Veronica Squinzi: «Il ciclismo ce l'ho nel sangue»

di Pier Augusto Stagi

È una questione di chimica: di ioni, molecole e atomi. O forse è molto più prosaicamente un’alchimia l’amore per il ciclismo targato Mapei, che ancora oggi anima questo colosso della chimica, che in un decennio ha scritto pagine memorabili di sport, che oggi sono appunto entrate di diritto nella storia del ciclismo.
Ora che non ci sono più il dottore e la dottoressa, Giorgio Squinzi e Adriana Spazzoli, due capitani d’industria che hanno sempre creduto nel lavoro e nel­la famiglia, così come nello sport, in questa azienda che è un punto di riferimento della chimica italiana nel mondo e che da qualche anno è impegnata ad alto livello anche nel mondo del pallone - leggi Sassuolo - con più che lusinghieri risultati, uno spazio per il ciclismo continua ad esserci.
Sesto piano di viale Jenner, quartier ge­nerale di Mapei Spa. Nell’ufficio milanese che fu del dottore, ci sono ancora evidenti i simboli della passione per la musica lirica e lo sport. Vedi la poltrona di pelle neroverde del Sassuolo che è la stessa della panchina del Mapei Stadium di Reggio Emilia. E poi tante targhe e foto che raccontano una vita su due ruote, il grande amore di Gior­gio Squinzi, ma anche di sua moglie Adriana Spazzoli, che con suo marito ha condiviso davvero tutto, proprio tutto.
«Quello è il trofeo della Parigi-Rou­baix di Ballerini; ne ha vinte due di quelle pietre e Franco una l’ha regalata a papà due mesi prima di mancare...», mi dice Veronica Squinzi, che con il fratello Marco oggi ha preso le redini di comando di un’azienda che è davvero un’eccellenza mondiale della chimica per l’edilizia.
C’è anche la maglia del Milan…
«Era la squadra del cuore di papà, e da sempre di mia zia Laura, competente, appassionata e tifosa quanto lui se non di più. L’ha sempre raccontato: era a San Siro quel 2 giugno 1959, il giorno del debutto di Gianni Rivera. Se è per questo era anche presente quando la Cavese venne a vincere a Milano (1-2), stagione di serie B 1982-83. In­som­ma, passione vera».
Come ci si sente a capo di un Gruppo così importante?
«Bene, anche perché ovviamente non sono da sola. Ci sono mio fratello, mia zia, mia cugina, e uno staff coeso e competente che è ormai consolidato. Non è stato facile superare due lutti così gravi e soprattutto ravvicinati. Per una cosa così non si è mai preparati. Oggi ci troviamo a proseguire un grande viaggio. Un sogno imprenditoriale cominciato nel secolo scorso in via Ca­fiero da Rodolfo, il nonno. Oggi siamo una realtà mondiale da oltre 10.500 dipendenti con un fatturato consolidato di 2,8 miliardi di euro».
Calcio o ciclismo?
«Bella domanda, alla quale mi piace rispondere così: il ciclismo è stato per me un amore sconfinato, il Sassuolo mi emoziona e più li frequento più mi ap­passiono, ma sono due cose diverse. Il ciclismo è il sogno di un tempo andato, forse irripetibile; il calcio è l’ambizione di fare cose importanti in un mondo molto più grande e complesso».
Papà aveva un amore sconfinato per Coppi, e lei?
«Papà andò con il nonno a vedere il Campionissimo all’età di sei anni. Giro di Lombardia 1956, quello che perse per colpa della “Dama Bianca” per in­tenderci. Quando passò in via Jenner, papà era proprio qui sotto in strada ad aspettarlo, e fu in quel momento che il suo beniamino gettò la borraccia e lui si precipitò a raccoglierla. L’ha custodita per anni tra le cose più care... Pur­troppo poi l’ha persa durante un trasloco. Qualche anno dopo è tornata indietro la borraccia con annessa una bicicletta Bianchi del 1949 con tanto di cambio Simplex, gliel’hanno regalata i ragazzi de “Le Vele”. Ne fu felicissimo».
