Vuelta a San Juan, là dove tutto inizia

di Giulia De Maio

Siamo stati alla Vuelta a San Juan, la corsa argentina “donde todo empieza”, da cui tutto inizia. La 49esima edizione della gara Pro­Se­ries che ha radunato ben 9 squadre World Tour e tanti big del mondo del professionismo, ci ha dato indicazioni importanti per la stagione appena iniziata. Vi sveliamo quanto ci siamo portati a casa dall’Argentina, compreso ciò che abbiamo vissuto dietro le quinte e non si è visto in tv.

La rivincita
di Miguel Angel Lopez
Il colombiano del Team Medellin si è imposto nella classifica generale con 30” di vantaggio su Filippo Ganna e 44” su Sergio Higuita. Superman, li­cen­ziato lo scorso dicembre dal Team Astana per il suo presunto coinvolgimento nell’operazione Ilex portata avanti dalla giustizia spagnola, sulle strade argentine si è dimostrato il più pimpante. Nella tappa regina con arrivo sull’Alto del Colorado ha ipotecato il successo battendo il piemontese della Ineos Grenadiers, bravissimo a tenere il ritmo dei leggeri scalatori puri e unico non colombiano tra coloro che si sono giocati il successo, e il connazionale della Bora Hansgrohe.
Il 28enne di Pesca (Boyacá), già a se­gno al debutto con il Team Medellin EPM alla Clàsica de Villeta, ha messo a tacere le polemiche sul suo conto an­dando forte in sella e senza puntare il dito sul mondo World Tour, che è sta­to costretto a lasciare per ripartire da una Conti­nental del proprio Paese.
«Per me è un nuovo inizio, mi trovo in una realtà diversa con aspettative differenti rispetto al passato, ma sono sereno. Se ho una licenza UCI per correre è perché non ho fatto nulla di male, non ho nulla in sospeso, nulla a che vedere con questioni di doping. Riparto da un team più piccolo ma con la voglia di sempre. Ci tengo a fare bene per me e per chi mi è stato vicino anche negli ul­timi mesi, a partire dalla mia famiglia, i compagni, la squadra, il mio ma­nager, gli amici come Roberto Muñoz Her­nan­dez (procuratore sportivo mol­to at­tivo nel mondo del calcio, ndr) e Gio­vanni Lombardi» ci aveva confidato una settimana prima di festeggiare con la maglia di leader e il trofeo del vincitore. Lo stesso che ricorda quello del Giro d’Italia e a cui ambiva il campione del mondo Remco Evenepoel, tra i battuti in questo primo scontro dell’anno.
Quest’anno Lopez non potrà ambire al podio di un grande giro o a chissà a quali corse prestigiose, ma non sembra farne un dramma. «Sono contento e or­goglioso per la prestazione della squadra. La vittoria è una ricompensa per il lavoro svolto da ogni membro. Ab­bia­mo dimostrato di essere i più uniti e i più forti. Questa è la seconda volta che il Team Medellin conquista la maglia di leader e, credo, sia un primato che non possono vantare altre squadre. La dedica è per la mia famiglia, mia mo­glie e i miei figli, che sono una cer­tezza nella buona e nella cattiva sor­te. Ri­vol­go i miei complimenti anche agli organizzatori, i tifosi penso si siano divertiti parecchio nel corso di questa settimana. La stagione è solo all’inizio ma sono fiducioso che continuerà con il piede giusto. Voglio godermi ogni mo­mento, sfruttare ogni occasione, ogni corsa a cui sarò al via». La prossima sarà il campionato nazionale.
Nella foto finale di rito con lui posano gli altri vincitori delle classifiche in palio: Manuele Tarozzi della Green Project Bardiani CSF Faizané che ha conquistato quella dei GPM, Gerardo Matias Tivani (Municipalidad de Po­cito) quella dei traguardi volanti, il neoprof americano Matthew Riccitello (Israel Premier Tech) ha chiuso come miglior Under 23 nella generale seppur sembri un bimbo, Leandro Mes­sineo (Chimbas Te Quiero) si è laureato mi­glior argentino e Nicolas Tivani (Team Corratec) miglior sanjuanino, la Ineos Grenadiers con i “nostri” Ganna e Vi­viani ha chiuso come miglior team.

