Editoriale

di Pier Augusto Stagi

SUPER-INCAPACI.  Super-Lega, super-figuraccia, super-indignazione, super-tutto da tutti, come se si fossero svegliati d’incanto in un mondo a loro sconosciuto. A me pare di sognare, ed è probabile che il problema sia solo mio e di pochi altri come me, non so, ma tutto questo strepitare di indignazione contro la plutocrazia del pallone fatto per anni da plutocrati mi ha lasciato esterrefatto.
Ma cosa dicono, cosa pensano e cosa inseguono costoro? È da anni che tutto va in una sola direzione: fatturare fatturare e solo fatturare per tenere in piedi un carrozzone che oramai mostra chiari segni di cedimento, non sta più in piedi. Vabbè problemi loro, ma ora parliamo di noi, che non siamo poi così male come spesso ci dipingono e ci dipingiamo. Sempre a dire: ah se avessimo dei dirigenti più preparati, più all’altezza e corrispondenti alle nuove esigenze di mercato. Bene. Poi vediamo come è stata gestita la questione SuperLega dai massimi esponenti del calcio europeo, da dirigenti di chiara fama ed esperienza e ci rincuoriamo. Basta sentire i top manager della JP Morgan, che non sanno come scusarsi per non averci capito una H. In verità in questi anni mi era stato sufficiente vedere all’opera qualche nostro presidente “casalingo”: è vero, i soldi non sono tutto, ma soprattutto non sono sufficienti per avere la patente di intelligente e capace.

TUTTI UGUALI.  Si parla di meritocrazia, di valore sportivo e allora veniamo a noi, al nostro beneamato sport, alla nostra struttura di World Tour già ProTour che di fatto è un sistema ancora piuttosto chiuso, nel quale si guarda principalmente se non esclusivamente all’aspetto economico (ogni anno revisione dei bilanci da parte della Ernst&Young, se non sei compliant - conforme - multe o esclusione dal grande giro: qui siamo all’avanguardia, altro che fair-play finanziario del calcio…) e in subordine, ma molto in subordine, l’aspetto etico e sportivo.
Dobbiamo fare ancora molto, ma bisogna riconoscere che forse noi del ciclismo siamo molto meglio di molti sport, e scusatemi se mi lascio prendere la mano e vi tramortisco a vostra insaputa con dosi massicce di ottimismo. È vero, non nascondiamocelo, il vizietto del soldo che tutto muove e tutto dispone c’è eccome anche nel nostro orticello, ma almeno da quest’anno l’ingessato mondo del World Tour si è aperto di più alla meritocrazia. Come? Andiamo con ordine: le diciotto squadre di massima serie pagano fior di quattrini, ma almeno hanno in cambio la stabilità di un calendario che è certo e vendibile. Da questa stagione la migliore squadra di seconda divisione (la Alpecin), può correre tutto l’anno come se fosse un team di World Tour senza averne però il budget. I dolori sono tutti per chi resta sotto - le Professional -: questi team devono solo sborsare quattrini, senza avere in cambio un briciolo di garanzia sull’attività di vertice, quella che conta. Devono sperare nel buon cuore - spesso addolcito da attività marketing, diciamo così - degli organizzatori per avere in cambio una wild-card. Insomma, nell’anno di Dante è bene ricordare che lì siamo rimasti: c’è chi sosta in paradiso e chi è perennemente nel limbo, in quella terra di mezzo che ti lascia in attesa di una speranza, che però non può essere garantita a tutti.
Poi c’è l’eterno e irrisolto problema legato ai diritti televisivi che sono solo di proprietà degli organizzatori. Lì sono tutti uguali: squadre di World Tour e Professional. Nel senso che ai team arrivano tante promesse e pochi spiccioli. Si parla di meritocrazia, ma nel merito non ci entra nessuno.

PICCOLE CONSIDERAZIONI. Piccola e breve riflessione sul nostro ciclismo giovanile. A parole siamo bravissimi. E quindi via di proclami: dobbiamo crescere i ragazzi con calma, senza pressioni. È necessario che facciano esperienze e che rimedino anche sonore sconfitte, come fanno i parigrado stranieri, andando in giro per il mondo a fare appunto esperienze. Poi basta fare una corsa come il Giro di Romagna per Dante Alighieri per barcollare. Prima tappa a Francesco Romano, classe ’97, ex professionista per due anni con la maglia della Bardiani e oggi portacolori della Palazzago per corrucciare il naso. Ma perché? Anzi, ben vengano gli élite a mettere pepe alle corse degli under 23. Se il tuo bel talentino non riesce a battere Romano, come chiederebbe Gigi Marzullo, “fatti una domanda e datti anche una risposta”. Ma soprattutto, i nostri direttori sportivi o tecnici azzurri non mentano a sé stessi, lo dicano: vogliono vincere. E allora torniamo al punto di partenza. Vogliamo insegnare ai nostri ragazzi a diventare buoni professionisti o vogliamo creare l’ennesima pletora di baldanzosi fenomeni che si sciolgono come neve al sole appena passano alla massima serie? Sono solo domande, piccole considerazioni…   

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