Viviani, una scelta di cuore

di Giulia De Maio

Elia Viviani ha iniziato l’anno nuovo sulla neve, in compagnia della donna che quest’anno diventerà sua moglie e un compagno di Nazionale con cui promette di continuare a regalarci forti emozioni. Il veronese, che compirà 33 anni il 7 di questo mese, non sciava da quando passò professionista nel 2010, ma sciare è un po’ come pedalare. Non si dimentica. Se sai farlo, ti basta poco per ricominciare, divertirti e non voler smettere più. Vincere costa decisamente più fatica, anche se sei un campione olimpico, una bandiera del tuo Paese, un simbolo conosciuto e apprezzato al di là del piccolo mondo del ciclismo. Elia lo sa bene e, dopo due anni in salita, riparte per un altro ciclo olimpico con una nuova maglia, un nuovo preparatore, un trolley più leggero di un anello prezioso (sì, avete letto bene, ndr) e la fame di sempre. Dopo tante volate di­sputate in allenamento su strada e pi­sta, è pronto a ributtarsi in gruppo con la forza inarrestabile di una valanga.
V come Valanga Viviani. Ti piace l’idea?
«Una vittoria tira l’altra, soprattutto per uno sprinter, ma il successo non è improvviso come una terribile valanga. Per raggiungerlo devi lavorare sodo».
Con la Cofidis lo hai fatto, ma non è an­data come speravi.
«Il dispiacere più grande che ho, legato agli ultimi due anni, è per il gruppo che abbiamo creato e per vari motivi non ha funzionato. Mettici le positività al covid, l’interruzione e i cambiamenti di programma della stagione per colpa della pandemia, la mia condizione mai al 110%... Il rammarico più grosso da parte mia è di non aver portato i risultati che avrebbero valorizzato l’impegno di tutti i componenti del team. Mi dispiace non essere più compagno di Simone Consonni, che Saba (Fabio Sa­ba­tini, ndr) abbia smesso, che mio fratello Attilio stia ancora cercando squadra... Personalmente ho sempre dato il massimo, comportandomi da professionista, ma non è stato sufficiente per non far sciogliere il gruppo che avevamo allestito».
Ora è tempo di voltare pagina. Ritorni nel gruppo Sky in cui hai militato dal 2015 al 2017. Tu sei uno molto preciso, avvertivi il bisogno del rigore di Ineos?
«Sì, volevo un posto in cui trovare tut­to fatto, in cui io devo pensare solo ad agganciare i pedali e ad andare il più forte possibile. Sono convinto che questo farà la differenza. Dopo essere andato via da Sky, nel 2018-19 sono stato benissimo in Quick Step, società che è meno “inquadrata” ma che mi ha offerto un ambiente in cui sono stato messo a mio agio, responsabilizzato al momento giusto, supportato con uomini preziosi in gare importanti. In Sky prima e ora in Ineos ricevo un trattamento diverso ma a questo punto del­la mia carriera era la scelta migliore per me».
Dopo quattro stagioni quanto è cambiato il gruppo Sky/Ineos?
«È sempre strutturato alla perfezione, l’organizzazione, lo sviluppo, la ricerca sono ai massimi livelli, ma l’ambiente è meno “controllato”. Ricordavo una regia più schematica, ora è più friendly (amichevole, ndr). Ritrovo un gruppo che è più gruppo. L’ho notato nei ritiri di dicembre e gennaio: c’è sintonia tra i corridori, nessuno cerca i propri connazionali o storce il naso per il compagno di stanza che gli capita, non ci so­no divisioni. A livello tecnico ritrovo lo zoccolo duro composto da Kwiat­kow­ski, Porte, Rowe, Thomas che può trasmettere la propria esperienza a giovani di talento come Hayter, Pidcock, Filippo (Ganna, ndr), il 19enne americano Sheffield. Sono arrivate nuove figure e altre hanno cambiato ruolo. Rod Ellingworth, che quando vestivo la maglia di Sky mi seguiva come preparatore, è diventato il braccio destro di Dave Brailsford, il Toso (Matteo To­satto, ndr) era appena arrivato nel gruppo dei tecnici mentre ora, dopo aver vinto due Giri d'Italia, è uno dei diesse faro così come Dario David Cio­ni, che da quest’anno mi seguirà per la preparazione».
Come procede?
