Gatti & Misfatti
Granducato di Toscana

di Cristiano Gatti

È sempre un vivo piacere, da appassionato di ciclismo, ricordare le parole pronunciate dal presidente della Federazione ciclistica in occasione dell’elezione di Ma­lagò a presidente Coni. Spor­ti­vamente, dato che lui stava col perdente Pagnozzi, Di Rocco si è così espresso: “Malagò ha uno stile differente, speriamo riesca a trasmettere alle istituzioni la creatività presentata nel progetto. Malagò rappresenta una grande novità”.

È bello e consolante sapere che il nostro ciclismo è guidato da un dirigente tanto sensibile alla “creatività” e alle “novità”. Ma è per questo che proprio fatico a ca­pire come mai, nella sua repubblica della pedivella, Di Rocco dimostri di essere l’esatto contrario, come un gemello Caino dell’Abele incantato di fronte a creatività e novità. Quando ve­ste i panni del presidente no­stro, della federciclo, improvvisamente odia novità e creatività, le perseguita come uno spietato killer, fino a eliminarle crudelmente non appena si profilano timidamente all’orizzonte.

Prendiamo il caso della scuderia azzurra, la più importante. Io pensavo che un innamorato della creatività e della novità come il Di Rocco elettore Coni prendesse decisioni elettrizzanti, invece do­po un lungo inverno di me­ditazioni ha partorito questa ideona: il ct Bettini, leggendario perdente di successo, non solo non viene esonerato, ma anzi viene promosso a megadirettore galattico di tutto il pianeta Italia. Sull’ammiraglia dei professionisti, l’altra ideona ge­niale: Sciandri. A quale titolo, per quali meriti, con quale logica, inutile chiedere. Io ero fer­mo alle ipotesi classiche come Cassani, Argentin, Fondriest, o magari all’idea più ampia di un ct manager come Stanga o Fer­retti, invece Di Rocco ama follemente Sciandri. È persino troppo scontato che io non ab­bia nulla contro Sciandri, ci mancherebbe altro. Sciandri non c’entra nulla. È Di Rocco che c’entra. È lui che pensa, sceglie, decide. E allora, presidente decisionista, perché non spiegarci il motivo di questa mo­notonia toscana in sede na­zionale. Il suo progetto ormai mi è chiaro: vuole rimettere in piedi il Granducato di Toscana. Dopo Martini, l’unico e inarrivabile, eredità a Ballerini, ca­pace di meritarsi poi sul campo i gradi. Dopo Ballerini, ecco Bettini. E dopo Bettini, ecco Sciandri. Cos’è, si tramandano la nazionale per diritto feudale?

Altra specificazione su­per­flua: oltre a non avercela con Sciandri, ancor meno ce l’ho con la To­scana. Sono talmente innamorato di Lucca e di Pisa, di San Gimignano e di Pienza, di Sie­na e della Maremma, che mai oserei oltraggiare una terra tan­to bella. È chiaro che ne faccio una questione di principio. E soprattutto di “creatività”, o di “novità”, per usare i termini tanto cari a Di Rocco, dico il Di Rocco gemello bravo che parla in sede Coni. Dove sta scritto che la nazionale italiana debba essere appaltata al­la Toscana? Davvero in giro per le altre regioni non ci sono uo­mini validi per guidare la squadra di un intero Paese? O vogliamo dire che i nomi li sceglie direttamente la massoneria?

Mi piacerebbe tanto che Di Rocco, se non fosse così impegnato a fare sforzi di “creatività” e a reperire “novità”, mi spiegasse questa sua fissa toscana. Anche con le “c” aspirate, anche in dolce stil novo, se proprio non ce la fa con la lingua nazionale. Però sarebbe interessante conoscere il criterio. Così, anche so­lo per non lasciare tutti quanti noi, tragicamente nati fuori dal Granducato, con l’amara sensazione di essere italiani irrimediabilmente minorati.

Siccome sono del ramo, siccome bazzico l’ambiente da qualche primavera, prevengo almeno una del­le sdegnate repliche, la più scontata, quella che “i giornalisti rompono tanto l’anima, ma mai che abbiano una proposta costruttiva”. Presidente Di Roc­co, l’anticipo. Ho da tanto tempo anche alcune idee. Se vuole, gliene anticipo solo due, che mi sembrerebbero urgentissime e adeguate alla tremenda situazione di questo periodo. Ovviamente hanno i connotati della “creatività” e della “no­vità” che lei tanto apprezza, quando è fuori ufficio. La pri­ma, ormai antichissima, ma og­gi più che mai nuovissima: farci promotori in sede internazionale, ma seriamente, ma du­ramente, per introdurre la ra­diazione al primo doping conclamato. La seconda, questa sì veramente rivoluzionaria: oltre che affidare scrivanie, ammiraglie e stipendi ai toscani, chiedere pubblicamente scusa al pro­fessore Sandro Donati e af­fidargli in blocco il settore medico, antidoping compreso, della federazione ciclistica italiana. Prima che Di Rocco mi chieda il perché, dovrebbe ri­spondere lui a questa domanda mia: perché no?
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