Sì, però non mi ha detto lei per chi fa il tifo…
«Ho tifato tantissimo i ragazzi della Mapei, ai quali sono ancora molto le­gata. Un nome? Non mi piace tanto far­ne, però non posso dimenticare l’amicizia di grandi corridori - soprattutto amici - come Tafi, Bettini e, naturalmente Franco Ballerini: un ragazzo che era stato un campione in sella, ma ave­va doti non comuni di comunicazione. Era empatico e intelligente, ci sapeva davvero fare. Non è un caso che poi fu anche un apprezzatissimo e vincente CT della nazionale, così come del resto Paolo Bettini».
La corsa del cuore.
«Nessun dubbio: la Parigi-Roubaix! An­­cora oggi non me la perdo per nessunissima ragione al mondo. Per me ed Emanuele, mio marito, grande appassionato e praticante ciclista, è davvero un appuntamento fisso. La Mapei è entrata nel ciclismo nel 1994 e l’anno successivo eravamo già la prima squadra del mondo. In bacheca abbiamo messo un Giro d’Italia, cinque Parigi-Rou­baix, un Giro delle Fiandre, la Liegi-Bastogne-Liegi. Abbiamo vinto tantissimo e molto bene. Nove anni pazzeschi, di una bellezza infinita. Però la Roubaix è la Roubaix e su tutte è rimasta nel mio cuore quella del primo se­condo e terzo».
1996: Museeuw, Bortolami e Tafi. Per questo arrivo in parata non mancarono le polemiche.
«Esattamente e me lo ricordo molto bene, ma che soddisfazione. Fu un’edizione bellissima. Fu scritto di tutto. Il giorno dopo la stampa si scatenò contro questa grande vittoria. Ricordo perfettamente l’amarezza e lo sconforto di papà. La mamma invece reagì immediatamente con grande forza: sa cosa fece?...».
Me lo ricordo bene…
«Rispose con una pagina pubblicitaria su tutti i quotidiani d’Italia. Pagina in­tera con una scritta: “Parigi-Roubaix: è cosa nostra”. Che poi, qualche giorno dopo divenne un più rassicurante e condiviso, “Per vincere insieme”. Mam­­ma era fatta così: determinata e creativa».
Persone del ciclismo con le quali ha mantenuto un rapporto speciale?
«Tante, tantissime. Il ciclismo è davvero una gran bella famiglia. Non vorrei scontentare nessuno o tediarvi con una lista di nomi, ma mi limito a fare quello di un grande del mondo delle due ruo­te, nostro signore della bicicletta Er­ne­sto Colnago e poi Amedeo Colombo. Al­cuni poi sono rimasti anche a lavorare con noi in azienda, come Dario Ni­coletti, Jogi Muller e il mitico Giacomo Carminati, per anni autista del mo­tor­home del team».
E ancora: «Il ciclismo è stato un grande amore di famiglia ma anche una grandissima opportunità d’azienda sfruttata con grande visione. È così. Ab­biamo portato nel ciclismo un nuo­vo modo di essere sponsor, partecipando attivamente e con grande passione ad ogni momento della vita della squadra, trasferendo in questo modo la no­stra filosofia aziendale. La maglia in­dossata dai corridori porta nel mondo il nome Mapei e con i famosi cubetti colorati, si crea un’immagine coordinata, dal completo della squadra al packaging dei prodotti e anche nel calcio poi abbiamo portato lo stesso mo­do di pensare, lo stesso mo­do di es­sere sponsor con la medesima filosofia d’azienda. Ma nel ciclismo Mapei c’è ancora, questo per noi resta uno sport strategico perché particolarmente se­guito e amato dal mondo dell’edilizia, e per questa ragione siamo vicinissimi a piccoli e grandi eventi, agonistici e ci­cloamatoriali. Dal Mon­diali di ciclismo a Granfondo di grande tradizione co­me la Maratona delle Do­lomiti o la Gran Fondo Colnago».