«Senza intoppi. Sono contento di essere stato affidato a Cioni perchè so che rapporto instaura con i corridori, avevo visto quanto ci tiene prima con Mo­scon e più di recente con Ganna, so che è una figura importante per lui, e questo mi dà tranquillità. Non abbiamo stravolto nulla. Ci siamo confrontati onestamente, Dario non è il tipo che arriva e dice “si fa come dico io” e io ormai un po’ di esperienza l’ho maturata. Insieme abbiamo valutato cosa di buono era stato fatto in passato e quali errori avevo commesso. Abbiamo analizzato cosa era andato bene in Sky e negli anni in Quick Step, valutato cosa non ha funzionato negli ultimi due an­ni e appurato perché ad un certo punto le cose hanno iniziato ad andare me­glio».
Il responso è stato...?
«Che ho bisogno di svolgere lavori specifici in pista, sono quelli che hanno fatto la differenza dall’estate in poi. Non a caso in vista della nuova stagione ho iniziato a svolgerli fin da dicembre. Rispetto al passato mi alleno di più in palestra per migliorare gli sprint e la resistenza, faccio soprattutto “squat” ed esercizi massimali alla pressa. Nei due ritiri prima dell’inizio della stagione ho svolto distanze lunghe (sopra le 6 ore) con salite per le classiche, ma il focus è sempre stato sulle volate. Devo essere esplosivo, quindi 2 giorni su 3 ho lavorato quell’aspetto con sprint e dietro moto. Ai tempi di Sky dedicavo solo 1 giorno su 3 al mio spunto veloce. L’obiettivo è non snaturarmi».
Dei nuovi compagni chi ti ha colpito?
«Ethan Hayter è il classico talento sottovalutato, ha già vinto tantissimo, sa cosa vuole, lavora duro e senza dare troppo nell’occhio, è uno super tranquillo, non troppo espansivo, ma ha talento e potenzialità enormi. Non è solo veloce, ha grandi qualità sia per la pista che per la strada. Tom Pidcock ha un altro carattere e un’altra maturità, seppur sia ancora più giovane. È un leader autorevole, determinato, ascolta quello che gli si dice ma risponde, si vede che ha già una sua idea in testa, che recepisce il buono ed elimina ciò che secondo lui non gli serve. È molto più formato, i risultati che ha ottenuto lo hanno reso più maturo. Ha 22 anni, ma è pronto. Rispetto ad altri fenomeni esplosi nelle ultime stagioni è cresciuto gradualmente, tra cross e mtb, ha percorso tutte le tappe necessarie per essere tra i migliori anche su strada. Nel primo ritiro abbiamo condiviso la camera, abbiamo parlato dei nostri successi olimpici, mi ha confidato co­me mettersi l’oro al collo del cross contry sia stato bellissimo e lo abbia trasformato. Lo capisco benissimo».
L’obiettivo è di partire forte.
«Sì, ho bisogno di conferme. Dopo To­kyo ne ho avute ma ricerco continuità. Per vincere gare importanti bisogna passare da quelle che le precedono, an­che per guadagnarsi il posto in squadra. Essendo in un top team nulla è dovuto, giustamente nei grandi appuntamenti verrà dato spazio a chi è più in condizione. Inizierò alla Volta a la Comunitat Valenciana il 2 febbraio, l’UAE Tour sarà il primo confronto con i migliori sprinter al mondo, quindi mi aspetta la Tirreno-Adriatico, avvicinamento fondamentale per le classiche. Uno squillo nella corsa dei due mari è sempre un buon segnale in vista di Milano-Sanremo e Gand-Wevelgem. Ogni gara ha il suo perché partendo dal­la prima, in cui voglio già essere com­petitivo, e arrivando al Giro d’Ita­lia, che è l’obiettivo numero 1 per la squadra. Voglio tornare a disputare una corsa rosa da protagonista, se non come nel 2018 quando vinsi 4 tappe e la maglia ciclamino, a livelli simili. La prima missione è partire bene e racimolare più vittorie possibili, per un velocista è fondamentale».
In pista quando ti vedremo con il numero sulla schiena?
