Un bilancio allarmante
di Gian Paolo Ormezzano
S i registra, si vive e si patisce, a bilancio del 2003 ciclistico, una situazione curiosa e secondo noi anche allarmante. Da una parte gli esperti dicono che è stata per noi una buona annata, visto che Bettini è finito primo nella classifica generale di Coppa del Mondo ed ha vinto pure importanti gare individuali, che Cipollini ha finalmente battuto il primato di vittorie di Binda al Giro d’Italia, che Petacchi è stato capace di trionfare come sprinter al Giro, al Tour e alla Vuelta, impresa statisticamente assai rara, che Simoni tutto sommato ha conquistato una maglia rosa finalmente seria, dopo la quasi tragica farsa delle ultime edizioni del Giro, a partire dal ’99 dello stop (che sarebbe poi stato la fine) di Pantani. Dall’altra parte si dice che è stata perduta una maglia iridata sulla carta già vinta, che sono usciti in qualche modo di scena atleti come appunto Cipollini e Pantani, che Simoni e Petacchi al Tour e Cipollini alla Vuelta hanno fatto figuracce, che Bettini va per i trenta e Petacchi anche, nessun giovane di valore assoluto, da vincitore di qualcosa di grosso, è uscito bene fuori o si è almeno fatto vedere all’orizzonte, e soprattutto che nessuna medaglia è stata da noi conquistata nella pur vasta e generosa (di riconoscimenti agli altri) sequenza delle gare iridate di Hamilton.
Sono due situazioni antitetiche di pensiero e anche di calcolo. Ideale sarebbe trovare fra gli “abitatori” della prima uno che a priori non ama il ciclismo, e fra gli “abitatori” della seconda uno che a priori non ritiene quello della bicicletta uno sport lasciato indietro dai tempi, farli parlare e poi lanciare un sondaggio, un referendum. Ma forse non è il caso di spendere troppo tempo sul passato, lo sport è o non è sempre un anelito verso il futuro? E poi i francesi e i belgi non stanno peggio di noi?
Ecco, quasi senza volerlo siamo slittati sulla seconda situazione di bilancio. E invece no, la prima situazione “vince” se si considera che mentre noi cediamo terreno senza che francesi e belgi lo occupino, arrivano eccome gli spagnoli, con nomi vecchi e nuovi, e si insediano in alto quelli dell’Europa Est, candidati fra l’altro a succedere all’americano sul podio massimo del Tour de France (essì, il dopo Armstrong è imminente, e noi proprio non siamo attrezzati per farlo nostro o almeno per partecipare degnamente alla spartizione: gli evviva a Ivan Basso per una “grande boucle” discreta sono un limite nostro più che una nostra valida ipoteca sul futuro)
Personalmente, fatti bene tutti i conti, arriviamo a dire che secondo il nostro piccolo ma sentito parere il 2003 presenta un solo aspetto sicuramente positivo: trattasi della disinvoltura con la quale abbiamo perduto Pantani e probabilmente anche Cipollini. Sono state due botte gravissime, ed averle assorbite riuscendo poi a mettere in strada una squadra comunque degna per il Mondiale e un Bartoli capace di vincere, sia pure iperpolemicamente, il Giro di Lombardia, significa avere da parte qualcosa che vale, qualcosa che resiste, una base sentimentale e anche storica sicura. A meno di pensare che questa disinvoltura nasca dall’indifferenza, e allora sì che le cose si metterebbero male assai. Urgerebbe altro sondaggio, altra discussione, altro articolo.
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Ma restiamo su Pantani e Cipollini. Siamo stati cannibali nel divorare la problematica dei due personaggi e la loro sparizione o quasi dalla scena senza porci troppi problemi, senza frequentare troppe nostalgie, senza eseguire almeno un presentat’arm sentimentale?
Forse no. I due infatti sembrano aver fatto di tutto per evitare, evitarci, evitarsi la cerimonia degli addii (Cipollini addirittura riannunciandosi in qualche modo per qualche volata del 2004). Non che fosse facile, e specialmente per Pantani, combinare un saluto giusto, con tutti d’accordo ad applaudire e ricordare le bellissime sensazioni che il corridore ci ha pur sempre fatto vivere e godere. Però ci sembra che la sparizione quasi totale, la dissoluzione di Pantani sia stata eccessiva, specie dopo tutto quello che si era detto e scritto sul suo ricovero. E che invece la costante epifania di Cipollini su troppe cene medianiche extraciclistiche, fra donne seminude e nel cuore del futile non faccia al ciclismo, almeno quello classicamente inteso, propaganda alcuna. Con tutto ciò ai due diciamo sempre grazie. O meglio: grazie lo stesso.
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Grazie a Pippo Baudo ed ai suoi succedanei si eseguono ogni tanto operazioni televisive di nostalgia, o perché cambia il millennio o perché non cambia la Rai che ha mezzo secolo, e può persino capitare che riappaiano, evocati in qualche modo, ciclisti della pista, diciamo Maspes e Gaiardoni tanto per far nomi (e specialmente il primo).
Ora questo 2003 è stato l’anno, il primo, in cui i campionati mondiali della pista, ormai da tempo staccati geograficamente oltre che temporalmente da quelli della strada, si sono svolti fra la quasi completa indifferenza mediatica di noi italiani. Quanti sanno non diciamo come siano andati, questi Mondiali, ma quando e dove sono stati organizzati? Eppure ci sono in Italia tante piste, e anche bene attive, si organizzano Sei Giorni di paese, si ipotizza il velodromo per il fitness degli abitanti delle metropoli, una specie di parente nobile delle palestre sempre più numerose e invadenti. Eppure il ciclismo deve sempre più chiudersi in spazi stretti, magari arrotolandosi su se stesso, perché le strade grandi, dritte e lunghe gli sono sempre più vietate, e dunque la pista può essere zona di sopravvivenza, può diventare una riserva indiana. Eppure l’anno prossimo, per i Giochi olimpici di Atene, dovremo riscoprire la pista ed esserle grati se ci darà, come quasi sempre, delle belle medaglie. Eppure...
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