prima tappa non è un semplice prologo, perché parliamo di 18 chilometri e non tutti piatti, dato il finale in salita. Sento dire che possa venire Evenepoel: se fossi in lui, sicuramente sceglierei il Giro per continuare il suo percorso di crescita. A Campo Imperatore, che ar­riva alla settima tappa, chi starà bene proverà a scavare i primi distacchi im­portanti. E prima sono contento che la corsa torni a Napoli per il secondo an­no consecutivo: qualche mese fa abbiamo trovato un pubblico fenomenale, un calore incredibile. Attenti poi alla tappa delle Marche, sarà molto nervosa, insidiosa, difficile da interpretare. E poi la crono di Cesenatico, lunga, per specialisti, può dare una svolta importante alla classifica».
Proseguiamo l’analisi.
«Come spesso accade, nella seconda settimana c sono tappe molto mosse. Su tutte segnalo la frazione 13 che  por­ta a Crans Montana e ha la Cima Cop­pi, i 2.469 metri del Colle del Gran San Bernardo, e la 15 che arriva a Bergamo con un percorso che ricorda quello di una classica: consiglierei una ricognizione a chi non conosce bene quelle zone. È la tappa ideale per una squadra forte che punta a fare qualche imboscata».
Infine la “sua” terza settimana.
«Credo di non avere mai fatto in carriera il Bon­done... Gli ultimi tre giorni di montagna sono davvero impegnativi: non sottovalutiamo la tappa che arriva a Val di Zoldo, con tante salite in se­quen­za. Il giorno dopo la salita delle Tre Cime di Lavaredo, dove ho vinto nel 2013, arriva dopo quattro passi do­lomitici importanti come Campo­lon­go, Valparola, Giau e Tre Croci. Infine c’è la grande novità della crono di Monte Lussari: mi hanno detto che alcuni suoi chilometri ricordano lo Zoncolan e non bisogna aggiungere altro. Sì, lo confermo, è un Giro che mi sarebbe piaciuto correre».
Intanto noi aspettiamo un nuovo Nibali.
«È una domanda che in questi mesi mi hanno rivolto spesso, io rispondo che abbiamo dei ragazzi che stanno crescendo, dobbiamo lavorare bene e non metter loro fretta. È l’unica ricetta che conosco».

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