Rapporti&Relazioni
Ciclismo, apri gli occhi
di Gian Paolo Ormezzano

Io spero di scrivere non una cosa giornalisticamente valida in quanto molto mia, bensì quello che molti altri hanno saputo e scritto: perché questo significherebbe che la notizia ha avuto attenzione e valutazione giuste. Se invece sono fra i pochi ad averla notata, è grave. Parlo di un articolo, con tabellino, pubblicato a pagina 16 del numero 6 di TV Sette, supplemento de Il Corriere della Sera. Il titolo dell’articolo è: «Miss Italia tallona Baudo». Si parla degli eventi televisivi più popolari del 1996. Però attenzione: non ci si fonda sulle basi pure e semplici fornite dalle cifre dell’Auditel, ma sul grado di conoscenza dell’evento presso gli italiani. E cioè: quanti sanno che c’è quel dato evento, e di quale evento si tratta? Bene, nei primi dieci eventi conosciuti dell’anno passato (titolo del tabellino: «I 10 eventi italiani più conosciuti»), il Giro ciclistico d’Italia sta al sesto posto, il Gran Premio di Monza, automobilismo di Formula 1, sta al decimo posto. Non c’è nessun altro evento sportivo. La graduatoria è aperta dal Festival di Sanremo, conosciuto dal 92,9 % degli italiani. Al secondo posto l’elezione di Miss Italia, 91,5 %. Poi il Carnevale di Viareggio e il Palio di Siena, a sorpresa il Gran Premio dei Telegatti (83,3!), ed ecco il Giro, con l’81,8 %. Quindi il Carnevale di Venezia, il Festival veneziano del Cinema, lo Zecchino d’oro e infine, con il 78 %, Monza. C’è pure un secondo tabellino, dedicato, come dice il titolo, a «Gli eventi più noti settore per settore». Nel settore della musica leggera il Festival di Sanremo domina, è noto al 92,9% degli appassionati. Il Giro d’Italia è ovviamente in testa, con il 78 per cento, nel ciclismo. Ma è una graduatoria contorta, picassiana, non chiara. Restiamo a quel dato del primo tabellino. Messa in prosa la poesia dei numeri, il dato dice che quando un italiano pensa ad un evento sportivo pensa al Giro d’Italia prima che ad ogni altra manifestazione, automobilismo compreso, calcio compreso. Sì, calcio compreso. Bisognerebbe far studiare quel tabellino ai presunti esperti di pubblicità, di marketing. Quelli capaci magari di convogliare soldi di grandi industrie su sport sconosciuti, e non per senso missionario, per desiderio di aiutare gli sport poveri, bensì per guadagnare di più su un budget magari altissimo però difficilissimo da controllare nelle finalità e negli esiti. Da sempre si dice che le sponsorizzazioni ciclistiche offrono poco spazio ai maneggioni, e non per nulla i grandi scandali di sponsorizzazioni fasulle riguardano ben altri sport, su tutti l’off-shore, che quanto a popolarità magari “non esiste” ma che magari ottiene un sacco di soldi: esce un miliardo per qualche scritta su qualche scafo, il che significa che almeno 800 milioni vengono recuperati in una banca all’estero. Il ciclismo dovrebbe usare a fondo quel tabellino, quella graduatoria. Noi giornalisti cosa possiamo fare se non scrivere, dire, denunciare? Io faccio il giornalista da appena 44 anni, però continuo a trovare gente che mi dice, quasi accusando: «Voi che avete la penna in mano, dovreste fare così e cosà, scrivere, denunciare, accusare». Una volta pubblicai sulla prima pagina del quotidiano sportivo che allora dirigevo, Tuttosport, al quale sono tornato dopo diciassette anni di La Stampa, la lettera di un padre, presidente fra l’altro di una associazione fra genitori di bambini afflitti da nanismo. Si lamentava perché la somatotropina, prodotto medicinale importantissimo per stimolare la ghiandola della crescita, era introvabile nelle farmacie, in quanto accaparrata tutta da federazioni sportive che la facevano prescrivere ai loro atleti di punta. Era insomma un doping molto praticato. Pensai allo scandalo che sarebbe nato da quella lettera, non un lettore mi scrisse, non una persona dello sport reagì. Cosa deve fare un giornalista?

Ogni tanto mi trovo serrato fra appassionatissimi di ciclismo e grandi denigratori, e i primi si dicono deliziati anche dalla SeiGiorni, i secondi dicono che questa manifestazione è fatta tutta di sprint truccati e che il suo eventuale successo è la prova dell’ingenuità, della dabbenaggine o - peggio ancora - della complicità del mondo della bicicletta nei riguardi delle proprie irregolarità. Io dal mio piccolo cerco di mandare avanti la mia mediazione. Dico che magari le SeiGiorni sono tutte decise a priori, dal nome del vincitore finale a quello dei vincitori dei vari traguardi parziali, ma che questa è la loro forza. Perché se piacciono lo stesso - e piacciono, sì, piacciono - ciò significa che hanno una loro forza speciale, un loro fascino specialissimo. Si tratta di esercizi sportivi svolti ad alto livello, con impegno sommo, rischiando, mettendocela tutta, cercando lo spettacolo ad ogni costo. Il fatto è che penso che lo sport-spettacolo ormai possa e anzi debba contemplare prove così, di altissima esibizione, dove i contendenti possono anche accordarsi perché lo show riesca bene, e non venga invece guastato da smagliature dovute ad agonismo cattivo. Importante è saperlo prima, è avere le lenti giuste per vedere bene. Naturalmente deve rimanere anche l’altro sport, anzi gli altri due sport: quello agonistico e però non recitato, quello cosiddetto di massa, praticato dal signor Rossi per se stesso, non per battere il signor Bianchi. Ma siamo arrivati su un terreno impervio, difficile. Forse per lo sport il discorso del prossimo millennio, altro che della prossima SeiGiorni.

Gian Paolo Ormezzano, 60 anni, torinese-torinista,
articolista di “Tuttosport”
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