Scripta manent

Primi, i Campi Elisi

di Gian Paolo Porreca

Vincono se non tutti, quantomeno in tan­ti, al Tour 2025 appena concluso.
Vincono quantomeno in tanti, certo non Philipsen e Van der Poel costretti fra  gli altri ad una sfortunata resa anticipata, ma francamente non vince soltanto  Pogacar, il dominatore straordinario del suo quarto Tour de France, e primattore.
Cosa volete da noi, romantici incurabili oltre ogni pur ragionevole dubbio, ma questo Tour che  festeggia il suo 50° arrivo sui Campi Elisi, ci lascia una traccia, una nuance di affettuoso gradimento  ubiquitario e solidale. Viva, se non tutti, almeno in tanti, dall’alternativa Jonas Vingegaard, che è ormai sul 2-4, al computo dei Tour con Pogacar, come un incontro di tennis in corso d’opera fra Alcaraz e Sinner, a Tim Merlier stesso, franco di due vittorie sul nostro Jonathan Mi­lan che oltre a due successi però si conquista il simbolo alto di quella maglia verde della classifica a punti, raggranellata su traguardi finali e su  sprint di passaggio con l’ausilio portante e la trama brillante della sua LIDL - Trek...

Viva, per l’intensità dei gesti, quella lunghissima fuga in tan­dem Alpecin di Van der Poel e Rickaert a Chateau­roux svanita a 600 metri dal traguardo... Viva, e sia, non sempre di Pogacar e Vingegaard necessita parlare, viva due volte la peripezia di Thymen Arensman, l’olandese della Ineos, che ci riporta il vanto singolare di uno scalatore olandese, e mica spagnolo o colombiano, al primato sui Pirenei e sulle Alpi. Lui, alto come era Steven Rooks, ma che vince due volte nello stesso Tour in alta montagna, a La Plagne da non crederci, incredibile, come i normolinei Hennie Kuiper e Peter Winnen sull’Alpe d' Huez, e per due volte ambedue, ma in Tour diversi.

V iva, e sia, quel Tac­co­ne irredento di Healy, e il coraggio di O’Connor al Col de la Loze e l’abilità di Tim Wellens a Carcassonne e la tenacia delle tirate di Vic­tor Campenaerts pro Vin­ge­gaard e la giovinezza educata anche nel confronto di Lipowitz e Onley, e aggiungiamoci pure senza contiguo sciovinismo transalpino Vaquelin, a disputarsi il titolo di miglior next gen della corsa 2025...
Bene, il Tour 2025, e benissimo an­che quei Campi Elisi, dopo Brel  e Montmartre e il suo porfido perfido sotto i cieli bigi, che ci donano l’incommensurabile Van Aert, ancora fedele a quel traguardo altero, dopo il primo successo del 2021, lui che da troppi altri traguardi è stato respinto, e ci regalano - bello anche questo - il secondo posto 2025 di Davide Ballerini, intenso come il cognome, un altro italiano che come Vincenzo Albanese, come Matteo Trentin, come Simone Ve­lasco, come Affini e Dai­ne­se e Consonni, come gli al­tri tutti, il Tour concluso del 2025 hanno meritato.

Si vince ai Campi Eli­si in tanti, se non tut­ti, i Campi Elisi nomen est omen, e non è che siamo di un sospetto buonumore personale, ma è certo che l’atmosfera magica di quei 50 anni conclusi, 1975-2025, ci sublima di ebbrezza.
E vorremmo allora che la maglia verde di Milan ac­quistasse lo stesso spessore coniugato al futuro di quella  maglia bianca di miglior giovane dell’edizione 1975, che vi conquistò Francesco Moser, incredibile maglia gialla all’esordio nel prologo di Charleroi, e settimo poi in classifica finale, in quello che sarebbe stato il primo Tour vinto da Ber­nard Thevenet. Un verde speranza accesa, non brughiera autunnale, per Milan alfiere di tutti, anche di quel Ganna così sfortunato, nel distintivo del Moser di 50 anni fa, che sapeva  pure vincere in volata, primo ad Angouleme, davanti a Van Linden e Godefroot.
Un verde speranza accesa per il ciclismo italiano, grazie a Milan, a recuperare an­cora quello sprint dei Cam­pi Elisi, il primo, 1975, con Walter Godefroot - di­cono che non se la passi be­ne, oggi, siamo con lui - che batte Robert Mint­kie­wicz e Gerben Karstens. E sul lato destro dell’immagine ancora lui Francesco Moser, quarto, giovane e generoso sempre come il suo futuro e il suo buon vino del futuro, fino all’ultimo goccio di sprint.

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