Scripta manent
È meglio un altro Giro d'Italia

di Gian Paolo Porreca

Dovremmo augurare buon Giro a tutti. Buon Giro 2006, innanzitutto, a Damiano Cunego che vince il Giro del Trentino e vola letteralmente di corsa alla Liegi-Bastogne-Liegi, per tuffarsi a respirare già l’aria di quella partenza da Seraing, e di quella atmosfera ciclofila senza riserve di campanile in stile calcio, che rinvigorirà in Belgio i primi giorni della prossima corsa rosa.
Dovremmo augurare buon Giro a Gilberto Simoni ed alla sua aria così poco metropolitana, così montanara, così da tavoli di legno, che non si usa più, nei migliori salotti della diplomazia o del bon ton o dell’ipocrisia, fate voi.

Dovremmo augurare buon Giro a Danilo Di Luca, perché la sua eclisse di sole o di luna, e quell’ascesso dentario più volte infiammato, abbia a tramontare nella luce.
Dovremmo augurare buon Giro a Paolo Savoldelli, perché il Giro, e non solo la vita, dovrebbe essere per tutti solo in discesa.
Ed a Josè Rujano, per i motivi di segno diametralmente opposto: perché ad ogni discesa faccia invece seguito una salita, con quel che ne consegue, di solitudine ed illuminazione.
Ed a Ivan Basso, che si propone così discretamente, il decoro di un laureato e mai l’arroganza di un tycoon, alla ribalta di un Giro, che non sia concettualmente pre-Tour, o pro-Tour: con il sogno di quanti ne apprezzano come noi i risvolti gimondiani, di celare in animo, e non solo nei muscoli, la vocazione ad una accoppiata.

Buon Giro, dovremmo dire, ancora, a chi ha organizzato: perdonato suvvia, senza problemi, la secessione dal Sud. D’altronde, se basta il Nord ed il Centro Italia, ed un po’ di Belgio, a fare una grande corsa o a fare grande una corsa, ohibò, ma sai chi se ne può fregare del Sud e dei patetici diseredati che guardano dal basso, faziosi loro al massimo, mica provinciali gli altri...
Buon Giro, dovremmo dire: come si dicesse, per proprietà transitiva, buon ciclismo, di maggio, di bella stagione, di colori e fiori e belle fanciulle sulle sponde della corsa.

Ma noi, il 21 aprile di quest’anno, non ce la facciamo. Noi - e noi per giunta del Sud - con questa ultimissima doping-connection che parte, o sembra partire, come quella del Giro 2001, da ciclisti del Sud, dalla Campania propria, ad augurare qualcosa non ce la facciamo.
Altri giovani, oggi Scotto d’Abusco e Cavaliere, dopo i Romano ed i Varriale di ieri, tradiscono, si fanno male: ci fanno, forse anche egoisticamente, troppo male. E che per le palestre di Torre Annunziata o di Angri siano passati, via filo, anche Riccò e Trenti, come si è detto, non è consolante più di tanto. Essere peggiori o non essere diversi, in certe situazioni è un delitto analogo: con aggravanti personali, difficilmente perdonabili.

Quale buon Giro, allora, e quale buon ciclismo, augurare a chi lo va a correre, ed a chi lo va a vedere, non sappiamo, in nome di una passione che è diventato un tiro a bersaglio di dispiaceri?
Noi ci dedichiamo, e vi dedichiamo, un altro Giro, un Giro di trenta anni fa. Il Giro del ’76.
Andatevelo a rileggere, voi ragazzi di oggi, e voi genitori dei ragazzi di oggi, quel Giro di drammi e passioni che sembrano palpitare vive ancora oggi, in un tempo di falsi.
La tragedia di Santiesteban a Catania, pensateci voi che vi rovinate con l’Epo, le volate di Sercu, le crono di Moser, quell’Antonio Menendez della Kas che sorvolò il Giro a Gabicce Mare, le Torri di Vajolet ed il giovane De Muynck e l’anziano Gimondi allo spasimo, e l’ultimo Merckx battuto in volata da Gimondi nella «sua» Bergamo, e Gimondi che il suo terzo Giro -per 19 secondi - lo vinse nella crono conclusiva su un De Muynck dolorante e flagellato per una caduta...
Buon Giro del 2006, con l’unica certezza garantita del ricordo.

Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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