Vogliamo chiamarla indecente? Se qualcuno trova un vocabolo più consono è pregato di girarmelo: io non ne ho trovati altri. Il riferimento è a una simpatica serata di fine ottobre, una delle consuete feste di fine stagione con tanti ospiti, ricchi premi e cotillons. Per tirare su l’audience e il prestigio della loro manifestazione, gli organizzatori di Conegliano hanno pensato bene di inscenare una bella discussione sull’ormai famosissimo Mondiale di Lisbona. Presenti diversi azzurri, il cittì Ballerini, volti noti come Moser, in pochi attimi il civile dibattito si è girato in un’avvilente e indecorosa esecuzione di piazza. Perché ne riparlo un mese dopo? Per dire a che livelli di abbruttimento può ridursi il ciclismo, quando finisce nelle mani dei mestatori e dei cinici.
Non so perché, ma per indole personale trovo vigliacco e insopportabile infierire sugli assenti. Eppure, questa è una regola diffusa: tanti uomini diventano delle belve crudeli quando l’obiettivo non c’è, salvo poi diventare dei docili cocker quando l’obiettivo compare davanti. Nel caso specifico, l’assente crivellato di ingiurie è ovviamente Lanfranchi. Sul suo conto la penso esattamente come la pensai quella domenica di Lisbona, senza bisogno di rivedere nelle segrete della Rai filmati semiclandestini: Lanfranchi si è mosso da pistola, sempre che ovviamente non si sia mosso da disonesto. Senza la sua rincorsa, secondo me Simoni avrebbe vinto, perché il gruppo in quel momento si stava squagliando. Opinioni, certo. Ma me le tengo e le coltivo. Stando così le cose, Simoni ha mille ragioni per togliere il saluto a Lanfranchi. Di più: avrebbe anche il diritto di prenderlo a schiaffi, come si fa tra compagni negli spogliatoi di tutte le competizioni sportive. E mille ragioni ha anche Ballerini, in fondo il primo ad uscirne da fesso, che non è mai bello. Proprio per questo, il minimo che possa fare è cancellare per sempre dalle liste azzurre il gregario bergamasco. Se poi vuole prenderlo a schiaffi pure lui, faccia pure. Quando Lanfranchi è abbastanza gonfio, si può smettere.
Detto questo, dato a Lanfranchi quello che è di Lanfranchi, torniamo alla simpatica serata. La prima cosa da dire è sul direttore di Raisport, Giovanni Bruno, compiaciutissimo di proporre in un anonimo teatro di provincia la prova filmata del grande tradimento. Ma come: hai un documento che spiegherebbe tutto e vai a mostrarlo in un teatro di Conegliano? Scusa, mi viene da chiedere, ma la televisione che ti paga? Lo ricordi o no, ogni tanto, che i filmati non sono un tuo privatissimo affare, da piazzare qua e là secondo amicizie e convenienze, ma un patrimonio informativo del servizio pubblico? Vuoi mostrarla anche a noi, anonimi appassionati in giro per l’Italia, la tua memorabile scoperta, oppure ti dobbiamo invitare a qualche festa della tinca per avere rivelazioni? I casi sono due: o Bruno è un pessimo direttore, che non manda in onda sulla sua televisione documenti così scottanti, oppure è una gran carogna. Gli lascio la scelta, anche se non so che cosa sia meglio. So però che troverà ottimi motivi per sentirsi comunque un drago. L’uomo è questo.
Poi ci sono gli altri. Gli organizzatori, Moser, quelli che urlavano venduti ai corridori della Mapei. Proprio un grande spettacolo, proprio una bella prova di coraggio: tutta una moltitudine contro due poveretti che balbettavano timide autodifese. Altro che simpatica serata, altro che gran galà del ciclismo. Sì, questa roba si chiamerebbe galà. Pensa se si chiamasse, faccio per dire, “Torte in faccia”: che cosa farebbero, concluderebbero la serata con una gaia sparatoria?
Imboscate, ecco come si chiamano in realtà certe occasioni. Cose brutte, che non c’entrano nulla con lo storico stile del ciclismo, da sempre nutrito di grandi rivalità, di grandi discussioni, di grandi litigi: ma leali, guardandosi negli occhi, senza trame segrete e filmati alla schiena. Il buon Bruno, che legge il breviario di Sergio Zavoli dalla sera alla mattina, dovrebbe anche capire che cosa legge: se Zavoli ha un merito storico, è aver proposto all’Italia intera la genuinità e l’onestà di un ambiente particolare, magari folkloristico e turbolento, sanguigno e stravagante, ma sempre corretto. Le congiurette da sottobosco parastatale non dovrebbero entrare in questo ambiente. Il ciclismo è urla e strepiti: però in faccia, non alle spalle. Qui invece c’è un sacco di bella gente che esprime il meglio di sé soltanto da tergo. Poi dice che non è più il ciclismo di una volta.
Quanto alle vittime dell’agguato, io mi limito a un consiglio. Scelgano bene dove andare, d’inverno. E nel dubbio, astenersi. A casa propria si sta benone, non l’ha ordinato il medico di passare da una cena all’altra fino a gennaio. Se invece non riescono proprio a trattenersi, perché una medaglietta e un piatto di fagioli sono richiamo irresistibile, allora vadano pure a farsi massacrare. Se lo meritano.
Cristiano Gatti, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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