Scripta manent
Ma di quale ciclismo siamo?
di Gian Paolo Porreca

Ma a quale ciclismo mai siamo iscritti ancora, noi che lo frequentiamo, ne parliamo, di questi tempi? Qual è attualmente il nostro stato, il nostro habitat, diciamo, sportivo?
Sarà mica quello cadente, per esempio, che registra la malinconica scomparsa di una corsa a tappe popolarissima come il Midi Libre, la corsa di maggio dei francesi, ultimo vincitore, per passare meglio all’eternità, Lance Armstrong?

Nato nel ’49 con il nome di Circuit du Languedoc, il «Midi Libre», fiero di un albo d’oro che schiera Ocaña e Poulidor, Merckx e Saronni, Moser ed Indurian, Jalabert e Armstrong appunto, e pure un Bernaudeau per quattro volte consecutive, e pure un Panizza ed un Contini, un Fondriest e un Elli, va via dal calendario 2003 con una corretta dichiarazione del direttore dell’esecutivo, Noel-Jean Bergeroux, così dalla sigla primigenia e titolare della prova - il Journal du Midi - che non la sostiene più, come dal gruppo Le Monde che ad essa si era affiancato come partner organizzativo dal 2000...

E il gruppo Le Monde, l’editore di quello che resta per intenderci il quotidiano più prestigioso del pianeta, non intende più assolutamente investire nel ciclismo di questi anni. Ma perché mai? Per quegli scarni sempiterni problemi di borsa? Per quei cronici e greigi rendiconti economici, pronti sempre a tarpare le ali al volo meritorio di Pindaro?
Ma quando mai! Ben più profondamente, l’autorevole Le Monde, il suo Consiglio di Amministrazione o chi per esso, non accetta di sostenere ancora uno sport come il ciclismo che non riesce più a riscattare la sua immagine dall’inquinamento del doping!

All’ultimo Midi Libre, quello che si è svolto dal 22 al 26 maggio, ricordava Bergeroux, c’era stato un estremo tentativo da parte degli organizzatori perché si registrasse un atto di buona volontà, una concreta inversione di tendenza: il proporre un codice di regolamento antidoping, una «carta etica» da far sottoscrivere di proprio pugno a tutti gli atleti al via...
E il risultato sarebbe stato, purtroppo, sconfortante: con un atleta, Laurent Paumier, il vincitore della tappa conclusiva, hai visto mai le coincidenze, dichiarato positivo, ed altri sei corridori incriminati per uso di sostanze vietate!

Il Midi Libre chiude così per doping, in ultima analisi. E Le Monde, in perfetta sintonia, può serenamente - 24 settembre, pagina 25 - sceverare il caso Rumsas. A riprova della sua inoppugnabile scelta di campo. Con il censurabile cattivo gusto, precisiamo, del rendere pubblica pure la targa di quell’Audi immatricolata in Lituania e guidata dalla moglie del ciclista, a bordo della quale sarebbe stato scovato un armamentario incredibile di sostanze vietate e ad azione dopante. Ma dove si può mai andare, in bicicletta, con una storia squallida come quella di Raimondas Rumsas, di un medico spagnolo e di un medico polacco che si intrecciano, di ricette in lituano, a bordo di una ragione sociale italiana, di patetiche litanie di «non sapevo» e «non credevo». Ci mancava un «non lo faccio più».

Ma a questo ciclismo apparteniamo, dunque, questo che chiude per doping? No, amici. Noi e voi non siamo mica questi. Noi siamo quelli che Sergio Zavoli evoca e celebra in «Sognando di volare», il paragrafo XXI del suo esemplare Diario di un cronista, recentemente edito da RaiEri/Mondadori.

Lì è il nostro ambiente, la nostra riserva di ossigeno, il nostro bacino di passione e incanto. Lì, dove Coppi e Bartali, dove Magni e Raschi, dove Farolfi e Taccone, dichiarato quello che non sappiamo dire meglio. Né a noi stessi, né tantomeno, poniamo, a Rumsas in lituano stretto o nel toscano di Pieroni e ai suoi team manager, da Saronni ad Algeri, in italolombardo. «Il ciclismo, il massimo di possibilità poetica consentito al nostro corpo?», Alfredo Oriani «Persino cadendo, al Giro, mi sarebbe sembrato di volare», Alfonso Gatto.
E non riuscirete, chiamatevi pure Pantani o Rumsas, a scacciarci da lì, a farci credere che è stata proprio tutta una bugia. E che il ciclismo è un’altra cosa. E che noi abitiamo altrove dalla sua verità e fantasia.

Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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