Rapporti&Relazioni
E il Giro ad agosto?
di Gian Paolo Ormezzano

Abbiamo avanzato su queste compiacenti colonne l’idea di un Giro d’Italia anticipato, per liberarlo dalla vicinanza del Tour de France, suggerendo anche un tracciato sudista, molto turistico, molto bene sponsorizzabile e molto italiano in tempi di conclamata secessione, se si teme che al nord le strade delle grandi montagne siano ancora, nei primi giorni di maggio, a rischio di neve.
Adesso mandiamo avanti il gioco, con questa domanda: come sarebbe il Giro d’Italia in agosto? Sì, le tre ultime settimane di agosto, con magari il Tour che fa il piccolo sacrificio di finire una settimana prima, diciamo poco dopo la metà di luglio, così che ci siano tre belle settimane di pausa fra le due corse. Sarebbe un Giro interessantissimo. Raccoglierebbe al via non solo i Chiappucci di turno, che non hanno trovato posto al Tour, ma anche quelli che il Tour ha fatto fuori nella sua prima parte, per non dire quelli che vogliono prendersi la rivincita dopo un Tour andato male o andato così così. Ma soprattutto il suo tracciato sarebbe favoloso di agganci, motivi, sollecitazioni nuove. Pensate ad un Giro d’Italia che si dipana per i posti delle grandi vacanze (un po’ come fa il Tour, luglio essendo per i francesi vacanziero come l’agosto lo è per noi), da Alassio a Portofino, da Viareggio al Circeo, da Rimini a Lignano, e per le salite da Merano a Trento, dai laghi appena sotto le Alpi alla Val d’Aosta. Ricettività alberghiera? Esiste, nonostante il pienone. Il Tour non ha problemi anche se la Francia del turismo non offre certamente strutture grandi come quelle italiane. Ci vorrebbe qualche sacrificio, ma insomma il Giro non è il Tour, nel senso stavolta che le persone da alloggiare non sono poi molte come per la corsa francese con tutti i suoi orpelli, e bastano pochi chilometri per passare da un megacentro ad un ipercentro alberghiero.
Ma poi qualche sacrificio sarebbe ripagato dalla enorme cassa di risonanza che la corsa troverebbe. Un Giro per i nostri giovani acquartierati nei posti delle vacanze, del divertimento. Un Giro per milioni di turisti stranieri. Un affarone sul piano promozionale, con possibilità di agganci di tantissimi sponsor nuovi. Un Giro che proporrebbe la fatica sulle strade pedalate all’Italia delle sedie a sdraio, in un gioco di contrasti che riteniamo estremamente positivo e redditizio. Lanciamo questa seconda idea di calendario nuovo, mentre è tempo di non ciclismo, con straordinario sciupio di un mese che almeno, nel passato anche recente, era occupato dalle corse di preparazione premondiale. O vogliamo che sull’agosto ora libero si avventino gli stranieri, ad esempio gli spagnoli, con qualche grande idea? Meditate, meditate.
E che per favore nessuno cassi subito il progetto dicendo che agosto è mese di solleone, di inferno climatico. Finiti quegli agosti, se pure sono esistiti. Adesso agosto è mese di frescure, di pioggerelle. E poi i ciclisti sono, in caso di gran sole, le meglio salamandre del mondo. Importante è parlare, discutere, progettare, vedere se, considerare come. Non possiamo sperare in un altro Gotti a salvare un altro Giro povero come quello di quest’anno. Non possiamo andare mentalmente in ferie. Anche se è agosto. Anche perché agosto.

Mai pensato che il ciclismo è uno dei due soli sport al mondo - parliamo di grandi sport olimpici - ad avere il francese come lingua di scambio? L’altro sport è la scherma. Per il resto dominazione inglese, a parte lo sci che si dà al tedesco, con placche di spagnolo nel calcio e di italiano nel calcio e nella Formula 1, grazie all’effetto Ferrari. Nel ciclismo il francese è la lingua dei congressi internazionali, dei comandi dei giudici, del Tour de France, persino della radio bis del Giro d’Italia. Si dice ancora grimpeur, nel ciclismo. E si cerca, quando il gruppo è passato, quando i ritardatari sono passati, la voiture balai, con il simbolo della scopa, per raccogliere chi si ritira senza trovare subito assistenza. Domanda tanto per divertimento anzi divertissement: riuscirà l’inglese ad impossessarsi anche del ciclismo, a diventare la koiné anche del mondo delle due ruote?
Pensiamo di no, il rischio di omologazione è già stato corso e superato ai tempi del flirt con il Nordamerica, dei Giri del Canada, comunque soprattutto quello del Quebec francofono, e della dominazione al Tour di Greg LeMond. E poi non riusciamo a immaginare il ciclismo che parla inglese. Non troviamo parole inglesi subito così giuste, così imprescindibili come invece nel basket, nel tennis, nello stesso calcio.
Non avvertiamo nessuna dipendenza, nessun servaggio lessicale verso l’inglese, come avvertiamo invece in tanto altro sport. Anche se il francese del ciclismo non è più quello parigino, secco e altezzoso, ma ormai quello contadino degli svizzeri, quello strano dei valloni, quello sofferente dei fiamminghi, quello dei canadesi che sembrano parlare per un cartone animato. E quello degli italiani che lo pronunciano gaglioffamente male perché sicuri di saperlo bene, e hanno detto per anni inòl a proposito di Hinault che invece è inò e basta. (Fra parentesi: ogni anno si tiene in Italia una grande cerimonia ciclistica, in larga parte officiata da chi scrive queste righe, usando la lingua francese: il Premio Garin ad Arvier in Valle d’Aosta, e sinora l’unico che non ha accettato la lingua di Moliére è stato uno spagnolo, Indurain).

Gian Paolo Ormezzano, 61 anni, torinese-torinista,
articolista di “Tuttosport”
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