Nizzolo: «Giro, arrivo!»

di Giulia De Maio

Il Giro d’Italia 2021 scatta da To­rino, città a cui Giacomo Nizzolo ha legato il ricordo più amaro del suo “amore infinito” con la corsa rosa. Dopo sette partecipazioni e due classifiche a punti conquistate, spera finalmente di vincere una tappa.
Miglior velocista nel 2015, con due secondi posti e tre quinti, e 2016, grazie a due secondi e due terzi posti, il capitano del Team Qhubeka Assos è incredibilmente ancora a quota zero successi in rosa. In realtà il 32enne brianzolo una volata l’aveva vinta, proprio nel capoluogo piemontese, prima di vestire la sua seconda maglia rossa sul podio finale. Nel 2016 quando era un portacolori della Trek Segafredo vinse l’ultima tappa ma fu squalificato per una scorrettezza in volata, una de­viazione non regolamentare nello sprint che ha visto così festeggiare il tedesco Niklas Arndt.
Vincitore della Clasica de Almeria a inizio anno e secondo di recente alla Gent Wevelgem, con la sicurezza che gli ha dato il buon avvio di stagione il campione italiano ed europeo in carica è pronto a tornare sulle strade della corsa a tappe che più ama per lasciare il segno. Nel mirino ha messo le sei frazioni adatte alle ruote veloci che presenta l’edizione 104: la seconda con traguardo a Novara, la quinta a Cattolica, la settima a Termoli, la decima a Foligno, la tredicesima a Verona e la diciottesima a Stradella.
Immaginiamo tu non ne abbia una preferita, l’obiettivo numero uno è vincere una benedetta tappa.
«Esatto. Quella è la priorità sia per me che per la squadra, la classifica a punti verrà di conseguenza. Dopo una buona campagna delle classiche, non ero al top alla Milano-Sanremo (18°, ndr) ma non ho rimpianti, e dopo mi sono concesso cinque giorni di recupero. Alla ripresa degli allenamenti ho dovuto fa­re i conti con un problema al ginocchio, il mio punto debole. L’ho battuto contro il manubrio per colpa di un sal­to di catena e sono stato costretto a stare fermo 3-4 giorni in più che hanno rallentato il mio avvicinamento al Giro. Sono un po’ “corto” rispetto alla preparazione ideale, ma fiducioso di essere della partita».
La retrocessione nell’ultima tappa del 2016 è il ricordo più amaro che hai legato alla corsa rosa?
«Sì, la mia deviazione di traiettoria fu ritenuta oltre il consentito dalla giuria. A malincuore ho dovuto accettare il verdetto. Ormai è acqua passata, guardiamo avanti».
A proposito di regole da rispettare, cosa pensi delle nuove normative UCI?
«Per quanto riguarda l’aspetto dell’ecologia sono d’accordo che dobbiamo fare più attenzione a dove gettiamo i rifiuti, ma trovo assurdo che venga sanzionato il lancio delle borracce in presenza di pubblico. Sono un gadget am­bito, i tifosi fanno a gara per raccoglierle, passarle in sicurezza è possibile e fa parte della tradizione del nostro sport, che per natura è il più vicino agli spettatori».
E delle posizioni bandite, che dici?
«Non ho mai visto un collega assumerne una pericolosa in gruppo, nessuno le ha mai utilizzate in modo scriteriato quando circondato dagli altri, si adottano soprattutto in fuga o quando si è da soli e non ci vedo nulla di male. Ad ogni modo, ci stiamo adeguando anche a questo».
Essere un velocista è un mestiere pericoloso...
«Prendere alcuni rischi fa parte del no­stro lavoro, a volte è utile, azzarderei necessario per vincere, ma c’è un limite e non va mai superato. Tutti siamo d’accordo su questo e a chi dice che non pensa a nulla quando sprinta non credete. Nei finali concitati non si può staccare il cervello, la lucidità va mantenuta e c’è un limite che non va mai oltrepassato».
Il più bel ricordo legato alle tue partecipazioni al Giro?
«La prima volta non si scorda mai. Questa espressione di solito si usa per altri riferimenti, ma vale anche per le grandi corse. Quando ho concluso il mio primo Giro nel 2012 tagliando il traguardo della cronometro di Milano è stata una grande soddisfazione».
Cos’ha di speciale questa corsa?
«Gira l’Italia e anticipa l’estate. Ti permette di attraversare le diverse regioni, di sentire accenti diversi, per un italiano disputarla è speciale perchè ti permette di scoprire il tuo Paese e per tre settimane ti immerge in un’atmosfera da favola. Senza pubblico non sarà la stessa cosa ma lo spettacolo non mancherà».
È definita la corsa più dura nel paese più bello del mondo.
«Non a caso, è tra le più dure da portare a termine. A livello di fatica, la giornata più terribile che ho vissuto è stata la penultima del mio primo Giro. Fi­ni­va sullo Stelvio e vinse il belga Thomas De Gendt. La più assurda però risale al 2014 quando affrontammo Stelvio, Gavia e Val Martello sotto la neve. A cosa pensavo? Solo a sopravvivere».
Da spettatore bambino avrai ammirato tante imprese.
«Certo, è la corsa che ogni piccolo ciclista guarda in tv dopo scuola, ogni giorno di maggio. Tante volte la corsa rosa è transitata dalla Brianza. Non so dirvi che anno fosse di preciso ma ri­cordo nitidamente una volta che vidi passare Marco Pantani in maglia rosa circondato dai compagni in testa al gruppo. Che magia».
Per quali velocisti tifavi?
«Per Ivan Quaranta contro Mario Ci­pol­lini. Cipo era il Re Leone e poteva contare su un treno senza eguali, Ivan il Ghepardo che doveva ingegnarsi perché sulla carta era meno forte. In realtà non è che parteggiassi più per l’uno che per l’altro, mi piaceva questo dualismo».
Dopo il Giro, ti aspetta il Tour de France.
«Sì. La Grande Boucle è molto più sentita a livello globale e stressante a livello mediatico, ma è più facile portarla a termine. La corsa rosa è più impegnativa ma qualche tappa di pianura permette di godersela un po’ di più, anche se nel finale per uno come me c’è poco da rilassarsi».
Con chi dovrai vedertela quest’anno?
«Per quanto riguarda gli sprint credo che i rivali più temibili siano Caleb Ewan ed Elia Viviani su tutti».
Agli altri velocisti in gruppo cosa “ruberesti”?
«A oggi a livello internazionale i più forti sono Sam Bennett, al quale fregherei volentieri la squadra (la De­ceu­ninck Quick Step da anni con il suo treno è un riferimento assoluto per le volate, ndr), e Caleb Ewan. All’austra­liano della Lotto Soudal invidio l’esplosività».
Mark Cavendish, di recente tornato alla vittoria, ha dichiarato: “mi mancava il gusto”. Che sapore ha?
«È difficile spiegarlo. Ti dona contemporaneamente entusiasmo e leggerezza, allo stesso tempo ripaga tutti i sa­crifici compiuti fino a quel momento e dona la motivazione per lavorare con ancora maggiore impegno per gli obiettivi futuri».
Se riuscirai a vincere una tappa a chi la dedicherai?
«A tutti quelli che hanno esultato per me a Torino».
Cinque anni dopo quell’urlo strozzato in gola...

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