Gatti & Misfatti
Quel tifoso di ciclismo, così semplice, così vero

Caro direttore, vorrei che il tuo prestigioso mensile erigesse da qualche parte un monumento, assolutamente simbolico e altrettanto doveroso, a quegli indefessi Rambo della strada che sono i tifosi del ciclismo. Certo, l’operazione potrebbe anche apparire - come dicono a Roma - leggermente paracula, ma se si sta sempre a guardare questi risvolti non si fa mai un omaggio a nessuno. Se però proprio vuoi, diciamo pure che lo faccio io personalmente e mi sobbarco volentieri l’onere di passare per retorico: una patente in più non mi rovinerà di certo l’esistenza. Dopo qualche anno in giro per i percorsi di mezzo mondo, è possibile tracciare con una certa precisione l’identikit di questo specifico tifoso: non un profilo da laboratorio, con l’aiuto del computer, ma un ritratto empirico raccolto direttamente ai rondò, sui tornanti, lungo i marciapiedi delle corse importanti e anche di quelle assolutamente inutili. Ecco, quando adesso penso al tifoso del ciclismo, vedo subito in rapida successione tre immagini molto nitide.

La prima inquadra un gruppo di militanti, cioè a cavallo della bici, che si sono ritrovati intorno alle sette davanti al bar Sport, rapido cafferino e due insulti all’Armando che a forza di cotechini strinati s’è fatto l’air-bag tra ombelico e vergogne, poi via subito col padellone per raggiungere quello che i De Zan chiameranno più tardi in diretta «il punto cruciale della corsa». Li vedo là, sudatissimi e sinistramente paonazzi, accasciati di sedere sul canotto della Rossin o della Colnago, in attesa di controllare i campioni sullo stesso tratto di salita che hanno appena purgato loro.
La seconda istantanea raffigura una coppia di fidanzati: lui a bordo strada che aspetta Pantani, lei più su, in mezzo al prato, che si abbronza scosciata al primo sole di stagione. Classico compromesso da buone relazione: tifo sportivo più gita fuoriporta. Funziona.
Infine c’è il tifo formato famiglia, interi nuclei guidati da padri e zii più una cifra di nipoti, tutti schierati di prima mattina in mezzo al prato con tavolata da campeggio, gran bailamme di frigoriferi Gio-Style e borracce, cosce di pollo e insalata di riso, spuma nera e ginger fresco, intere giornate in attesa del gruppo magari tirando anche quattro calci.


IIn generale, questa tifoseria aspetta mediamente dalle due alle tre ore per pochi minuti di spettacolo, a volte addirittura per pochi secondi. Qualcuno riesce comunque a concludere che c’è tanta gente a bordo strada perché è tutto gratis, come se non fosse molto più comodo pagare diecimila lire per stare tranquillamente seduti al coperto del palasport per un paio d’ore di basket o di pallavolo. Ancora più in generale, questa tifoseria applaude il proprio idolo ma anche i suoi avversari, ed è assolutamente ininfluente che sia straniero. Non solo. Il massimo della sua libidine è raccogliere una borraccia usata o un cappellino sudato, non importa chi lo getti per strada. Non è insomma la tifoseria del tennis, che sviene per il fazzoletto da corsaro e le scarpe vagamente ortopediche di Agassi, e non è quella del basket, che si gingilla col suo tecnicismo in simil-americano finendo per chiamare nel modo più astruso le cose più banali (poi continuano a chiedersi perché la pallacanestro non riesca a diventare popolare nel nostro paese).

Una cosa si può dire in sostanza: il tifoso di ciclismo non è fighetto. Di più: è letteralmente, immancabilmente, immutabilmente un semplice. Certo anche il mondo della bicicletta è afflitto dalle sue brave deviazioni: capita di incontrare in giro dei cinquantenni pateticamente stravaccati su telai da cronometro con immancabili ruote lenticolari, pietose riedizioni di Rominger capaci di riabilitare con tre pedalate l’ultrà cretino che di domenica lancia sassi dal terzo anello di San Siro. Ma sono eccezioni: sui grandi numeri scappa sempre fuori il rimbambito. Caro direttore, questa non è un’analisi sociologica, né un saggio scientifico. È solo una semplice testimonianza, che però porta a conclusioni poco confutabili. Se permetti, io vorrei persino esagerare, tanto che ci costa? E allora lasciamelo dire, sarò retorico ma chi se ne frega. Vado? Vado: forse il ciclismo non è il migliore degli sport, ma il suo è il migliore dei tifosi.

Cristiano Gatti, 38 anni,
bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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