Presentato il Giro d’Italia del 2010 ci è venuta una voglia matta di invadere con la fantasia il Giro del 2011, quello del secolo e mezzo di unità dell’Italia (Woody Allen dice che quando sente Wagner gli viene voglia di invadere la Polonia, al confronto noi siamo molto blandi e niente spiritosi). Invaderlo, il Giro del 2011, per occuparlo piantandovi alcuni paletti fissi, quanto a idee e proposte organizzative. Con la quasi certezza di non venire considerati, con la certezza assoluta che ognuno, se pensa di avere qualche buona idea, deve sempre e comunque metterla avanti.
Il Giro del 1961, primo secolo dell’Italia unita, fu storicamente classico o classicamente storico. Torino prima capitale come punto di partenza, poi giù al Sud come i Mille di Garibaldi. La nave - che però era spagnola, si chiamava Cabo San Roque - salpò proprio da Genova Quarto, come quelli là, approdò a Marsala, idem, dopo avere toccato la Sardegna. Ci fu una tappa anche a Teano, dove il condottiero e il re si erano incontrati e il primo aveva consegnato la nuova nazione al secondo. Naturalmente si andò a Firenze e Roma, le capitali dopo Torino. E a Trieste, si capisce. E a Vittorio Veneto. E la conclusione fu a Milano ricordando le Cinque Giornate. Vinse quel Giro Arnaldo Pambianco, romagnolo, partì col soprannome di gabanein (giacchetta corta, nel dialetto delle sue parti), finì col soprannome glorioso e ovvio di garibaldino. Da ricordare anche sua moglie Fabiola, bellissima, oscurante al Vigorelli di Milano, ultimo traguardo, la grande star di Hollywood Joan Crawford. Anquetil secondo valorizzò il primo posto di Pambianco, che non era un fenomeno. La gente rispose con entusiasmo, nel nome appunto dell’Italia unita.
Non sappiamo se mezzo secolo sia una porzione vasta di tempo o un niente in confronto all’eternità. O meglio, sappiamo che può essere le due cose. Sappiamo però che l’Italia da quel 1961 è cambiata, e lo prova il fatto che sulle celebrazioni del 2011, fra l’altro non con la perentorietà dei cent’anni tondi che scoccano, non ci sia unità di intenti, oltre ad esserci una grossa carenza di denaro. Il Giro che nel 2010 comincerà con una raccolta di soldi in Olanda, dove già è andata a far cassa quest’anno la Vuelta, ammette che l’Italia non è tutta praticabile comodissimamente, fruttuosamente. Anzi. C’è poi il risvolto politico: forte è il partito che vuole la prossima Italia divisa in regioni o comunque zone indipendenti (più che autonome), altro che festeggiare l’unità del Bel Paese. E non abbiamo un Bartali che unisca sentimentalmente e non solo tutti nel nome della sua maglia gialla al Tour de France, come nel 1948 quando l’attentato a Togliatti portò l’Italia vicina alla guerra civile. Fra l’altro, anche se ci fosse un Bartali così, dobbiamo ammettere che il ciclismo non ha più la forza di coinvolgere e unire le genti, le moltitudini, possedute - oltre che da tanti brutti cavoli loro - da tanto altro sport e specialmente dal calcio. La domanda vera, coraggiosa ancorché non entusiasmante, secondo noi è questa: il Giro d’Italia 2011 dovrà premere sul concetto dell’unità del paese o dovrà badare a se stesso, evitando di cercare agganci che potrebbero risultare ostici o addirittura controproducenti?
Perché i casi sono due: o il Giro, cioè il ciclismo, può fare qualcosa di positivo, in chiave di unità, incontrando la generale (o quasi) approvazione, o è meglio che “lasci perdere”, evitandosi trappole di contestazione, soprattutto di indifferenza.
Chiaro che il quesito sulla salute del sentimento di unità del paese riguarda l’Italia tutta, il ciclismo ne ospita solo una parte. Ma chiaro anche che il ciclismo non ha (non ha più) una grande forza sua, come nel 1948, da opporre al “resto”, da usare come tranquillante nei riguardi del resto. Se l’Italia del 2011 ospiterà, insieme con le celebrazioni dell’Unità, anche le contestazioni alle celebrazioni stesse, il ciclismo rischierà di venire stritolato, o peggio ancora usato in maniera buona o cattiva.
Ci pare di essere sinceri, persino prima che realistici. E allora?
E allora niente. Nel 1961 l’aggancio ai Mille fu facile, molto più facile di quel che sarebbe adesso. Bisogna essere onesti ad ammetterlo. I tempi sono molto ma molto cambiati. Ed anche i tempi (templi) intesi come santuari, come chiese dove si prega tutti insieme.
Nel 1962 Vincenzo Torriani organizzò un Giro dell’Italia del turismo, cambiando nome a molte località d’arrivo: il traguardo di Sestri Levante fu intitolato alla Baia delle Favole, quello di Perugia alla Città della Domenica. Quello di Rieti alla Valle Santa, di Chieti alla Valle della Rinascita. E la Belluno-Passo Rolle divenne la Cavalcata dei Monti Pallidi. Vinse - senza vincere nessuna tappa, e rifece la cosa l’anno dopo - Balmamion. Il Giro turistico fu accettato bene, adesso certe denominazioni farebbero ridere. Adesso una tappa in Sardegna dovrebbe chiamarsi Traguardo del Billionaire.
Allora niente (nel senso di qualcosa, come in tutti i discorsi attuali). Pensiamo per il 2011 un Giro che non parta da Lisbona, no, con tanta Italia a disposizione, non pensiamo ad un Giro che convochi spiriti risorgimentali, impulsi garibaldini, sentimenti irredentistici eccetera.
Casomai il Giro 2011 dovrà avanzare proposte poetiche, sommesse, semplici, premi speciali ai gesti belli, premi finalmente alla folla persistente, resistente, agli eroi della montagna che possono anche essere gli spettatori, a sorteggio, a concorso sulla motivazione più bella di una passione che “tiene”.
Una unità sentimentale di grado poetico rischia di essere più forte di una unità di grado politico. Ed anche di una disunità di grado sempre politico.
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