Scripta manent
Portiamo il cross in città

di Gian Paolo Porreca

Le vicende del Pro Tour, e la svolta di qualità in esso insita, definita con una sussiegosa parzialità addirittura “epocale”, hanno monopolizzato come era naturale l’attenzione ciclistica di queste ultime settimane. Con le annesse tensioni di potere con i tre grandi Giri e le loro Organizzazioni di riferimento.
E con la formalizzazione di un impegno drastico sul versante del doping sottoscritto ed onorato lealmente dai team iscritti al circuito Pro Tour: la Carta etica, ed è forse superfluo sottolinearlo, è un assioma di non ritorno. Full stop, con il passato, quel che è stato sia pure stato: ma dal 1 gennaio 2005, sarà vietato sbagliare. Tutti, dai corridori ai team manager...

Ma questo ciclismo di vertice, altamente “parlato”, in qualche modo non ci soddisfa. Provocatoriamente, penalizza, per un ennesimo dicembre, il ciclismo “pedalato”. Ci riferiamo, una volta ancora, e ci auguriamo non di troppo per chi ci legge da anni, alla esigenza di poter vivere il ciclismo agonistico anche d’inverno.
E qui non si parla soltanto di quella globalizzazione del ciclismo su strada, per cui è da poco finito il Tour de Madagascar ed è in procinto di partire il Tour de Sri Lanka, senza bisogno di ricordare gli ormai consolidati Tour de Langkawi e Tour of Qatar. O il Tour de Senegal o quello del Burkina Faso...
Questa diffusione del ciclismo ci va benissimo, apre nuovi orizzonti e nuovi interessi, commerciali, culturali ed agonistici, crea chances anche per vittorie singolari: pensiamo al salernitano Giallorenzo, l’esordiente della Colombia-Selle Italia che ha vinto in Senegal ad ottobre, ed allo stesso Cunego, do you know?, che l’estate scorsa - in maglia azzurra - andò a vincere in Cina il Tour of Qinghai Lake.

Ma il dettato basilare è incentivare, a costo di ripetere lo stesso refrain come un disco rotto, una pratica “tradizionale” del ciclismo invernale a cielo aperto : il ciclocross. Una disciplina, questa, che pure sembra vivere una qualche ripresa tecnica, in Italia: con i dignitosi risultati di Enrico Franzoi, tra gli elìte, e la leadership addirittura, nella Coppa del Mondo di categoria, dello juniores Davide Malacarne. Ma qual è stata, ad esempio, la visibilità offerta al pubblico non specializzato di un evento meritevole quale il “27° Memorial Mamma e Papà Paolo Guerciotti”, l’unica prova di Coppa del Mondo italiana, disputata a Milano l‚8 dicembre, con la partecipazione di Nijs, Berden, Wellens & c.? Siamo certi, pur nella politica federale dei piccoli passi, che non si possa fare qualcosa di più, o di diverso, perché il cross esca alfine dal suo angolo di cult desueto?
E di fronte alla popolarità crescente, nel gradimento dei ragazzi, della Mtb, non sarebbe opportuno incentivare ad esempio, con gare di caratteristiche tecniche miste, questo fiorire di passione giovanile?

Pensiamo a circuiti nei borghi antichi, nei paesi carichi di storia che illustrano le colline della Toscana e dell’Umbria, del Lazio e
della Campania. Pensiamo a certi luoghi del Chianti. Pensiamo a Minturno, nel Basso Lazio. O ad una sede dedicata come Casertavecchia ed il suo Borgocross, quale archetipo di questa idea di ciclopratismo volto al futuro, sulla scia del selciato del passato. Pensiamo alla osmosi tra cultura dei luoghi ed uno sport a misura di uomo quale è per antonomasia la bicicletta.
Abiteremmo i nostri inverni di città d’arte e di un ciclocross senza l’esubero di fango, caro agli specialisti del Nord Europa. Potremmo inventarci un ciclocross made in Italy. L’amore per le pietre impermeabili, diciamo, al posto dei masochismo per il terreno fradicio di pioggia.

E ci auguriamo che la nostra Federazione, quella di oggi o pure quella del prossimo domani, si allinei su questa ipotesi di un ciclocross riletto o vagamente urbanizzato. (Ed a proposito, non si dimentichi che il presidente dell’Uci Verbruggen è un grande appassionato di Storia del Medioevo. E quale occasione migliore, di un cross tra i castelli del Centro o del Sud dell’Italia, per conoscerla meglio?).

Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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