Trent'anni fa ora come allora: a Maddaloni il ricordo dell'Heysel
di Gian Paolo Porreca
Cominciava così ragazzi, tutti diventati uomini, qualcuno come me anziano, qualcuno da noi
allontanatosi solo di fatto... Cominciava così e non era un gioco, ma era eppure ben altro che un sogno, se al risveglio ce lo ritroviamo così vitale fra le mani e nelle immagini, il volo primo di tuttoBICI, il nostro e vostro tuttobiciweb di oggi, che nel maggio che leggerete compie i primi trenta anni.
Cominciava così, e per me sempre in bilico nella esistenza e nella pagina fra la prima persona e il plurale maiestatis, nasceva sotto la luce e la chiave che sarebbe diventata l’imprimatur genetica dell’amicizia autentica. Per me infatti, scrittore e cicloappassionato già da una vita in corso, cominciò con una telefonata di buon mattino, orario da medici già in sella, non proprio da giornalisti abitualmente tiratardi la sera che non al desk con il caffè di una sveglia migliore...
Era Gianfranco Josti, caro amico e gentiluomo che avevamo conosciuto qualche anno prima a Borgo Taro con Sergio Zavoli ed Elio Trifari, per una cerimonia in memoria di Bruno Raschi. Gianfranco, ancora grazie “decano”, e il suo input di netto e senza fronzoli, «Giampi, accendi i motori, se ti va di scrivere ancora di ciclismo, c’è un amico di Milano che vuole mettere su un giornale di ciclismo, si chiama Pier Augusto Stagi, cercalo pure a nome mio, gli anticipo la tua telefonata...».
E questa, ragazzi, e lettori tutti diventati uomini, è la storia vera e semplice che da 30 anni mi portò ad entrare nel continente radioso di tuttoBICI: la chiamata umile via filo - Napoli Milano - ad un direttore tanto giovane, e la sua risposta breve, «vaiiii, scrivi».
Cominciava così. Ed ho viva ancora la memoria di quel mio testo d’esordio, non riesco ad usare sempre e mai come per questo caso poi, il termine consueto di “pezzo”.
Ricordavo e raccontavo che di maggio, di maggio dieci anni prima, avevo vissuto a Maddaloni, l’arrivo e il post-gara della Capua - Maddaloni a cronometro del Giro ’85, vinta da Bernard Hinault che avrebbe così detronizzato il leader Roberto Visentini e conquistato la maglia rosa, e fondamentalmente sconfitto senza confronto un Francesco Moser che partiva con i solari favori del pronostico in quella frazione...
E di come quella atmosfera dimessa nel salone del Reggia Palace di Caserta si fosse d’improvviso mutata, quando dalla TV con la voce indifesa di Bruno Pizzul sarebbero piombate - di gelo - le immagini della tragedia dall’Heysel di Bruxelles, finale di Coppa dei Campioni fra il Liverpool e la Juventus. Era mercoledì 29 maggio 1985.
Ricordavo e raccontavo righe di come l’amarezza per una sconfitta dello sport avesse in quella occasione ceduto il primato del dolore ad una vicenda atroce, quante vittime, 39 morti altrove, che aveva rimosso ogni sentimento di sport. Lo sport e la vita che cedono così diversamente.
Cominciava così, Pier Augusto ospitò questo racconto, non ne trovo il numero preciso. E da allora, da trenta anni da queste pagine non mi sono mai più sentito estraneo. E vi aspetto, da padre diventato nonno, anche se non ci fossi più, il suo maggio di sport e il Giro che verrà come fosse ancora il primo nipotino.