Rapporti&Relazioni
Premi per chi legge di ciclismo

di Gian Paolo Ormezzano


Ma chi è stato il primo giornalista a scrivere che il Giro d’Italia e soprattutto il Tour de France sono letture ideali per i vacanzieri, i quali sulla sedia a sdraio rivamare o sulla coperta stesa in un prato di montagna patiscono il loro benessere, autocolpevolizzano il loro assoluto riposo, e per fare una sorta di penitenza si piegano sulle vicende dei forzati della strada?
Forse era vero quando, tanto tempo fa, qualcuno lo scrisse per primo e altri copiarono subito da lui, sicuramente non è vero adesso: d’estate, sulla spiaggia o in montagna, ma anche sul lungolago e anche in città, i vacanzieri leggono notizie del mercato calcistico. Hanno cominciato a leggerle quando ancora non era finito il campionato, anzi quando mancavano molte giornate alla fine, le hanno superlette al tempo dell’apertura ufficiale del mercato stesso, stesso rito d’estate e d’inverno quando c’è la nuova apertura a fine gennaio, le leggono prima di leggere del Giro, del Tour, anche dell’Olimpiade se è in corso, anche del campionato mondiale di calcio, massì di calcio, se l’Italia non è più in corsa. E comunque, se anche leggono di imprese italiane nel calciomondiale, si chiedono dove finiranno, al termine del mercato, quegli azzurri del calcio che stanno giocando per conto di tutti noi un torneo che dovrebbe godere di un’attenzione assoluta, quella per le sue vicende e stop.

La lettura di notizie calcistiche di mercato è un atto di spaventosa malafede collettiva. Chi le scrive sa che al 99 per 100 si tratta di bufale, e conta sul fatto che, scrivendo praticamente di ogni giocatore importante che passerà a quella squadra importante e poi a quell’altra, sino a toccare tutti i giocatori e tutte le squadre, finirà per poter esibire un suo articolo all’insegna dell’«io l’avevo scritto». L’unica fregatura che rischia è quella dovuta ad un giocatore che rimane nel suo solito club, ma allora scatta l’articolo sul suo attaccamento alla vecchia cara maglia, attaccamento che ha fatto sfumare un trasferimento già deciso, o sul nuovo contratto principesco che lo ha convinto a non trasferirsi, o sulla moglie che all’ultimo ha posto il veto ad un nuovo trasloco, una nuova casa, una nuova scuola per i bambini (può benissimo trattarsi della stessa moglie della quale era stato detto che stava lei all’origine del cambiamento di maglia del marito, lei desiderosa di cambiare aria).

La bufala riguarda tante persone ed è vissuta intensamente, quasi come se chi scrive e chi legge e chi alimenta ipotesi di mercato si scambiassero continue strizzatine d’occhio, all’insegna del «guardate cosa ci tocca fare per vivere», o nel caso del giocatore ricchissimo «per stravivere».
Bene, qui scriviamo che sottrarre il tempo, già scarso, dedicato alla lettura in Italia dei quotidiani, che si vendono nella stessa quantità di settant’anni fa, quando nel Bel Paese eravamo in pochi, alla lettura di vicende profondamente umane, profondamente nostre e soprattutto profondamente vere come quelle del Giro e del Tour è reato grave sul piano morale assoluto, cioè è acqua fresca in tempi di vasta relativistica immoralità conclamata e anzi premiata. La federciclismo (torturiamo regolarmente di proposte, su queste colonne, Di Rocco presidente e ciononostante amico) dovrebbe mandare fotografi sulle spiagge, immortalare chi sta leggendo di ciclismo, dare piccoli premi. Sarebbe un’azione ecologica, di gratificazione e difesa della specie.
hhhhhhhhhhhh

Gran fortuna la mia di conoscere Andrea Bartali e Marina Coppi. Dal primo ho avuto il regalo fra l’altro di una storia incredibile riguardante suo padre, me stesso, Bruno Lauzi e Paolo Conte. Dunque Lauzi un giorno mi fece ascoltare una canzone che stava per «esplodere», era Bartali di Paolo Conte, «senti che bella». Lo dissi a Gino: «Ho sentito una canzone che parla di te, è bellissima». Mi chiese chi era l’autore e saputolo mi disse: «Conte è piemontese come te, escludo che i piemontesi facciano cose belle su di me». Sorrideva, eravamo amici, però non era la prima volta che riusciva a farmi sapere che quelli della regione di Coppi ce l’avevano sempre un po’ con lui.

Anni dopo, morto Gino, ho chiesto ad Andrea se l’ostracismo paterno nei riguardi di quella canzone era andato avanti. «Sempre - mi disse -, per una ragione che però non c’entra con il tuo Piemonte». Ostracismo perché, se la canzone è bellissima tenerissima bartalianissima? «Perché ad un certo punto ci sono delle parolacce, così pensava papà. Quando parla di francesi che s’incazzano, e le balle ancor gli girano. Diceva che era cosa brutta e cattiva usare il suo nome per una canzone col turpiloquio». Grande Gino che la moglie e Andrea e gli altri figli hanno sepolto con la croce di terziario francescano.

Marina Coppi invece, ancor più di Faustino che pure conosco e che assomiglia eccome al padre, è lancinante per somiglianza con Fausto. La guardi e vedi lui. Fra l’altro io ho conosciuto Coppi quando era quasi quarantenne, e declinava non tanto di fisico quanto di atteggiamenti, la sua timidezza innata si era trasferita e ingigantita anche nel viso, nelle espressioni del viso. Marina è splendidamente dolente persino di sorrisi come il papà, ha un sorriso dolce e però sempre pacato, trattenuto, non invadente, neanche contagioso. Vedendola ho sempre più Coppi vivo vicino a me, e sono sempre più coppiano, Gino lassù sa, vede, mi capisce, mi perdona. E magari, quando nessuno lo ascolta, si canticchia Bartali di Paolo Conte.
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