Ormai si rischia di diventare ossessivo-compulsivi, ma la colpa è tutta dei regolamenti (cervellotici, fumosi, macchinosi, sgangherati). Resta il fatto che il giallo Froome, in questo caso non aggettivo ma sostantivo, tiene continuamente banco e rischia di tenerlo ancora per una cifra di settimane, con largo spiegamento di cavilli e di cavillosi.
Anch’io invischiato fino al collo in questa vicenda, non per eventuali complicità ma per puro dovere d’osservatore e di tifoso, vorrei portarmi avanti con il lavoro e porre da subito una questione italianamente fondamentale. Questa. Partendo dal presupposto infame, che tutti vediamo come il peperoncino negli occhi, di un Froome ancora in ballo a lungo, come dovrebbe comportarsi il Giro d’Italia?
Per copiosa esperienza personale, tutti noi conosciamo già le risposte del caso. Gli impassibili a termini di regolamento dicono apertamente che chi non è squalificato può correre, dunque se Froome non è squalificato corre il Giro. Poi però ci siamo anche noi, un’umanità diciamo così più dubbiosa e più fragile, che va anche sulle sfumature e sui dettagli, perché la vita non è mai nera o bianca, preferendo solitamente piazzarsi nel mezzo. E a noi che guardiamo anche al resto, non solo ai regolamenti, rode parecchio l’idea che comunque Froome venga al Giro senza una chiarezza totale sulla sua escursione smodata nell’impalpabile mondo del Puff.
Non serve certo il Gatti per ricordare al mondo del ciclismo il precedente di Contador, che corse il Giro, vinse il Giro, poi perse il Giro perché risultato colpevole. Ci è bastata una volta, quella palude di non detto e non fatto. Ci è bastato quel non Giro, per pensare sul serio di ricamarcene un altro. Per cui, non esito a prendere posizione: se Froome fosse ancora a mezza strada, tra presunzione di innocenza e colpevolezza conclamata, tra assoluzione e squalifica, in ogni caso non dovrà venire. Sarà il numero uno, sarà pure lo special guest della compagnia, ma la sua presenza è comunque sgradita. Il Giro deve tagliarlo.
Vorrei essere chiaro fino alla pedanteria: non è una condanna preventiva, Froome ha tutto il diritto di combattere la sua battaglia scientifico-legale dispiegando ingenti capitali, branchi di avvocati e legioni di scienziati, ma per noi italiani resta uno che ha sforato (di moltissimo) i limiti consentiti, molto più dei nostri Petacchi e Ulissi (giustamente crocefissi), e non c’è battaglia legale sul filo dell’acrobazia medica che ci faccia cambiare idea. Se il Giro ha la possibilità di lasciarlo a casa, deve lasciarlo a casa. E se i dirigenti rosa non ne vogliono fare una questione morale, possono tranquillamente farne una di pura convenienza.
Chiedo pubblicamente: un Giro così bello e così particolare, così carico di significati ideali (vedi Gerusalemme, vedi Bartali, vedi il Belice e vedi tutta la poesia abbinata alla gara sportiva), un Giro così davvero può portarsi in Giro un favorito così, così sospetto, così discusso, così “bruciato”? Davvero il Giro preferisce avere al via e portare tra la gente questa star a tutti i costi, anche al costo di suscitare ogni giorno, in ogni borgata, i ma-se-però scontati e inevitabili, con discussioni lugubri che sovrasterebbero la bellezza della corsa e i suoi temi più alti?
Io non ho dubbi: di Giri con la nuvola nera sopra la testa, in libertà vigilata, sotto scacco, ne ho già visti troppi. Personalmente non ho voglia di passare anche il mese di maggio a parlare o a sparlare di Froome. In certi momenti, meglio una bella amputazione. Sarebbe un Giro senza mattatore, senza supervip, ma sarebbe un Giro trasparente, libero, leggero. E comunque chiuderei con una domandina: siamo sicuri che Froome, dopo la cura da cavallo di Ventolin, dopo la messinscena del suo sì sapendo d’essere sotto processo, sia ancora un ospite d’onore?
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