Asgreen, l'uomo che parlava ai cavalli

di Francesca Monzone

Nella galassia dei campioni della Deceuninck Quick-Step, c’è un ragazzo che vince tanto con la sua bici e che sa parlare ai cavalli facendoli danzare. Si tratta Kasper Asgreen, il campione nazionale di Danimarca che, prima di correre in bici, andava a cavallo e gareggiava nel dressage. Asgreen ha realizzato il suo sogno lo scorso 4 aprile vincendo il Giro delle Fiandre, quella corsa che da ragazzino lo aveva fatto innamorare del ciclismo.
«Ho sempre amato la Ronde, anche da tifoso. Tutte le Classiche sono speciali ma la Ronde con il suo pavé e quelle salite tanto ripide è terribilmente affascinante. Vincerla vuol dire saper do­ma­re la Classica più bella».
Da bambino Kasper andava a cavallo ed era bravo, spinto da quella stessa passione che gli aveva tramandato suo nonno. Non correva in un ippodromo e neanche saltava gli ostacoli, Kasper Asgreen è stato un campione nel dressage. Con calma e determinazione, aveva imparato l’arte di convincere il cavallo ad eseguire degli esercizi precisi, a muoversi in modo armonico lungo una diagonale, seguendo una musica che solo cavallo e cavaliere riescono ad interpretare all’unisono. Tanto amore per l’equitazione, ma nella sua vita c’era qualcosa che ancora doveva arrivare e che gli avrebbe fatto cambiare obiettivo. Si trattava del ciclismo di cui si sarebbe innamorato a 15 anni, guardando quel Giro delle Fiandre che per sempre avrebbe rivoluzionato la sua vita.
«Ho scoperto la bicicletta intorno ai 14 anni. Iniziai a praticarla per fare qualcosa di diverso e durante l’estate in televisione vidi per la prima volta il Tour de France. Ma qualcosa in me scatto l’anno successivo».
Era il 2010 quando Kaspeer Asgreen si imbatté nel Giro delle Fiandre, quella cor­sa che undici anni più tardi avrebbe vinto, diventando il secondo corridore danese nella storia della Ronde, dopo Rolf Sörensen nel 1997, ad ottenere la vittoria.
«Il Giro delle Fiandre è la corsa più bella del mondo. Quando l’ho vista per la prima volta nel 2010, me ne sono in­namorato all’istante. Era l’edizione in cui Boonen e Cancellara duellarono sul Muur. Ho guardato Fabian ed è di­ven­tato il mio eroe. Grazie al Giro del­le Fiandre visto in televisione e a Can­cellara ho deciso di diventare un ciclista e, quando nel 2016 ho fatto la cronometro mondiale nella categoria under 23, ho rivisto molto di lui in me stesso».
Kasper è il corridore originale che sa ri­dere dei propri errori, imparando però a correggersi. Gli ultimi due anni per questo straordinario danese sono sta­ti una crescita continua. Nel 2019 è arrivato secondo al Giro delle Fiandre, la corsa che lo ha portato a innamorarsi del ciclismo, e ha vinto una tappa del Giro della California, piazzandosi quindi terzo nella classifica generale. In Francia è arrivato secondo nella 17a tappa del suo primo Tour de France e in Danimarca è diventato campione nazionale a cronometro.
Ai Campionati del mondo nello York­shire ha fatto parte della squadra da­nese che ha aiutato Mads Pedersen a conquistare la maglia arcobaleno, combattendo contro la pioggia e il freddo e costringendo i corridori a una dura se­lezione sul circuito finale intorno ad Harrogate.
«Ricordo quella giornata ai Mondiali come un qualcosa di fantastico, ma an­che estremamente difficile. Avevo avu­to una prestazione molto deludente nella cronometro di tre giorni prima e per questo mentalmente fu difficile per me. Cercai di ri­prendermi meglio che potevo, ma sem­plicemente non avevo quel livello fisico che avrei voluto, quindi ho fatto il massimo per aiutare i miei compagni di squadra».