Velocisti a caccia di vittorie
Questa corsa, seppur non sia riconosciuta come World Tour o forse proprio per questo, attrae sempre un nu­me­ro di atleti con un palmares di tutto rispetto. Anzi, i corridori più titolati che vogliono iniziare l’anno al caldo senza lo stress che impone una corsa a tappe del massimo livello, viaggiano vo­lentieri verso l’Argentina. Così han­no fatto i migliori velocisti al mon­do che si sono sfidati andando a caccia dei primi successi del 2023.
Come un calciatore ha bisogno di fare goal per trovare fiducia in sé stesso, così uno sprinter ha la necessità di al­za­re le braccia al cielo per convincersi che questo sarà il suo anno.
La prima volata è stata appannaggio di Sam Bennett che ha preceduto Mi­chael Morkov e Giacomo Nizzolo. In un finale convulso, in cui parte del gruppo ha sbagliato strada, l’irlandese della Bora Hansgrohe ha festeggiato davanti all’ultimo uomo della Soudal Quick Step che nel concitato finale aveva per­so di ruota il campione d’Eu­ropa Fabio Jakobsen. L’olandese, che non ha risparmiato polemiche agli or­ga­nizzatori in tema di sicurezza e ha richiamato i tifosi al rispetto dei corridori, si è rifatto a Jáchal 24 ore dopo, battendo il colombiano Fernando Ga­viria e lo spagnolo Jon Aberasturi.
Il terzo giorno all’Autódromo de Vil­licum i velocisti sono stati beffati dall’attacco da finisseur di Quinn Sim­mons. L’ameri­ca­no della Trek Sega­fre­do, guidato in ammiraglia da Adriano Baffi, ha preceduto l’idolo di casa Ma­xi­miliano Ri­che­ze e Bennett, che in maglia di leader ha regolato il gruppo. Nella quarta tappa, con traguardo a Barreal, Fernando Gaviria ha centrato il primo successo in maglia Movistar. Mimando il gesto di una telefonata il colombiano, apparso sereno e in palla come non succedeva da tempo, ha re­golato Peter Sagan e Filippo Ganna, che con una volata lunga ha cercato di anticipare i colleghi con cui aveva pre­so il largo.
Dopo la giornata di riposo e la tappa regina con arrivo in salita, le ultime due occasioni per le ruote veloci hanno rivelato al grande pubblico Sam Wels­ford. Nella sesta tappa il 27enne del Team DSM, al secondo successo in carriera dopo una tappa del Giro di Turchia 2022, ha avuto la meglio su Sam Bennett, Fer­nando Gaviria, Fabio Jakobsen e Attilio Viviani, che per la prima volta ha “battuto” il fratello maggiore Elia Viviani. In quella conclusiva si è imposto davanti a Jakob­sen, colpito al volto da un tifoso sportosi con il cellulare dalle transenne, e a Nizzolo, ancora una volta il migliore dei nostri.
In pista Welsford ha un curriculum che parla per lui: terzo nell’inseguimento a squadre a Tokyo2020 e secondo a Rio2016, campione del mon­do del quartetto junior nel 2013 e 2014 e tra gli elite nel 2016, 2017 e 2019, è stato iridato anche nello scratch, sempre nel 2019. Su strada sta cercando di capire che corridore può diventare, si­curamente può migliorare nello stare in gruppo (è caduto nella 2a tappa, ndr) e limare qualcosa a livello di peso, ma nella “corsa dove tutto ha inizio” ha dimostrato di essere un uomo da tenere d’occhio.
«Per me è speciale battere campioni che ho sempre seguito in tv, confrontarmi con i migliori al mondo su strada è stimolante. Essere al loro livello è il mio obiettivo per il futuro. Sprintare in pista e su strada è molto diverso, un conto è andare a tutta l’ultimo giro di una gara un altro è passare ore con sa­lite e poi lottare al massimo per 3-5 chilometri. La sfida per un atleta con le mie caratteristiche è non arrivare allo sprint già affaticato».

Egan Bernal è tornato
Come avrete modo di leggere nella lunga intervista che ci ha concesso sfogliando queste pagine, Egan Bernal è tornato alle corse e anche ad ottimi li­velli. Dopo il gravissimo incidente che un anno fa gli ha stravolto la vita, ha ripreso a pedalare con continuità e, per la prima volta, può davvero tornare a pensare al Tour de France come ad un obiettivo. Il 26enne di Bogotà si è mes­so alla prova nella quarta tappa andando in fuga e nella tappa regina con arrivo ai 2.734 metri dell’Alto del Colo­ra­do ha chiuso quarto, precedendo tra gli al­tri a Remco Evenepoel, settimo. Il chico maravilla, come lo chiamano da queste parti, aveva provato ad attaccare ma non è riuscito a fare la differenza, anzi si è “parcheggiato” come ha scherzosamente commentato sui suoi profili social. Per l’iridato della Soudal Quick Step il prossimo appuntamento sarà l’UAE Tour dove lo attende il pri­mo scontro con Tadej Pogacar, uno dei big con cui Bernal dovrà vedersela per la maglia gialla.
Nonostante le buone sensazioni il co­lombiano della Ineos Grenadiers si è ri­tirato all’inizio della sesta tappa della Vuelta a San Juan a causa di un dolore al ginocchio sinistro provocato dalla ca­duta in cui è stato coinvolto du­rante la prima frazione. Nulla di grave confermano dal team e i colleghi co­lom­biani che lo conoscono bene. Egan è tornato a casa in via precauzionale ed è motivato per gli imminenti campionati colombiani.
Intervistando il vincitore del Tour de France 2019 e del Giro d’Italia 2021, Egan ci ha convinto che potrà tornare a lottare per il successo di un grande gi­ro: se anche così non fosse, è stato bello riabbracciarlo in Argentina dopo quello che ha passato ed è stato illuminante ascoltare quanto ha appreso ne­gli ultimi 365 giorni, davvero in salita. Non ha intenzione di “trascinarsi” co­me sta facendo il suo ex compagno di squadra Chris Froome, ha sottolineato più volte che se sapesse di non poter tornare al livello a cui ci aveva abituato prima dell’incidente avrebbe appeso la bici al chiodo. Il ciclismo insegna a stringere i denti davanti alle difficoltà ma, come ha detto lo stesso Egan, non è tutto nella vita. Nemmeno per un campione del suo calibro.

