Uno dei problemi del ciclismo, in questo porco mondo in cui o si vive in vetrina, e con tutte le luci giuste, o non si è nessuno, è quello di far sapere della sua esistenza quando il calendario agonistico è vuoto. C’è persino il rimpianto dei tempi felici che vedevano di quest’epoca l’inizio degli allenamenti, solitamente nella Riviera ligure, e proponevano una tematica fissa, non esaltante ma sicura, quella delle prospettive dell’ormai incipiente stagione. In pochi pochissimi anni abbiamo consumato la novità degli allenamenti esotici, cercando il sole in posti strani del mondo, posti lontani da quelli del ciclismo tradizionale. Adesso il fatto che uno vada ad allenarsi in Sudafrica o in Florida o in Australia o ai Caraibi non scuce un baffo che è uno manco al tifoso più sempliciotto.
E allora?
E allora pensiamo che il ciclismo debba darsi da fare, non avendo assolutamente, come ha invece il calcio, un mercato che riempia eccome il tempo in cui non ci sono gare, non ci sono partite. Nè il ciclismo ha una stampa sportiva capace, meravigliosamente quanto gaglioffamente, di trasformare un noiosissimo ritiro precampionato in un evento teatrale di primissimo ordine.
E allora?
E allora federazione e lega e sponsor dovrebbero inventare, insieme, occasioni di pubblicità, di propaganda, così sconvolgendo fra l’altro un’attività che diremmo istituzionale.Naturalmente i ciclisti dovrebbero essere disponibili, ma per questo siamo abbastanza ottimisti.
E allora?
E allora il giornalismo tradizionale suggerirebbe al suo sacerdote, cioè il giornalista, di farsi a questo punto da parte e passare la palla agli altri, corridori compresi, e aspettare cosa decidono. Pronto naturalmente, questo sacerdote, a colpire duramente in caso di neghittosità o di attività seguita da insuccesso, come sta nella regola non scritta per praticare un giornalismo astuto e opportunistico, dunque pagante.
E allora?
E allora chi scrive queste righe propone qualcosa, con ciò dando ulteriore ragione a chi lo pensa appassionato e fesso. La proposta è quella di fare quello che fa lo sci, dunque è una proposta di seconda mano, non certo scaturita da un lampo di geniale inventività. Lo sci porta gli sciatori nelle città, con neve artificiale o semplicemente con epifanie in occasioni di manifestazioni sportive furbe, nel senso di ubicate bene e sul calendario e nella città stessa (si pensi a Milano e agli sciatori autunnali in piazza del Duomo). Il ciclismo può portare nelle città bipedi ancora più «strani» e interessanti degli sciatori, cioè i pedalatori.Può mandare i suoi pedalatori più celebri a pedalare in galleria, sotto i portici, a sfilare nel cortile del palazzo comunale, sul sagrato della cattedrale. Può mandare i ciclisti fra i malati di Aids, fra gli albanesi, fra i nomadi, a occupare un parco altrimenti presidiato dagli spacciatori. Può mandare i suoi campioni nei posti dello struscio, dove misurarsi sul cicloergometro con il bulletto di passaggio. Può esporre in centro biciclette che sono monumenti di arte moderna.Può anche scuoiare vivo pubblicamente il giornalista che ha certe idee.Importante è fare qualcosa. Nessuno sport che voglia essere popolare può permettersi vacanze troppo lunghe. D’altronde anche i ricchi non possono permettersele, e infatti sbuffano sempre, e invidiano i poveri che, magari perché disoccupati, hanno tanto tempo in cui non fare nulla.
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All’inizio della stagione agonistica dello sci di fondo un telecronista ha usato, e per molto tempo, il termine «corridori» applicato appunto agli sciatori. Qualche nostro collega si è scandalizzato, nel senso che ha ritenuto improprio l’uso di una parola che nello sport ha sempre designato i ciclisti, e casomai gli automobilisti, in questo caso però sempre usando il binomio: corridore automobilista.
Prima osservazione: il termine non è mai stato usato a proposito di chi pratica la corsa, e dunque è - sprinter o maratoneta - corridore più di ogni altro. Non sappiamo il perché. Se si considera il termine «corridore» come designante chi esegua una corsa di corsa, cioè velocemente, va bene per tanti sportivi. Se lo si considera, più nel particolare, come designante la pratica della corsa, esso dovrebbe appartenere ai podisti, e specie a quelli veloci, come a nessun altro.
Discussione aperta. In ogni caso noi non ci scandalizziamo per il termine applicato ai corridori dello sci di fondo.Casomai essi ci paiono, nel loro gesto atletico, i più vicini ai podisti, e dunque sottoposti alla stessa ingiustizia lessicale, alla stessa usurpazione di un termine che è loro più che di tanti altri, carissimi ciclisti compresi.
Gian Paolo Ormezzano, 61 anni, torinese-torinista, articolista di “Tuttosport”
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