Down Under, il lungo filo rosso della Trek Segafredo

di Paolo Broggi

La stagione 2020 è iniziata come era terminata quella del 2019, ovvero con la Trek Segafredo in trionfo. Il lungo inverno non ha spezzato la magia del team guidato da Luca Guercilena: l’autunno scorso aveva portato in dono il titolo mondiale di Mads Pedersen e i trionfi al Lombardia e alla Japan Cup di Bauke Mollema, l’estate australiana ha visto protagonista Richie Porte che ha conquistato una tappa e il successo finale nel Santos Tour Down Under.
Il tasmaniano ha bissato il successo conquistato nel 2017 anche se ha dovuto cedere - dopo sei vittorie consecutive - lo scettro di re di Willunga Hill.
«Sarebbe stato bello essere il re di Willunga per la settima volta: alla fine non abbiamo vinto la battaglia, ma abbiamo vinto la guerra - ha spiegato Porte dopo essere arrivato al secondo posto dietro al sorprendente britannico Holmes della Lotto Soudal, ultimo superstite della fuga di giornata -. Vin­cere di nuovo questa gara è una sensazione fantastica. Il giorno di Para­combe, dove ho vinto la terza tappa, ho sfruttato nel migliore dei modi il lavoro di una grande squadra e proprio ai miei compagni voglio dedicare la vittoria finale in questo Tour Down Under perché sono stati fondamentali. Nell’ultima tappa ci sono stati momenti in cui pensavo che la vittoria finale svanisse perché la fuga era numerosa e aveva tanto vantaggio, ma i ragazzi sono stati bravissimi. Pensateci, avere il campione del mondo Mads Pedersen che ti fa da gregario dà una motivazione fantastica, ma ognuno dei miei compagni di squadra è stato incredibile».
Dopo l’inizio di stagione brillante che è solito firmare nella sua terra, Ri­chie punta ora ad una stagione europea più ricca di soddisfazioni rispetto a quella dello scorso anno.
«Tra pochi giorni volerò in Europa e il primo obiettivo che mi pongo è quello di far bene alla Paris-Nice, una corsa che mi piace e che si adatta alle mie caratteristiche. Ed è chiaro poi che il grande  obiettivo della stagione si chiama Tour de France, gara nella quale dividerò i gradi di capitano con Bauke Mollema e con noi avremo anche il campione del mondo Mads Pedersen».

LA PRIMA DI SAM. Da sempre, il Down Under è terreno di caccia per i velocisti ed il primo ad alzare le braccia è stato stavolta Sam Bennett. L’irla­n­dese ha iniziato nel migliore dei modi la sua avventura con la maglia della Deceuninck Quick Step precedendo a Tanunda Philipsen, Baska e quell’Elia Viviani del quale ha raccolto l’eredità in seno al team di Patrick Lefevere.
A proposito di Viviani, il veronese non ha goduto della stessa buona sorte dello scorso anno: nel 2019 aveva vinto una tappa, quest’anno è finito rovinosamente a terra a meno di due chilometri dal traguardo della seconda tappa. Nessuna frattura, per lui, ma contusioni, bruciature e lividi sparsi per tutto il corpo. Nonostante il dolore, Elia ha voluto restare in corsa con l’obiettivo di lavorare e accumulare chilometri in vista delle corse successive e dei mondiali su pista, in programma a fine febbraio a Berlino.
A complicare i piani del veronese è arrivata la cancellazione del Tour del­l’Oman, a causa dei 40 giorni di lutto nazionale proclamati per la morte dello sultano Qabous ibn Saïd. Anche per questo Elia ha voluto concludere il Down Under, anche se le sue condizioni non gli hanno permesso di partecipare ad altre volate.

DOPPIETTA EWAN. Il velocista più in palla di tutti è stato comunque Caleb Ewan, andato a segno prima sullo strappo di Stirling nella seconda tappa e poi sul traguardo di Murray Bridge, al termine della quarta frazione. Il piccolo australiano della Lotto Soudal conferma le sue doti di “pallottola” negli ultimi 200 metri di corsa e il treno del suo team, perfettamente orchestrato dall’esperto tedesco Roger Kluge, ha ormai imparato i meccanismi e si propone come uno dei treni più concreti ed efficaci dell’intero panorama ciclistico.