Il Mondiale di Harrogate fu estremamente duro e a combattere per il titolo c’era anche Matteo Trentin che, beffato nel finale, fu costretto ad ac­contentarsi della medaglia d’argento dopo una fantastica gara.
«Quando arrivammo ​​ai primi giri del circuito locale, ho iniziato a lavorare per fare selezione in gruppo, poi purtroppo, pochi giri più avanti la mia gara è finita. Saltai completamente su una delle brevi salite e arrivato alla fine non vedevo l’ora di fare una doccia calda».
Kasper è il ragazzo che al primo allenamento con il suo club ciclistico si presentò con un cappotto di pelle nera e un cappello a falde larghe in testa, in perfetto stile cowboy. Gli altri ragazzi lo guardavano in un modo strano, perché ai loro occhi, quello che poi sarebbe diventato un campione, appariva co­me un ragazzo vestito in modo bizzarro. La sua carriera da ciclista è nata al club giovanile di Kolding, dove si presentò con quei vestiti buffi per rendere omaggio a suo nonno, una persona speciale che Kasper ha sempre definito un eroe. Tornando al freddo e alla pioggia dello Yorkshire, il giovane da­nese disse di non essere troppo sorpreso per il tempo, perché nel suo Pae­se, la Danimarca, molti mesi dell’anno sono così, con giornate in cui la luce è poca e la pioggia e il freddo si impadroniscono spesso delle ore più belle.
«Oltre che nello Yorkshire, ho corso nel Regno Unito, ai Campionati Eu­ro­pei a Glasgow. Le condizioni erano molto simili a quelle dello Yorkshi­re: tempo brutto e un circuito cittadino dav­vero duro. Ma so­no abituato a cer­ti climi, in Danimarca il tempo è molto simile, ma io preferisco sempre uscire. Pedalare dentro casa è troppo noioso. Fino a qualche tempo fa non avevo nemmeno un home trainer adatto alla mia bici, perché ero passato ai freni a disco. Ma non era un problema, per me».
Il vincitore della Ronde si definisce un ragazzo ambizioso e con le idee chiare, capace di segnare i propri obiettivi e poi, con quella calma e pazienza che ha acquisito con il dressage, cercare di raggiungerli.
«Penso di aver realizzato presto cosa volevo fare veramente nella mia vita. Chi volevo essere e dove volevo andare. Sono sempre stato piuttosto ambizioso con le cose che mi ero prefissato di fare. Ma in realtà solo nel 2016 ho capito che potevo diventare un ci­clista professionista, quando ho iniziato a ottenere alcuni risultati nelle gare internazionali UCI, e in particolare il quinto posto alla cronometro dei Campio­nati del Mondo Under 23 a Doha. Quel risultato mi ha fatto davvero capire che quella poteva es­sere la mia strada».
Assaporati i primi successi in bici, Kasper non ha più pensato all’equitazione. Quando ha dovuto scegliere co­sa fare, non ha avuto dubbi e la bici è di­ventata il suo cavallo da guidare sull’asfalto.
«Nella mia famiglia tutti hanno un rapporto speciale con i cavalli, io ho imparato a cavalcare grazie ai miei genitori. Quando iniziai a crescere, ci fu l’esigenza di scegliere un cavallo migliore. La mia famiglia doveva fare delle scelte insieme a me, serviva un cavallo che avesse un buon rapporto qualità prezzo. Si pensò ad uno stallone, ma non riuscimmo a trovare un animale che rispondesse a quelle che era­no le nostre disponibilità economiche. Per me quella fu l’occasione di scendere dalla sella e abbracciare per sempre il ciclismo».
Il campione danese si diverte con la sua bici e durante l’inverno si cimenta anche con il fuoristrada.
