Scripta manent
Nibali, una Regione di più

di Gian Paolo Porreca

Ha vinto infine Vin­cen­zo Nibali, benedetto. Benedetto co­me Benedetto Patellaro, lo sconosciuto di Monreale che si aggiudicò in solitudine una incredibile tappa alpina, a Borno, nel Giro del 1981.
Ha vinto il Tour, nel segno del Sud più ulteriore, per Gio­vannino Corrieri, il suo concittadino illustre - di Mes­sina, appunto -, che a Grosseto nel 1953 indossò per un giorno solo la prima ma­glia rosa siciliana del Gi­ro.
Ha vinto il Tour, nel nome glorioso di Pino Cerami, il ca­tanese di Misterbianco, 92 anni compiuti - do you re­member? -,che emigrò in Belgio e che da naturalizzato fiammingo si aggiudicò, a 41 anni ed oltre, primato di longevità non superato, una tap­pa del Tour a Pau, nel 1963.
Ha vinto il Tour, in una pa­rafrasi della storia ciclistica più estrema nel Mar Medi­ter­raneo, nella amerezza di Rosario Fina, quel ragazzo di Caltanissetta che doveva essere l’unico siciliano in maglia azzurra al Mondiale di Sicilia, ad Agrigento del ’94. e che - all’ultimo giorno - fu disarcionato da una ca­duta. E dovette cedere il ruo­lo suo malgrado ad una riserva nobile, come Davide Cassani.
Ha vinto il Tour, senza l’aplomb ieratico di Dante Ali­ghieri, ma metaforicamente con una allegoria gentile da Scuola Siciliana - Cielo d’Al­camo ? - foriero di un Dolce Stilnovo, antesignano della leggiadria di Francesco Pe­trarca.
Ha vinto, Nibali, sicilianamente, come un sorbetto al limone, contro il sole abbacinante di via Maqueda, senza il bisogno pirandelliano di un autore, e senza essere un Bell’Antonio brancatiano, ma come sarebbe piaciuto forse a Tomasi di Lampe­du­sa e al suo Principe di Salina. Nella ripresa di un sontuoso, avvolgente, e mai arrogante, Gattopardo. Nibali, come il ni­pote Tancredi, delfino mo­rale del Principe, forse.
Ha vinto, Nibali, per restituirci il ciclismo emozionato di Antonino Catalano, quel palermitano bruno come un saraceno, che nella frazione del Tourmalet, al Tour del ’58, si sarebbe fermato un attimo su in cima ed avrebbe lanciato giù dai tornanti - si narra -, il suo berretto della Nazionale. “Vai, vola almeno tu, perché io non ce la faccio più...”.
Ha vinto Nibali, nella sublimazione a tutto campo del Sud isole comprese, accennando “In fondo al viale” della grande corsa francese, senza pensare che si sarebbe trattato in un grande giorno dei Campi Elisi di Parigi, come avrebbero intonato i Gens, il complesso mitico della Messina anni ’70 - altro che Pooh -, che era cresciuto al “Bar Select” del capoluogo, forse come la famiglia del nostro campione. (Un grande Pino, ad esaltare la batteria).
Ha vinto Nibali. E di questo suo Sud straordinario, e da considerare bene, per non relegarlo in una “breve” alla prossima tenzone calcistica, c'è una memoria partenopea in più, di cui trarre filosofia. Ha vinto Nibali, anche per de­lega, diciamo, di Salvatore Commesso, il ragazzo napoletano, che al Tour del 2000 aveva sconfitto, in un testa a testa spasmodico che non si può dimenticare - a prezzo di radiazione dall’albo - , proprio Alexander Vinokou­rov, il ben noto ciclista ka­za­ko, discretamente per male, ad onta dell’oro olimpico di Londra 2012. Quel “Vino” che di Nibali e della sua Astana è oggi il gerarca (team manager?) sin troppo indiscusso.
Ha vinto Nibali, campione del ciclismo migliore, esorcizzando il peggio, perché al Tour de France 2014 non c’è nulla finalmente più al Sud della fortuna.

Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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