Le vicende del doping hanno infierito soprattutto sul ciclismo, che ci ha messo la faccia, ha pagato, sta pagando, permettendo intanto a tanto altro sport di sentirsi al confronto più pulito o più furbo. Personalmente, ritenendo che gli sport senza doping siano quelli che non hanno un valido antidoping, e che comunque il concetto stesso di doping sia sotto revisione profonda, alla luce dell’avvento delle cellule staminali, dei trapianti e della genetica (e diciamo di scoperte già rifinite: ma chissà cosa d’altro ribolle nelle teste e nelle provette dei ricercatori), non abbiamo mai drammatizzato. Adesso siamo, neanche troppo paradossalmente, ottimisti: il ciclismo è, con l’atletica leggera e lo sci nordico, uno dei pochi sport puliti o intenti a ripulirsi, nel senso anche che ha la coscienza a posto e se lo dice, se lo ripete, vuole insistere.
Ma non è di questo che vogliamo trattare. Piuttosto vogliamo segnalare che le tesi esposte nelle righe qui sopra sono state da noi mandate avanti in convegni, dibattiti, conferenze, con gente del ciclismo e di ogni sport, e anche con gente che segue lo sport senza fare parte di nessuna sua congrega. Bene, ogni volta che abbiamo detto quanto qui sopra abbiamo scritto, abbiamo raccolto consensi, applausi, persino ringraziamenti. Come se avessimo aiutato tanta gente a recuperare l’orgoglio di un amore, a intuire la forza di una passione, a capire di botto di essersi sin lì lasciata fregare dall’approssimazione, addirittura dalla cattiveria di praticanti altre religioni sportive.
E non solo: abbiamo ricevuto consensi e persino ringraziamenti da parte di gente grande del ciclismo, gente che non ha mai abbandonato l’orgoglio del suo amore, ci mancherebbe altro, ma che specie ultimamente stentava a raffigurarselo tutto, nella sua interezza, nella sua costante attualità, nella sua persistente verginità di sentimenti. In due diverse occasioni abbiamo personalmente raccolto addirittura il grazie diretto, esplicito di personaggi ai quali grazie noi dobbiamo dire (e diciamo) da anni e diremo per sempre. Tanto per far nomi, e rispettando l’ordine alfabetico dei cognomi e la cronologia dei loro interventi, Felice Gimondi e Alfredo Martini. Due interventi affettuosi, due enormi regali.
Però dobbiamo anche dire del nostro personale stupore. Ma come, c’è bisogno di un guitto di giornalista perché il ciclismo si faccia una flebo di dignità? Il fatto è che il ciclismo soffre anche di buona educazione, di rispetto della casa d’altri, di gentilezza poetica, tanto tenera quanto deleteria. La sua gente migliore sa parlare, eccome (ricordiamo un recente sensazionale fiero Alfredissimo Martini all’Auditorium di Roma, in un bell’incontro con Gianni Mura), ma essendo intelligente sa anche ascoltare. E c’è chi ne approfitta per rifilare i propri dubbi, le proprie critiche, i propri sarcasmi, sicuro di essere ascoltato perché ha a che fare con persone per bene. E così devia il discorso del marcio nello sport sul ciclismo, e si sente esentato dal parlare delle cosacce di casa propria. Atteggiamento, questo, tipico della gente del calcio, abilissima nel chiedere del doping nel ciclismo per non lasciare tempo e spazio a domande sul doping nel suo sport.
Già, il calcio. Da una parte i suoi cultori, i suoi difensori ad oltranza, i suoi incensatori, i suoi corruttori, i recensori dei nuovi fasti, delle nuove rutilanti fortune, dicono che ormai la somma degli impegni agonistici e degli impegni con gli sponsor è così alta, in uno sport così seguito, che in pratica l’allenamento vero e proprio non esiste più, manca il tempo per curare il fisico, da qui i molti incidenti. Dall’altra parte, quando devono fronteggiare domande pesanti sulle muscolature eccessive dei giocatori, sulla incredibile velocizzazione e irruenza del gioco, dicono che non c’entra, no, il doping, ma che queste meraviglie di atletismo e anche di culturismo sono dovute alle infinite ore di allenamenti in palestra ed all’aperto, con esercizi fisici pesantissimi intanto che nobilitanti e fachiristici.
Da qui pensare che il mondo del calcio ritiene, per le parole di suoi alti esponenti, che il mondo del ciclismo sia pieno di cretini, il passo è brevissimo. Ma forse c’è una realtà che deve preoccuparci ancora di più, e che affrontiamo con una domanda: e se, per eccesso d’amore, fossimo cretini davvero?
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Tira già una brutta aria di sfiducia verso il Giro d’Italia del 2010, l’edizione dei cinquant’anni da che è morto Coppi e e dai dieci anni da che è morto Bartali. “Leggendolo” bene, si è scoperto che al via c’è troppa Olanda. Che è assurdo il giorno di riposo all’inizio, dopo appena i tre giorni olandesi. Che non va in nessuna grande città italiana, Verona l’agglomerato massimo e all’ultimo giorno. Che ha litigato con Milano. Che ha trasferimenti extracorsa micidiali. Che ha poco cronometro in linea. Che ha una cronosquadre, prova assurda. Che ha le difficoltà altimetriche troppo concentrate negli ultimi giorni. Che non ci sarà Armstrong. Che non ci sarà Contador. Che ci saranno italiani segnati dal doping e adesso anche dagli anni che passano. Che ci sarà l’iperconcorrenza dei Mondiali di calcio, dove una flatulenza di Cannavaro & C. affascina le folle.
Insomma, tutte condizioni dure, difficili, e dunque ottimali perché il ciclismo dia un colpo di coda e si imponga alla vecchia maniera. Essendo se stesso, e amen. Di recente abbiamo partecipato, in un paese della provincia di Roma ai confini con la Ciociaria, ad una serata a tema dedicata all’impresa di Fausto Bertoglio nel Giro d’Italia 1975. L’intensa radiocronaca di Claudio Ferretti, le immagini in bianco e nero. Lo Stelvio, la neve, lo scalatore spagnolo Galdos battuto. E la gente locale, certo non di terre ciclistiche, che seguiva, tifava, impazziva. E dovremmo preoccuparci a morte di alcuni idioti e delle loro pastigliette?
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