L’addio di Richeze
e l’annuncio di Sagan
Lo stesso discorso vale per altri due campioni che, seppur senza vincere, sono stati protagonisti di questa edizione della Vuelta a San Juan. Par­tia­mo da Max Richeze che con la maglia della Nazionale Argentina ha chiuso la sua carriera da vera stella. Nell’ultima tappa è stato celebrato da oltre 250.000 persone accorse per assistere all’ultimo atto di una carriera lunga e prolifica, in cui si è affermato come un ultimo uo­mo prezioso e apprezzato.
Al via dell’ultima frazione i colleghi si sono schierati a destra e a sinistra per formare un corridoio sulla linea di partenza e arrivo, un corridoio percorso a piedi da Maxi, visibilmente e comprensibilmente commosso. Applaudito dai corridori e dalla folla, abbracciato da moglie e figlia, mamma e papà, ha ringraziato tutti, travolto da un’emozione che vale più di qualunque vittoria. Il primo giro del circuito della circonvallazione è stato un tributo a questo simbolo dello sport argentino, il gruppo gli ha concesso l’onore di percorrerlo in testa e la folla è andata letteralmente in de­lirio davanti al “Messi delle due ruote”.
Questo gran finale ha fatto dimenticare al corridore argentino, che vive ormai da tempo a Bassano del Grappa, e nei prossimi giorni spegnerà le 40 candeline il risentimento nei confronti di Mark Cavendish, che lo aveva convinto a continuare a correre almeno un altro anno per aiutarlo a battere il record di vittorie di Eddy Merckx al Tour de France. «L’idea era quella di disputare un’altra stagione con la B&B Hotels e poi con l’Astana, ma all’ultimo è saltato tutto, quindi ecco la scelta di ritirarmi qui, alla Vuelta a San Juan, dove tutto era cominciato».
Se il ritiro di Richeze era nell’aria, al contrario l’annuncio di Peter Sagan di chiudere la carriera su strada ad alti livelli a fine 2023 ci ha colto di sorpresa. Il campione slovacco, di cui potete leggere su queste pagine l’intervista incrociata con Daniel Oss, ha fatto esplodere questa notizia bomba alla sera del giorno di riposo della corsa argentina, costringendoci a scrivere fino a notte fonda. Sul calar del giorno del suo 33esimo compleanno lo slovacco della TotalEnergies, circondato dai “suoi” uomini più fidati, ha spiegato di voler dedicare più tempo al figlio Mar­lon, che ha 5 anni e finora si è potuto godere poco il papà, costretto a viaggiare tanto per lavoro, e a divertirsi con la mtb, il suo primo amore.
Il tre volte campione del mondo ha de­ciso di chiudere la sua avventura nel mondo delle due ruote come l’aveva iniziata a 9 anni, vale a dire nel fuoristrada, puntando fin da ora a partecipare ai Giochi Olimpici di Parigi 2024 nel cross country olimpico.
«Il momento è arrivato. Fin da quando avevo 20 anni ho sempre pensato che mi sarei ritirato attorno ai 30, anche se ritiro non è la parola giusta per quello che mi aspetta. Continuerò ad essere presente nel mondo del ciclismo, solo in modo diverso. Magari l’anno prossimo tornerò proprio qui in Argentina con la maglia della Nazionale Slovacca. Ho voluto dare questa notizia alla pri­ma corsa dell’anno perché è giusto che i tifosi sappiano le mie intenzioni» ha dichiarato prima di salire sul palco del concerto della band rock argentina La Beriso. Al dispiacere di tutti per l’avvicinarsi della fine della carriera di uno dei corridori più amati di tutti i tempi, lo stesso Peter ha risposto con una battuta in perfetto stile Sagan. Una di quelle che già ci mancano all’idea di non averlo più in gruppo tra una decina di mesi. «Ragazzi, non sono mor­to. Continuerò a essere tra voi e a divertirmi con la bicicletta. Gli ultimi due anni sono stati difficili per me, ma non ho preso questa decisione per questo e anche se nel corso dell’anno vincessi di tutto e di più non cambierò idea. Non è per una questione di prestazione, ma dipende da ciò che voglio per me. Nel­la mia vita il ciclismo non è tutto. Nel corso di quest’anno darò il massimo per divertirmi e cogliere qualche altra corsa importante tra classiche e Tour de France».

