Gatti & Misfatti
Sono gia’ seduto sul paracarro per tifare Pantani
di Cristiano Gatti

È con malcelato e rinnovato spirito ultrà che mi affretto a parlare del Giro d’Italia. Subito, in tempi non sospetti, col senno di prima. Anzi, completamente fuori di senno. Diciamolo: questo nuovo Pantani, ancora tutto da verificare sulle fatiche lunghe, sul recupero, sulla cronometro vera, basta comunque per rianimare l’Italia depressa del tifo ciclista. Da troppo tempo siamo tifosi a ore (in senso buono): giusto il tempo di chiudere una grande classica, nella quale per fortuna continuiamo a difenderci bene, poi dobbiamo smontare dal servizio per lasciare posto agli altri. Il Tour non lo vinciamo da centoquarant’anni. E neppure il Giro, che pure abbiamo vinto spesso, è più un ricordo tanto fresco: siamo fermi a Bugno e Coppino, che aprirono l’ultimo decennio del secolo e del millennio dominando di brutto, quasi a convincerci di una certa onnipotenza, salvo poi verificare che non avremmo più toccato palla per via dei vari Indurain, Berzin, Rominger, e persino dei Tonkov, l’uomo che suda tre settimane all’anno.

Se Dio vuole abbiamo nuovamente qualcuno capace di tenerci su il morale. Fin da adesso mi siedo in curva e faccio un tifo demente per Marco Pantani: perchè così sfortunato mi ispira subito solidarietà di corporazione (dico di noi Fantozzi), perchè mi è umanamente molto simpatico, perchè i brividi che mi ha regalato lui sulle grandi salite non me li ha mai regalati nessuno (ad eccezione di Bugno sul Vesuvio, Giro ’90, Giro vinto). Per tutti questi motivi sono pronto a qualsiasi cosa, eventualmente anche a speronare col paraurti chiodato della mia auto l’avversario diretto che nel finale si frapponesse tra lui e la maglia rosa. Marco va aiutato. E caso mai qualcuno ritenesse un tantino forzato il mio tifo personale, tenga presente che un Pantani risorto sarebbe comunque la manna per tutti. Persino - e mi rendo conto di spararla enorme - per Chiappucci. Si può dire? Se nel giro di un paio d’anni non ritroviamo un volto caro al pubblico, un personaggio da amare per mesi, non per un giorno, uno campione e anche un po’ uomo di spettacolo, insomma un Alberto Tomba, un Michael Schumacker, un Max Biaggi della bicicletta, il ciclismo rischia seriamente di boccheggiare per disinteresse. Boccheggiano i giornali, boccheggia la televisione, e di riflesso boccheggiano le sponsorizzazioni, boccheggiano gli ingaggi, boccheggiano gli organizzatori. Sarebbe colpevole nasconderci la pura verità: siamo in una fase preoccupante. Alla crisi generale del sistema economico italiano se ne aggiunge una tutta interna e particolare del nostro settore. Sulla prima gli uomini del ciclismo hanno poco da fare, sulla seconda si può velocemente intervenire, ma solo a patto che risalti fuori l’uomo giusto, il Gianni Bugno o il Claudio Chiappucci dei primi anni Novanta, la locomotiva umana che si trascina dietro tutto il resto: giornali, televisioni, sponsor, ingaggi, organizzatori. C’è bisogno di aria fresca, anche per liberare l’ambiente dal fastidioso tanfo diffuso in inverno dalle ridicole campagne antidoping dei giornalisti frustrati, vittime della sindrome di Sherlock Holmes.
Allora forza Marco, siamo tutti con te. Comunque vada, sappiamo che sarai il primo a muoverti e l’ultimo a cedere: per questo ti abbiamo adottato subito, come l’ultimo interprete del ciclismo creativo e spregiudicato. Tipo quello di Chiappucci, però con una piccola differenza: in salita tu li stacchi davvero. Forza Marco e stai sereno. Sappi già da adesso che siamo pronti a tifare anche per Ivan Gotti, l’altro raro esemplare di scalatore sempre presente non appena la strada acquista pendenza. Non è che ti devi offendere: è lo spirito nazionale che ci induce a puntare su voi due. Certo, ci sono anche gli Zaina e i Faustini, però se continuano a farsi vedere soltanto tre o quattro giorni all’anno non si può pensare che siano loro a rimettere in moto questa macchina ingolfata. Il ciclismo italiano ha disperato bisogno di facce che restano, non di lampi momentanei. Serve un grande film, una lunga novela: siamo stanchi di fotografie.

Cristiano Gatti, 40anni,
bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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