Contraddizioni fuori dal tempo
di Gian Paolo Ormezzano
Il ciclismo vive oggi una grossa contraddizione: rimprovera a se stesso un calendario pesantissimo, e intanto patisce il proprio stare fuori dal palcoscenico dello sport per periodi troppo lunghi, come quello che segue il Tour de France. Non mi sembra facile uscire dalla contraddizione, e il fatto che dopo pochissimi anni di sperimentazione del nuovo assetto della stagione già si discuta della necessità di profondi cambiamenti, è altamente indicativo. Ogni sport sta in qualche modo rivedendosi, alla luce del nuovo show business: nei regolamenti, nei calendari, nella presentazione di se stesso, negli stretti spazi di esecuzione dei suoi programmi. Il ciclismo è stato per anni uno degli sport che, con il pretesto di essere classici, sono stati immobili. La stessa sua geografia è stata la massima costrizione, e non è detto che il “patire” sia finito, visto che tanti nel ciclismo continuano a pensare che una corsa, se non è disputata in Italia, i Belgio o in Francia non vale.
Un bel problema. Certo che spiace che, quando splende il sole, insomma è estate piena, con tutti i favori del clima per un’attività pedalatoria, con la gente ben disposta, sotto l’ombrellone, a seguire con simpatia le fatiche altrui, e ad omaggiarle con una sorta di ammirazione a priori, spiace non sapere di nessun ciclismo che vale. I ciclisti non vanno in vacanza nel periodo ortodosso, però agosto è il mese della loro sparizione. Se qualcuno ha un’idea, la metta avanti, ce n’è bisogno. Noi abbiamo parlato del Giro d’Italia in agosto, oltre che di Giro d’Italia anticipabile all’inizio di maggio (andando molto al Sud, in questo secondo caso). Chi parla di nostra pazzia teorica ci faccia magari conoscere la sua intelligenza pratica.
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Losanna, primi di settembre, decisione del Cio sulla città - sarà Atene, vittoriosa in finale su Roma - a cui toccherà di organizzare i Giochi olimpici del 2004. Arriva al Palais de Beaulieu, dove mille giornalisti scrivono pagine sui “pissi pissi bao bao” delle candidature di cinque città, la notizia che il Cio è arrabbiato per un caso di doping, anzi di antidoping difettoso. Un atleta avrebbe preso parte ad un’importante manifestazione pur essendo risultato positivo a ben quattro controlli. Sto a Losanna, appena la notizia mi sfiora scommetto con me stesso che si tratta del ciclismo. Non do una ideale quotazione alta alla mia posta, e ovviamente non mi sbaglio: troppo facile, è proprio il ciclismo, l’atleta è l’uzbeko Abdujaparov, che non doveva prendere il via del Tour, dove peraltro è stato sbattuto fuori da un ulteriore controllo. A Losanna i giornalisti ciclistici si contano sulle dita di una mano mutilata. Gli altri, quando apprendono che si tratta di una questione di doping del mondo della bicicletta, fanno la faccia saputa di chi non è per niente sorpreso. Poco da dire, poco da fare, la nomea nostra è questa: se il ciclismo presenta un antidoping che funziona, dicono che si tratta soltanto della punta dell’iceberg; se il ciclismo difetta o latita nei controlli, manco parlano, come se questa fosse la norma.
I giornalisti si dividono fra quelli che sanno sempre tutto, e quelli, pochissimi, che di fronte ad un quesito, un problema, dicono che non sanno proprio cosa fare, cosa farci.
Io amo le minoranze.
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Però poi mi accade che, tornato da Losanna, vado a Monza per il Gran Premio d’Italia di automobilismo, patisco il giorno della corsa i problemi di entrata e di uscita dal parcheggio, mi trovo con l’auto che va a passo d’uomo, a raccogliere due svizzeri e un francese che cercano di lasciare l’autodromo: si erano prenotati per il servizio di evacuazione via elicottero, due macchine volanti si sono scontrate, nessun morto per fortuna ma il servizio è interrotto. Mi chiedono di portarli in qualche posto da dove un taxi o chi per esso li possa a sua volta portare a Linate. Penso alla stazione di Monza, faccio sedere uno accanto a me, ai due che si siedono dietro dico di fare attenzione, sul sedile ho gli accrediti delle ultime tre manifestazioni che ho coperto giornalisticamente, e cioè il Tour de France, il congresso del Cio a Losanna e appunto il Gran Premio d’Italia di Formula 1 appena finito. Non uno che mi chieda di Losanna, non uno che si soffermi su Monza, e dire che i tre sono del mestiere, tre tecnici della scuderia di Alain Prost. Tutti che mi chiedono del Tour, di Ullrich, di Virenque, di Pantani, del ciclismo. Facciamo qualche chilometro a passo d’uomo, dialogando di ciclisti che vanno come il vento. Penso che al mattino, in un ingorgo andando verso l’autodromo, avevo sentito alla radio tante interviste ai giovani spettatori del Gran Premio, e uno, richiesto di precisare il suo tifo calcistico, aveva detto anzi urlato: «Non me ne frega niente del calcio, per me soltanto ciclismo e Ferrari». Una buona domenica.
Gian Paolo Ormezzano, 61 anni, torinese-torinista,
articolista di “Tuttosport”
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