«Nella prima parte dell’anno userò il velodromo solo per gli allenamenti. Con la Nazionale sono stato a Novo Me­sto e Montichiari, con Pippo e Ineos a Palma di Maiorca. Non parteciperò alla prima prova di Coppa delle Nazioni perché è in programma prima del Giro, ma dopo la corsa rosa stileremo un piano con il CT Villa. Gli Eu­ro­pei su pista coincidono con quelli su strada, vedremo il da farsi in base al percorso, di sicuro correrò il mondiale che è ad ottobre e a quel punto la stagione su strada sarà conclusa».
Hai trascorso Capodanno sulla neve con Trentin e le vostre famiglie. Vi siete confidati un sogno da centrare nel 2022?
«Con Matteo parliamo di tutto, del ciclismo moderno, delle sue problematiche, dei rispettivi programmi e, sì, anche dei nostri sogni sportivi. Siamo dello stesso anno, viviamo entrambi a Monaco, Elena (la compagna Cecchini, professionista della SD Worx, ndr) e Claudia (Morandini, moglie di Trentin, ndr) vanno d’accordo e i loro bimbi sono splendidi. Ci mancava una sciata e così ce la siamo regalata il 1° gennaio dopo aver festeggiato insieme il 31. Non sciavo da quando sono passato professionista nel 2010, anzi a dirla tut­ta non ricordo l’ultima volta che avevo inforcato gli sci. Temevo di non essere più in grado di farlo, invece dopo un attimo di titubanza ho ripreso confidenza e mi sono divertito un sacco, ri­promettendomi che riprenderò regolarmente quando smetterò con il ciclismo agonistico».
Quest’anno tu e Trento compirete 33 an­ni. Non siete più dei ragazzini e i ventenni spopolano. Come si fa a tenerli a bada?
«Non sbagliando nulla. Già così nel ci­clismo di oggi spesso arrivi comunque secondo o terzo, ma lavorare duramente è la base e poi c’è l’esperienza che gioca la sua parte. Il giovane, avendo più energie, a volte esagera e paga, noi sappiamo gestirci meglio, abbiamo l’occhio per cogliere il momento giusto e per muoverci in gruppo. I fenomeni emersi negli ultimi anni hanno dominato in salita, nei grandi giri e in qualche classica, ma in volata anche se Wout Van Aert è un osso duro, più o meno siamo sempre i soliti a giocarcela. Non c'è il Kittel dei giorni d’oro o un altro che domina. La partita è aperta, ma è chiaro che per uno come noi o come Sagan, che sogna e insegue la Sanremo da anni, pensare che c’è più di uno di questi ventenni che può attaccare sul Poggio e staccare tutti non è piacevole. Sono dotati naturalmente, viene spesso da pensare come fare a batterli, ma sarei decisamente più preoccupato se dovessi vincere il Tour de France contro il Pogacar degli ultimi due anni».
Guardandoti indietro, quali sono le soddisfazioni più grandi che hai ottenuto?
«Beh, il titolo di campione olimpico dell’Omnium conquistato a Rio2016 è la più grande di tutte. I Giochi sono qualcosa di eccezionale, me lo ha confermato la medaglia di bronzo dell’anno scorso. Quanto tengo ai cinque cerchi ha inciso anche nel mio ritorno ad Ineos, che ritiene importante la pista e mi ha offerto un progetto di tre anni in ottica Parigi2024. Il Giro 2018 è stato la corsa su strada dei sogni, me lo ten­go stretto insieme al Campionato Ita­liano 2018 e all’Europeo 2019, soprattutto per come li ho vinti».
Guardando avanti, quelle che vuoi ottenere prima della fine della carriera?
«Voglio tornare a lottare per un Europeo e un Mondiale su strada, percorsi permettendo. Il tracciato iridato australiano di quest'anno pare duro, non da velocisti puri ma se ci si presenta nelle migliori condizioni come Nizzolo in Belgio e si resiste in salita... Il CT Bennati farà le sue valutazioni. Sogno Sanremo e Gand e continuo ad essere innamorato del Giro perchè in 21 giorni da italiano ti dà tanto. Per quanto riguarda la pista, non essendo più ossessionato dal mondiale (quest'anno ha finalmente vestito la maglia arcobaleno nella prima storica edizione dell'Eliminazione, ndr), mi concentrerò su Parigi2024».
Per il dopo, hai già qualche idea?