San Juan capitale dello sport
Siamo stati davvero felici di tornare a San Juan dopo due anni in cui la corsa era stato bloccata dalla pandemia. Da come la ricordavamo ad inizio 2020, abbiamo ritrovato un’area in continuo fermento e in cui lo sport è sempre più protagonista. Nonostante la crisi economica che storicamente caratterizza l’Argentina, in questa terra arida e rocciosa che sfiora le Ande la bicicletta è strumento di rinascita. Questa è l’idea del governatore Sergio Uñac, 52 anni, politico arguto, che ispirandosi al Tour de France ha reso la corsa argentina di inizio stagione di livello internazionale.
«La Vuelta a San Juan è un patrimonio della Provincia. Voglio ringraziare tutti coloro che hanno pensato che la nostra regione potesse essere una capitale dello sport argentino, al punto da trascendere i confini della nostra amata Repubblica. Personalmente, insieme al gruppo di lavoro che mi accompagna, ho sempre pensato che lo sport non sia un percorso, ma “il” percorso per po­ten­ziare la provincia di San Juan, in modo che ognuno di noi possa vivere ogni giorno, ogni minuto un po’ me­glio. Quando si è trattato di individuare la disciplina che avrebbe identificato lo sport di San Juan abbiamo pensato al ciclismo» ha ricordato ad ogni uscita pubblica.
Anno dopo anno abbiamo avuto modo di appurare quanto questa zona così lontana dal nostro Paese abbia effettivamente investito nel mondo dello sport, regalando bici agli studenti più piccoli e attrezzandosi di infrastrutture d’eccellenza come il velodromo Vi­cen­te Alejo Chancay che nel 2025 ospiterà i mondiali su pista. Oltre a portare il meglio del ciclismo mondiale una volta l’anno nel Paese per la corsa dei professionisti e organizzare competizioni correlate per giovani, donne e atleti disabili, è stato incentivato l’uso delle due ruote nella comunità.
«Dobbiamo capire che lo Stato ha molteplici obblighi come la salute, la sicurezza e l’istruzione. Permetteremo a tut­ti di vivere un po’ meglio ogni giorno, migliorando la qualità della vita, garantendo una crescita tangibile del turismo e offrendo anche una protezione permanente per l’occupazione e le aspettative presenti e future di ogni cittadino di San Juan».
Abituati come siamo alle promesse dei politici di casa nostra (e non solo) troppo spesso non mantenute, ci siamo stupiti ancora una volta nel vedere co­me a San Juan le parole si trasformino in fatti. Non è un caso che San Juan sia candidata a capitale americana dello sport 2024 dall’Unesco. La democratizzazione dell’attività sportiva è una priorità della politica di Uñac e del se­gretario deputato allo sport Jorge Chi­ca per cui l’attività sportiva è salute, pre­venzione e inclusione. Grazie a tan­te iniziative promosse nei vari dipartimenti, attualmente 8 persone su 10 a San Juan praticano sport, soprattutto tra i più giovani le attività extrascolastiche sono un’occasione di riscatto. Lo abbiamo visto con i nostri occhi.
Iniziare l’anno in Argentina ci ha permesso di conoscere un po’ di più un Paese affascinante e accogliente come pochi altri, e di fare nuove amicizie con colleghi e addetti ai lavori provenienti da tutto il mondo. Nei lunghi trasferimenti da una sede di tappa all’altra sul furgoncino che trasportava la stampa internazionale ci siamo divertiti im­provvisando una “disco combi” in cui la canzone Pa’ la Selección di La T y La M, colonna sonora dei recenti campionati del mondo di calcio vinti proprio dalla Nazionale di Leo Messi, è diventata la nostra colonna sonora. Oltre ai momenti allegri e spensierati tra asado e cerveza, nelle due settimane trascorse a San Juan abbiamo affrontato insieme anche due avvenimenti davvero tristi, la scomparsa improvvisa e prematura di Umberto Inselvini ed Enzo Cainero. Il massaggiatore dell’Astana e l’organizzatore friulano erano “due di noi”, parte di questa carovana che gira il mondo in lungo e in largo, e nella qua­le tra un’avventura e l’altra prendono forma legami solidi e che resistono a qualunque distanza.

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