Usciste dal ciclismo nel 2002…
«Fu una grande delusione, per tutti. Re­­stammo però nel mondo delle due ruote con sponsorizzazioni mirate (main sponsor dei Mondiali di ciclismo e partner dell’UCI dal 2008, ndr) e con il nostro Centro Ricerche Mapei Sport, nato da un’intuizione di papà e di Aldo Sassi, il nostro indimenticato “Prof”, che anche lui troppo presto ci ha lasciato. Oggi il Centro, nato nel 1996 per supportare con razionalità scientifica e con un corretto approccio etico gli atleti della squadra ciclistica professionistica Mapei, rappresenta un’eccellenza tecnico scientifica che fornisce assistenza agli atleti di ogni livello, non solo professionisti ma anche amatori, per aiutarli a migliorare la loro prestazione attraverso programmi di allenamento e valutazione biomeccanica individuale. È un centro - diretto dal no­stro dottor Claudio Pecci, anche lui ormai figura storica all’interno della nostra famiglia - ormai riconosciuto da diverse federazioni e discipline, come lo sci (Goggia, Brignone, Bassino ecceterea) il calcio, la pallacanestro, la pallavolo, l’atletica leggera, il golf e il tennis, sia a livello professionistico sia amatoriale, cercando sempre di rafforzare la nostra vicinanza alle persone e al territorio. In ogni caso, oltre all’attività sportiva mirata ai risultati, l’obiettivo è il benessere delle persone, usare sport e esercizio fisico con finalità salutistica. Il Centro si pone oggi come una struttura in continua evoluzione, che si adegua alle necessità che cambiano nel tempo con un occhio particolare nel suo sviluppo futuro alla riatletizzazione e ottimizzazione della preparazione atletica, sempre mantenendo un ap­proccio etico e scientifico».
Poi arriva il Sassuolo calcio…
«Eravamo già stati sponsor del Sas­suolo negli Anni Ottanta, ma la società l’abbiamo presa in mano nel 2003 (dal 2002 con un impegno sponsorizzativo più importante, ndr). Quella stagione non fu felicissima. Sul campo la squadra fu retrocessa e declassata alla Pro­mozione, ma successivamente fu riammessa in C2. Tutto ebbe inizio come atto di riconoscenza verso il distretto delle ceramiche di Sassuolo, senza il quale la Mapei oggi non sarebbe un’eccellenza internazionale. Poi, cammin facendo, come in tutte le cose che facciamo, ci abbiamo messo passione e progettualità. Fino a ieri nel mon­do Sassuolo era nota solo per le ceramiche, oggi è conosciuta anche per la squa­dra di una città di 43mila abitanti che è arrivata in Serie A, in Europa League nel 2016 e continua a essere da ben otto anni sempre in buona posizione nella classifica di serie A».
Insomma, mai smettere di pedalare…
«Esattamente. Questo è il “claim” legato alla nostra azienda, è stato coniato per incoraggiarci a non fermarci mai, e non è un caso che richiami il ciclismo, il nostro primo importante coinvolgimento nel mondo sportivo, quello che ha contribuito a diffondere il nostro marchio in Italia e nel mondo. Sì, il ciclismo è stato senza dubbio un im­portantissimo ed efficace veicolo di co­municazione, oltre che una grande passione».
Si potrà ripetere?
«Le grandi storie si ricordano, non si ripetono. Noi siamo attenti al ciclismo, questo mi sembra evidente ed è sotto gli occhi di tutti, ma quella è stata davvero una storia talmente grande e bella che è sicuramente irripetibile. Nella vita ci sono i momenti, e quelli vanno colti. Il ciclismo ha avuto il suo mo­mento, ma con il nostro “Centro” il ci­clismo resta al centro: anche del nostro cuore».

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