Scripta manent
La sanremo di aprile

di Gian Paolo Porreca

Ad aprile, sarà che ho bisogno alla mia età di fissare meglio i concetti, non posso fare altro che parlare ancora della Mi­lano - Sanremo di marzo, ap­pena conclusa. Senza concessione alcuna ad un sospetto malcelato di noia agonistica. Che è poi sempre l’anticamera della fantasia. E al netto della laterale, e curiosa, sommazione di immagini che ab­biamo registrato in mente. Con quello spot pubblicitario su RaiSport 2, a 40 chilometri dall’arrivo, dello sponsor shampoo Alpecin e il suo protagonista - John Degen­kolb, capelli corvini - che va a vincere su via Roma, quaranta chilometri dopo. Col­po doppio al Casinò, paradossale, in chiave di cosmesi tricologica, per chi ricorda invece l’infallibile ispettore Rock (Cesare Polacco) e quel suo umile “anche io ho commesso un errore, non ho mai usato la brillantina Li­netti...”, nello sfoderare il cra­nio impietosamente calvo, a fronte del plauso per un en­nesimo caso risolto.

Ad aprile, mese di classiche che verranno e ci vedranno presenti a stento, cominciamo a tessere speranzosi il futuro nazionale, con Bonifazio e Cimo­lai, guarda caso ambedue ar­ruolati in quella Lampre - Me­rida in cui ha ben gareggiato pure l’ultimo vincitore italiano della Sanremo, Fi­lip­po Pozzato, primo nel 2006.
 
E ad aprile, mese di Pa­squa da traversare, diventa bello pure pensare - capiteci...- che non ci dispiace massimamente che un italiano non abbia poi vinto la Sanremo, e che la striscia di sconfitte si al­lunghi così impietosa. Siamo ad una astinenza di nove an­ni, ormai. E così più spesso potremo tendere la mano e dedicare la memoria a Mi­chele Dancelli, il ragazzo di Castenedolo, che mise fine alla più lunga sequenza straniera: primo nel 1970, 17 anni dopo Loretto Pe­truc­ci...
Il ragazzo di Castenedolo, Mol­teni Arcore Italia Tor­riani, i flashes di un nastro che si riavvolge. Rewind. Le lacrime. 45 anni fa. Quasi l’immensità sentimentale di un 45 giri. E basta, però. Le ricorrenze del ciclismo, co­me diceva il direttore molto - o troppo - giovane, di un quotidiano del Sud, si festeggiano al massimo a cifra ton­da.

E ad aprile, mese di Li­berazione, è straordinario pensare al fil rou­ge tessuto negli ultimi dieci anni da Luca Paolini, 38 anni, che fu pure terzo nella Sanremo di Bettini, 2003, e in quella già citata di Petacchi, nel 2006. 38 anni, compiuti, e la continuità di uno sport che non è mai blasfemo, di fronte a certe fe­deltà. Paolini che lavora per Kristoff. E che, senza tema, all’arrivo non può che classificarsi trentesimo. “30.”, sen­za bisogno della retorica ac­cademica di una lode.
 
Ma ad aprile, il mese che viene prima di maggio, prima di ogni rosa che si rispetti, noi vogliamo onorare la Milano-Sanre­mo di una singolare - una e trina - verità umana. Non ab­biamo direttori più vecchi di noi a cui raccomandarlo, ma gli Eroi gentili, quelli che non calcano le arene sovraliminali del calcio e che non frequentano i Pro­cessi dei giorni dispari, sono i nostri.
Si chiamano Jan Barta, Matteo Bono, Maar­ten Tjallingii, in rigoroso ordine alfabetico. In fu­ga - non vittoriosa - così nel 2014 come nel 2015. E che della Sanremo, attesa 365 giorni per incontrarsi ancora in cima ad un batticuore, e non sul Poggio, così come della vita non solo sui pedali, possono certo insegnare qual­cosa. Il loro racconto, sen­za finale, anche se Tjal­lingii in ambedue le occasioni è arrivato al traguardo, è una cordiale lezione di sport. Senza moralismi, no problems: difficile coglierci in fal­lo. Ma senza i latrati falsi del calcio, poniamo, la do­menica sera.
 
Anche ad aprile, la Sanremo, la nostra Sanremo, finisce pri­ma che finisca il giorno. Con la luce emozionante del po­meriggio. Prima che sia troppo tardi.
 

Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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