«A volte ci penso, altre mi dico: “Concentrati solo sul tornare ad essere uno dei migliori al mondo” e per farlo non sono ammesse distrazioni. Dopo i Giochi di Parigi mi immagino per altri due anni in sella, poi vorrei restare nell’ambiente ma non so in che ruolo. La figura del direttore sportivo mi piace ma sarebbe molto impegnativa, sarei an­cora sempre via da casa. Ho sempre tenuto buoni rapporti con gli sponsor e le squadre con cui ho lavorato, mi comporto bene e sono sicuro qualche porta si aprirà. Darmi alla politica sportiva? Non mi piace stare fermo e non fare nulla, sono entrato nella Commissione Atleti dell’Uci come rappresentante della pista perché voglio migliorare le cose, presentare i problemi ai tavoli in cui vanno trattati per cercare di risolverli. Mi piace dare una mano, ma non so se caratterialmente sarei all’altezza di un ruolo a tempo pieno. Mi vedo più come un tecnico che un politico, mi piace più stare sul campo, programmare che non far quadrare i numeri. Poi mai dire mai... Di sicuro vorrei gestire qualcosa, sarebbe bello essere a capo di un bel progetto, ma è presto per pensarci sul serio».
Torniamo al presente allora. Per le volate non avrai più un treno tutto per te, ma dovrai tornare un po’ al fai da te. Questo ti stimola o ti stressa?
«Per me è importante la chiarezza, per questo calendario alla mano abbiamo già individuato chi avrò al mio fianco gara per gara. Alla Valenciana potrò contare su Ben Swift, che in generale sarà il mio punto di riferimento, l’uomo addetto a portarmi davanti nel finale. All’UAE Tour ci sarà Pippo di cui sfrutterò il più possibile le trenate, alla Tirreno la squadra sarà più incentrata sugli scalatori ma mi è stato garantito un supporto. Nelle corse di un giorno più importanti schiereremo Kwiato, Hayter, Pippo e non solo, quindi avremo una squadra competitiva che potrà correre in più modi».
Una vittoria l’hai già centrata prima di iniziare la stagione: Elena ha detto sì.  
«Avevo l’anello pronto da un anno e mezzo, poi tra il covid e il resto, era rimasto nascosto in un vecchio trolley in garage, tanto che Elena a posteriori mi ha fatto notare che se fossero venuti i ladri ce lo avrebbero potuto rubare. Io ogni tanto comunque controllavo che fosse sempre lì (sorride, ndr). Ad ogni modo ho deciso di darglielo du­rante le vacanze alle Maldive di questo inverno. Pensavo ad una cena romantica ma c’era sempre troppa gente nel villaggio in cui ci trovavamo, volevo qualcosa di più intimo, così visto che anche a Monaco abbiamo un appartamento vista mare e ogni volta rimaniamo ammaliati dalla bellezza del sole al tramonto, ho deciso di affittare una barchetta e organizzare un’uscita sul calar del sole. Anche in questo caso ho rischiato un po’ perchè lei soffre il mal di mare e chiaramente quella sera c’era mare mosso, ma a parte questo è stato perfetto. Per la verità il mio cervello non ha registrato l’immagine nitida del momento in cui ha detto sì, un po’ perché lei piangeva e non ha risposto in modo chiaro, un po’ perché entrambi eravamo davvero emozionatissimi».
Quando si terrà il matrimonio?
«A fine stagione a Udine, a casa della sposa, come tradizione vuole. Sarà mol­to classico. Opteremo per il primo o ultimo sabato di ottobre, pre o post mondiale pista, decideremo in base ai nostri rispettivi calendari agonistici perché la maggior parte degli invitati ovviamente sarà legata al mondo del ci­clismo. I preparativi fervono. Elena ha già fatto tanto, molte decisioni le prende lei, ma io partecipo. Abbiamo creato una chat dedicata al matrimonio e abbiamo affidato a una wedding planner il grosso perché dal 2 febbraio non avremo più tempo di visitare location (operazione completata prima dell’inizio delle gare, ndr) o altro. Diremo so­lo sì-no, ci piace-non ci piace alle varie proposte tra una corsa e l'altra».
Dopo la dichiarazione d’amore, attendiamo quella sportiva.  
«Desidero continuità nei risultati, non mi importa vincere 10 o 5 gare, ma es­sere lì a giocarmela, senza soffrire. Vo­glio ritrovare la serenità nel risultato». Che il mare mosso sia solo un ricordo.

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