Cipollini e un grido d’amore per il Giro
di Gian Paolo Ormezzano
Non conta che siano passati ormai alcuni giorni. Conta che la cosa sia avvenuta, conta poter pensare che sia ripetibile. E cioè mettere insieme, e fra le genti a più alto reddito medio d’Italia e del mondo, genti abitualmente coinvolte da ben altro tipo di sport, una serata lunga, bella, piena, divertente, appassionante sul ciclismo. E senza nessun campione conclamato, di quelli che controllano, dominano, si aggiudicano le grandi classifiche, spesso diversissime dai pur grandi ordini di arrivo. In Val d’Aosta, dove lo sport degli sport è lo sci, a pochi chilometri dalle grandi piste della discesa, degli slalom e del fondo, si è parlato di ciclismo, si è giocato al gioco dei ricordi, delle emozioni ancor più che delle commozioni, in occasione di un rito per l’occasione leggerissimamente dissacrato, comunque sempre con rispetto ed amore.
Il posto è Arvier, dove da quattro anni la comunità montana del Gran Paradiso celebra il premio Maurice Garin, intitolato allo spazzacamino valdostano che alla fine del 1800 se ne andò in Francia a cercare lavoro, si diede al ciclismo, vinse corse già allora importanti e soprattutto vinse il primo Tour de France, nel 1903. Garin era nato in una frazione minuscola, chiamata appunto, dalla sua famiglia, «Chez Garin», uno sputo di case chiuse fra schermi di alberi e quinte di montagne. Pantani e Indurain e Virenque avevano ricevuto il premio, un lingotto d’oro da un chilo, nel nome della loro imitazione delle gesta di Garin. Cipollini lo ha ricevuto quest’anno nel nome dell’emulazione spirituale, morale: anche se non ha vinto il Tour de France o comunque non ne ha domato le montagne (il contrario e persino di più, nel senso che le montagnole hanno domato lui).
Qualcuno era scettico sul nome, che aveva sostituito quello di Ullrich, il tedesco maglia gialla lo scorso anno a Parigi e disposto a ricevere il lingotto in una stanza d’albergo a Milano la vigilia della Sanremo, se proprio gli organizzatori avessero insistito sulla sua designazione. Cipollini al Tour ha sì messo, e in due edizioni, la maglia gialla, ha sì vinto l’anno scorso due tappe, ma non è mai arrivato a Parigi. La scelta ha privilegiato il personaggio sul campione da Tour, dunque premio a Cipollini, e Cipollini capace di «restituire» il premio in battute, in aneddoti, sempre usando un italiano efficace e splendido, ma soprattutto in una dichiarazione d’amore al Giro d’Italia mai sentita lì prima da nessun corridore, italiano o straniero, e in una rivalutazione del ciclismo dello sprinter, in una visitazione poetica della produzione massima di adrenalina. In sostanza è come se Cipollini avesse detto a Garin: «Oh, non sai cosa ti sei perso, o cosa le circostanze della vitaccia e dell’anagrafe ti hanno fatto perdere, non conoscendo il Giro d’Italia, il suo calore superiore a quello del Tour». Ha detto che non baratta - neppure in considerazione del ben diverso valore economico - nessuna vittoria, anche di tappa, al Tour con una vittoria, anche di tappa, al Giro. Naturalmente lui è un toscano che prende slancio anche da un motteggio rimbalzatogli addosso dal bordo della strada, Garin era un aostano francofono per il quale la Francia poteva essere in qualche modo madre. Ma conta che sia stato bloccato, e proprio in occasione del premio al vincitore del primo Tour, il culto giallo, imperante da quelle parti ed altrove. Con la grande involontaria partecipazione di Ullrich, metronomo preciso, perfetto e magari irritante il cui tempo batte soltanto per un mese all’anno. Invitato poi a scegliere fra un arrivo a Parigi con la maglia verde della classifica a punti ma senza nessuna vittoria di giornata, e il «solito» suo Tour con successi di tappa e chiusura anticipata, Cipollini ha detto di non saper rinunciare al successo nello sprint, a quel momento di alta magia in cui ti senti il primo non del mondo usuale, ma di un mondo al quale tu stesso hai dato einstenianamente vita esplicando una tua particolare, terribile energia.
Grande serata, tanta gente visitata da parole, sentenze, confidenze ed anche episodi mai conosciuti prima. Domanda senza risposta, o con risposta troppo facile e persino presuntuosa, sul quale altro sport sia in grado di offrirsi serate così. E Cipollini eccezionale, nel limitarsi magari in assoluto per espandersi però nell’intimità del proprio strepitoso personaggio, «implodendo» con l’aiuto straordinario di Zandegù, lucidamente strepitoso, e di Allocchio, sprinter precipollinici. È stato come se si fosse aperto un libro nuovo del ciclismo, una specie di epica allegra, quella dello sprint, di epica picaresca, perfettamente valida. I giochi in volata, giochi talora pericolosi ma spesso giochi più corsari che pirati, hanno sostituito gli attacchi in salita. Cipollini ha piallato con il suo sorriso tosco-hollywoodiano anche le grandi montagne del Giro e del Tour. Ci ha dato tanto ciclismo nuovo, elettronico, sanamente epilettico (massì), senza toglierci nulla.
Gian Paolo Ormezzano, 61 anni, torinese-torinista, articolista di “Tuttosport”
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