Ifrancesi di Marsiglia, razza dannata secondo i parametri dello sport parigino radicalchic, che li ritiene settari, casinisti, gaglioffi, rissosi, insomma come gli italiani del calcio e non solo, hanno fischiato e aggredito vocalmente, durante la penultima tappa del Tour, dipanatasi a cronometro per la città capitale del sud, gli avversari stranieri più titolati dei loro connazionali Bardet e Barguil, vicini in classifica alla maglia gialla, e anche l’ormai sicuro vincitore della prova, Froome britannico del Kenya.
L’occasione, diciamo così, (ci) serve per introdurre un discorso sul tifo ciclistico, dintorni e contorni, e sulle sue rappresentazioni. Non tanto sulle sue persistenti calde ma tenere valenze sentimentali (proprio per questo i fischi e i buuu di Marsiglia hanno fatto effetto), di cui teniamo conto sempre, felici di poterlo fare, quanto, almeno questa volta, sulla eventuale progressiva calcisticizzazione o meglio tecno modernizzazione di gare e riprese e attori e comparse (il pubblico).
Perché qualcosa di grosso deve avvenire, con le squadre intitolate anche a nazioni o a loro simboli espliciti, con il mercato internazionale, planetario dei ciclisti più celebri, con la spettacolarizzazione delle fasi sportive non affidata in linea (tradizionale) di massima al paesaggio, alla natura che fa da fondale, ma alla tecnologia nel senso di riprese televisive sempre più sofisticate, sempre meglio minimaliste, a costo di apparire anche sempre più dettagliate e sadiche. Il ciclista sempre più è scrutato, sezionato, radiografato come un calciatore sul campo.
Presto o tardi questo porterà ad una totale sua nuova televalorizzazione in chiave moderna simbolica e anche pratica: sarà il protagonista coatto di speciali intensi momenti di video, a costo di sforare, il suo sforzo verrà evidenziato in particolari anche anatomici assortiti, insomma lui diventerà sempre più personaggio. E sarà oggetto, da parte dei ciclofili, di attenzioni di tipo nuovo che ora come ora possiamo dire che ci saranno, non quali saranno. Intorno a lui comunque cresceranno sicuramente teleinvenzioni sempre nuove dello sponsor, del manager, del pubblicitario, insomma dei tanti delegati (magari da un governo, non solo da un ente o una organizzazione o da una federazione) all’ottimizzazione dell’investimento.
E possiamo pensare che intorno a lui, al campione, si faranno sempre più importanti una industria colossale, una serie di servizi di squadra per lui (vista la Sky al Tour?), ma non - non più - nel senso antiquo e persino patetico di gruppo itinerante di bravi ragazzi impegnatissimi a servire in fachiresca umiltà il capitano,ma di coro di specialisti con funzioni anche nuove. Pronti tutti, i gregari se proprio vogliamo chiamarli così, a dire che hanno sempre sognato di correre con e per il campione taldeitali e prontissimi anche, la stagione successiva, a lasciarlo, a tradirlo e a dire che finalmente si realizzano nella squadra di un altro campione, di un’altra città (il tutto pensato calcisticamente non vi dice qualcosa?).
Ci rendiamo conto di essere confusi,ma non possiamo fare altro. L’evoluzione del ciclismo è inarrestabile, sociologia e tecnologia e ecologia spingono insieme, e nello sport più diffuso, praticato nel mondo, da donne e uomini, con sofisticati strumenti a due ruote per specialità di vario tipo. Alla luce dei valori attuali, è pazzesco pensare a così tante ore di televisione come quelle di cui gode attualmente il grande ciclismo e intanto a così poco sfruttamento della commedia totale. Molti, troppi minuti in diretta “vuota”, di testimonianza e basta, di una tappona sono adesso uno sciupio di occasioni. Anche i dialoghi, le riflessioni dovrebbero trovare destinazioni nuove più funzionali per chi investe: a costo, diciamolo,di apparire meno oneste (ma anche meno noiose).
Il fascino dell’attesa (figlio di quello dei nostri padri quando, senza informazioni di sorta, aspettavano, sul colle aspro e conquistato scarpinando a fatica, di vedere chi sarebbe spuntato per primo da quella curva) secondo noi si sta evolvendo nell’aspettarci che il ciclismo impari a sfruttare se stesso, il nuovo e il vecchio se stesso, secondo modelli ammodernati sinché si vuole o secondo moduli inventati o imitati. Si pensi allo show che si può combinare su quell’Alpe di Huez che quest’anno ci è mancata (altro che i fischi di Marsiglia).
Le riprese attuali di una gara ciclistica sono quelle di mezzo secolo fa, quando arrivò la televisione in diretta e al seguito: ma allora si aspettavano la Milano-Sanremo e la primavera per aprire la stagione, adesso la stagione non vien mai chiusa. È ora di cambiare tutto, o qualcosa. Non sappiamo cosa, e questo ci pare persino il bello.
P.S.: e poi c’è internet (aiutooo), che magari farà di ogni previsione emessa, qui e altrove, una fesseria. Ma stop, qui siamo ad Armaggedon, il Ventoux della tecnologia.
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