GLORIA ALL’ITALIA. L’ultimo sprint della corsa ha regalato invece sorrisi all’Italia grazie al successo colto da Giacomo Nizzolo e al secondo po­sto di Simone Consonni, eletto sostituto di Viviani in casa Cofidis. A Victor Harbor Nizzolo ha regalato il primo successo della stagione alla NTT e al suo nuovo team manager, il chiacchieratisimo Bjarne Riis. Con la sua so­cietà, la Virti, Riis ha acquistato il 30 per cento della società di gestione del team sudafricano ed è tornato con un ruolo da protagonista nel ciclismo che conta.
«Ho commesso degli errori in passato, non lo nego certo - ha spiegato Riis ai giornalisti in Australia -. Li ho confessati, mi sono scusato e vi assicuro che sono cambiato. So bene che un nuovo scandalo doping rovinerebbe il ciclismo, me e la mia famiglia. Se sbaglierò ancora, mettetemi in prigione.... Le critiche per il mio ritorno? Le ho viste, sentite e lette ed è ovvio che mi facciano male perché sono un uomo, non un robot. Ho chiesto scusa per i miei errori e lo farei di nuovo se fosse necessario, ma è giusto che io vada avanti. Non posso scappare dal passato, ma da quel passato ho imparato molto. Quel mondo e quel modo di pensare hanno fatto molto male alla mia vita e mi han­no causato tanti problemi. Sono tornato perché la passione per il ciclismo è rimasta quella di sempre, perché stare seduto a casa sul divano a guardare le corse in televisione è stato frustrante. Credo di avere alcune abilità tattiche e penso di poterle trasmettere alla squadra. Sento di non aver ancora finito il mio percorso e di poter dare ancora mol­to, anche se non devo dimostrare niente a nessuno».

L’ULTIMO TRAGUARDO. A Willunga Hill, come detto, dopo sei anni non ha vinto Porte: a precedere di soli tre secondi il tasmaniano dell Trek Segafredo è stato il britannico Mat­thew Holmes, approdato quest’anno alla Lotto Soudal dopo otto stagioni di militanza piuttosto anonima nelle formazioni Contintental britanniche. Pro­ta­gonista della mega fuga di giornata - all’attacco erano in 26 - Holmes ha saputo resistere al ritorno del gruppo e negli ultimi metri ha avuto la forza di contenere proprio il ritorno di Porte, costretto ad accontentarsi del secondo posto.

NEL 2021 SI CAMBIA. Ar­chi­via­ta l’edizione 2020 - che ha avuto la fortuna di non dover fare i conti con i terribili incendi che hanno devastato altre parti dell’Australia - il Tour Down Under si prepara a voltare pagina. Dal prossimo anno, infatti, il nuovo direttore della corsa sarà Stuart O’Grady.
 «Ho accumulato una grande esperienza correndo per tanti anni tra i professionisti, poi ho lavorato per quattro anni nello staff del Tour Down Under per cercare di imparare tutti i segreti di una corsa così importante. E adesso sono pronto a portare nuove idee e strategie diverse per far sì che il TDU re­sti l’evento ciclistico numero uno in questo Paese».
O’Grady è stato il vincitore del primo Tour Down Under nel 1999, ha disputato il Tour de France 17 volte tra il 1997 e il 2013, vincendo due tappe e fi­nen­do secondo nella classifica punti quat­tro volte. E nel suo palmares spicca la vittoria nella Parigi-Roubaix 2007. O’Grady, che oggi ha 46 anni, raccoglierà il testimone da Mike Turtur e spiega quali saranno le linee guida del­la sua gestione: «In Australia ci sono mol­te salite tra cui scegliere. Non ab­biamo certo grandi cime da scalare, ma le salite ad Adelaide e dintorni ci sono…».

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