Giovanni Visconti, la nuova sfida

di Pietro Illarietti

Tutto nuovo nella stagione 2021 di Giovanni Visconti che incontriamo in occasione della sua visita presso la Faizanè, azienda vicentina  specializzata nella realizzazione di pezzi tecnoplastici eseguiti su richiesta, che dallo scorso anno sponsorizza la formazione della famiglia Reverberi. La maglia fucsia e verde fluo fascia il busto alla perfezione e sulle maniche c’è un poco di aria, se­gno che il siciliano è già molto magro. In questo periodo si sta affidando an­che ad una app in cui inserisce tipologie e quantità di cibo ingerito: in au­tomatico gli viene fornito il calcolo del­le calorie. Per di più, per non lasciare nulla al caso, Giovanni segue una dieta chetogenica, si tratta di una forma estrema di alimentazione low carb che prevede la ri­duzione drastica dei carboidrati. «Mi dà più forza - racconta con il suo piglio Visco - lo sento quando devo fare i lavori di potenza. I risultati si vedono e sono contento».
Il 2021 segna per lui una svolta importante con il cambio di team e lo spiega parlandoci da un angolo luminoso posto al primo piano dell’azienda guidata dai fratelli Martino, Mau­rizio e Gabriella Dal Santo: «Reputo di essere fortunato. Alla mia età ave­re ancora la voglia di andare avanti e contare su certi stimoli è importante e ti dà l’opportunità di continuare il più possibile. Quando mollo la bici mi manca e due settimane dopo il Giro d’Italia volevo già rimontare in sella per iniziare la preparazione».
Giovanni, come è nata la nuova avventura in una formazione storicamente ri­vale?
«Da quando sono professionista ho un buon rapporto con i Reverberi e per scherzo ci si è sempre detti che prima o poi si sarebbe corso assieme. Nella mia ex squadra il contratto tardava ad arrivare, anche a causa della crisi legata alla pandemia, e questo mi ha spinto a cercare un’alternativa per il fu­turo. Io vado per i 38 anni e non po­tevo passare in un attimo dalle stelle del Giro alle stalle. Ri­manere il mese di novembre in stand by, per il tipo di ca­rattere che ho io, sarebbe stato veramente deleterio. Da quella situazione difficile è nata una cosa bella, ossia l’opportunità di venire a correre alla Bardiani CSF Faizanè e ne sono felice».
Come ti sei lasciato con il vecchio team?
«È normale che in loro ci sia la delusione di avermi perso nuovamente. Dal canto mio però posso dire che ci ho messo sempre il massimo per portare in alto il nome del mio team. Pur­troppo le cose sono andate così. Con Angelo Citracca il rapporto di amicizia è rimasto mentre con Luca Scinto si è deteriorato. Mi spiace, ma con me non si è comportato bene e non voglio tornare a parlare di questo argomento. È una pagina del libro che si chiude. Fa parte del mio passato e non lo rinnego, ci siamo fatti del bene a vicenda. Un rapporto che era come quello di due fratelli e certi comportanti non si dovevano tenere. Sono rimasto scottato».
In questo gruppo condividerai i gradi di capitano con Enrico Battaglin. Quale con­tributo pensi di poter portare?
«Si tratta di una formazione ben organizzata a cui mancava solamente una cosa e nel 2021 sono arrivati degli ac­qui­sti diversi, ossia dei leader in campo che possono aiutare i giovani a crescere. Personalmente mi ritengo un leader in grado di far andar bene lo cose dentro al team e anche di vincere. Sia io che Battaglin possiamo far bene. Uno come Enrico deve tornare a vincere. Io lo so bene perché mi ha battuto in una tappa al Giro d’Ita­lia. Qui i giovani sono tanti e avranno l’opportunità di avere al fianco persone esperte come noi. Io sono al diciassettesimo anno da professionista, posso aiutarli ad evitare errori importanti che a volte si è portati a commettere per la fretta di arrivare».
Hai corso in team Professional e World Tour. Quali errori pensi di aver commesso nel tuo percorso?
«A livello di carriera credo di aver com­messo lo sbaglio di voler rescindere un contratto nel 2008, pagando una penale, in una formazione come la Quick Step dove mi aveva voluto un corridore come Paolo Bettini, per tornare in una Professional. Un errore fino ad un certo punto, ma in quegli anni volevo misurarmi ed essere il leader in un team-famiglia come quello di Angelo Citracca. Quel cambiamento me lo rinfacciano in tanti. Io dico sempre che se ho vinto queste corse è perché potevo arrivare fin qui. Certamente poteva scapparci qualche vittoria in più visto che ho conquistato più di 40 se­con­di posti».
Nelle categorie giovanili hai sempre battagliato con Vincenzo Nibali e spesso lo bat­tevi. Quando hai capito che lo Squalo stava diventando un fuoriclasse?
«Da subito. Lui è entrato presto in un’altra dimensione. Da dilettante combattevamo sempre, ma poi tra i professionisti tutto è andato a posto. Inoltre devo ammettere che lui ha sempre fatto le scelte giuste. Nei primi anni da prof non dico che mi desse fastidio, ma c’era ancora la scia del dilettantismo e non mi capacitavo di come riuscisse a battermi così spesso».
Sei un innovatore, ora stai adottando una dieta particolare. Quali dettagli curi?
«Più passano gli anni e più il livello cresce, quindi devi cercare di stare at­tento a tutto. Io non sono mai stato un patito della dieta o della biomeccanica. Ora invece ci bado, così come accade con la chetogenica, che mi permette di essere già magro da subito. Poi sono co­stretto a fare certe cose, come l’attenzione per le tacchette delle scarpe o la biomeccanica. che fino a tempo fa non seguivo. Tutto è importante e la testa mi accompagna, quindi lo faccio con voglia».
Un ciclismo cambiato, in quali dettagli più significativi? Quale ciclismo preferisci?
«Ora, per fare un esempio, nei team trovi gente che non sa nulla di ciclismo. Il nostro è uno sport che è diventato strumento di guadagno anche per altri tipi di professionalità. Prima c’era il manager guidato dalla passione, ora la struttura è cambiata, il manager prima di tutto è un imprenditore, la passione viene in secondo piano. Questo comporta che anche i rapporti dentro al team sono differenti, più aziendali e asettici. Quell’aspetto nel World Tour mi è pesato tanto: io rendo al meglio nella squadra famiglia».
E i baby fenomeni della bicicletta faranno una carriera come la tua?
«No, ed è un no secco. Non dureranno diciassette anni, anche se sicuramente faranno meglio a livello di risultati. Ora gli juniores fanno già i prof e quando passano non sono più dei neoprof, ma sono già dei veri e propri corridori. Io non me la sento di chiamarli “neo”. Sono già pronti a correre a grande livello ed è un errore che parte dalle categorie giovanili che ti sfruttano di più. Perché certe nazioni lavorano meglio? Parlo di Belgio, Olanda e Au­stralia. Hanno dei corridori sconosciuti e poi passano e vanno forte. Noi vo­gliamo i prof già da Allievo».

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