«Ho anche una mountain bike e una bici da cross. La bici da cross è stata molto divertente da usare in bassa stagione. Mi piace perché tecnicamente è un po’ più impegnativa, ma soprattutto penso che mi diverta fare qualcosa di diverso dal solito. Con la quantità di ore che trascorro sulla strada, è semplicemente bello cambiare specialità, è un modo anche questo di arricchirsi».
Il campione della Deceuninck-Quick Step è quel corridore che sa ridere dei propri errori, come ha fatto parlando della stagione del 2019. «Durante la Kuurne-Brussel-Kuurne, ero troppo indietro nei momenti in cui avrei dovuto essere davanti. Quindi ho dovuto lavorare per colmare molte lacune. Ho dimostrato di avere molta forza, ma è un modo davvero stupido per spendere le energie».
Asgreen si diverte a raccontare del cli­ma danese, sostenendo che in Belgio, anche se c’è il pavè, è più facile correre.
«In Danimarca pratichiamo molto sport all’aperto, anche quando fa freddo e c’è poca luce del sole, non ha sen­so restare chiusi nel proprio garage. Quando sei ben coperto, non senti nien­te e dopo, quando arrivi nelle Fiandre, tutto sembra più facile, è co­me un gioco per noi correre su quelle strade».
Il danese è meticoloso, è un esperto di meccanica e un appassionato di storia dello sport. Si è informato bene sui cam­pioni del passato e in particolare ha voluto sapere tutto della vita di Ed­dy Merckx. Asgreen è curioso e si tiene informato e per il Giro delle Fiandre ha voluto scegliere personalmente il tipo di ruote da utilizzare, studiando in modo certosino le varie possibilità. Al punto che è stato il primo ciclista a vincere una Classica Monumento in questo secolo con pneumatici normali. Niente tubolari, ha optato per i copertoncini. ovvero un pneumatico esterno con camera d’aria in lattice.
«L’ho scoperto sul sito Specialized - ha detto il campione che si è consultato con il capo dei meccanici Nicolas Coo­se­­mans -. Abbiamo iniziato a te­starlo a novembre e la prima volta che l’abbiamo usato in corsa nella Omloop Het Nieuwsblad, quando Ballerini ha vinto su­bito. Io li ho usati a Strade Bianche».
Durante la Tirreno-Adriatico Asgreeen aveva avuto modo di verificare quale fosse la perdita di pressione delle gom­me dopo circa duecento chilometri. In poche parole, conosce tanto il materiale quanto il suo funzionamento.
Kaspeer è diventato finalmente un uomo delle Fiandre, dopo quel podio nel 2019 è riuscito ad essere il primo nella Ronde. Per conquistarla è dovuto uscire fuori dagli schemi e usare tutta la sua intelligenza, oltre che la sua forza.
Nel 2020 aveva detto di essersi divertito, ma che voleva fare un balzo in avanti. Quel salto è iniziato a marzo di quest’anno quando ha vinto la E3 Saxo Bank Classic arrivando in solitaria, con un vantaggio di 32” su Flo­rian Se­ne­chal, suo compagno di squadra, e Ma­thieu Van der Poel. Poi, pochi giorni dopo è arrivata la sua consacrazione a Oudenaarde, con la ma­glia bianca e rossa di campione na­zionale, ha su­pe­rato tutti i favoriti. Non c’erano Ala­philippe o Van Aert e neanche Van der Poel, c’era il ragazzone di 192 centimetri che faceva danzare i cavalli sulla sab­bia. Un finale elettrizzante dove lo sguardo del danese cercava quello dell’olandese, una sfida a due la loro iniziata sull’Oude Kwaremont, quando Van Aert si era arreso. Quell’ultimo chilometro trascorso a cercare l’attimo giusto, quello che ti permette di scattare e conquistare la vittoria. «Avevo fiducia nelle mie possibilità. Tutto si è deciso in trenta secondi, quando ho obbligato Mathieu ad andare al comando, per garantirmi una maggiore visione delle cose e decidere la mia mossa. A 200 metri dal traguardo ho accelerato. E stata la scelta giusta al momento giusto. La Ronde è mia».

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