Rapporti&Relazioni
Navigare a vista

di Gian Paolo Ormezzano

Un tema estivo che il ciclismo dovrebbe trattare, se non al­tro a puro scopo accademico, è questo: se sia o no opportuno studiare anche un calendario particolare, una serie di manifestazioni agonistiche che tengano conto del­la geografia della villeggiatura, ca­somai inventando un qualcosa di nuovo, come ha fatto la pallavolo che si è data il beach-volley, come sta tentando di fare il football con il calcetto da spiaggia. Natural­men­te lo sport della bicicletta ri­schierebbe, in questa versione, di essere profondamente snaturato: perché perderebbe le sue connotazioni epiche primarie che sono an­che il conflitto con la situazione cli­matica, l’adattamento ai vari tipi di strada, la scoperta di paesaggi sempre nuovi, la forte valenza geografica e non solo di un legame fra due località anche distanti. Perché è ovvio che questo ciclismo per lo­calità di villeggiatura dovrebbe es­sere un ciclismo lungomare, su circuiti brevi e dunque con molti pas­saggi, concedendosi ad uno spea­keraggio disinvolto e se del ca­so anche un pochino gaglioffo, per arrivare alla gente che sta sulla sedia a sdraio, sotto l’ombrellone.

Molto probabilmente sarebbe lì per lì un successo, perché il villeggiante ha un vago sen­so di colpa a non far niente, a go­dersi la vacanza mentre tanti al­tri lavorano, e il ciclista con il suo sudore, se del caso anche con il suo afrore, questo senso di colpa farebbe accrescere, invogliando all’espiazione realizzabile appunto con il portare attenzione a quelle sante fatiche. Ma sarebbe anche un successo, come dire?, leggero, volatile. Una approccio, una presa di contatto, qualche applauso e ba­sta da parte di una gente che de­ve praticare intensamente il riposo fisico e mentale, a costo di darsi alla demenza consumistica ufficiale. Mentre il ciclismo è sport che fa pensare, e pazienza se fa pensare anche al doping. Il ciclismo, o al­meno il ciclismo vero, non è sport di svago, di rilassamento. Im­pone tematiche ardue, di sofferenza, di strafatica. Le gente lo sa, pensiamo definitivamente, e il ci­clismo lungomare la potrebbe in­teressare blandamente, saltuariamente, ma potrebbe anche allontanarla decisamente perché le sue proposte sono davvero troppo lontane da quelle classiche e nobili del ciclismo “altro”.

E adesso una precisazione: pensavamo a tutte queste cose già l’anno scorso, convenuti a Camaiore per la presentazione di un libro, cerimonia che aveva coinciso con il Gran Premio che si corre ogni estate in Versilia e che ormai è quasi una classica, con un gran bell’albo d’oro. Ci era­vamo sforzati di capire che cosa la gente oziante poteva capire di questi pazzi che spingevano sui pedali nelle strade di solito riservate allo sciabattare dei villeggianti, e che erano chiamati a dare spettacolo forte per giustificare il disturbo che arrecavano al grosso fluire vacanziero della vita di tutti i giorni. Ci pensiamo adesso per convenire con noi stessi, oltre che con gli eventuali lettori di queste righe, che l’idea del ciclismo lungomare sia persino più bella che intelligente, più semiteorica che semipratica. Ma va frequentata se non altro per tenere viva la voglia di sperimentazione.
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Certo che il ciclismo si trova ad un bivio autenticamente esistenziale, dovendo semplicemente e terribilmente scegliere se adoperarsi al massimo per restare se stesso oppure adoperarsi al massimo per cambiare, per cambiarsi. Un dubbio esistenziale che diventa resistenziale, nel senso che il ciclismo è assediato, “malmenato” dallo spettacolarismo di tanto al­tro sport: con il rischio che se questo altro sport cerca di seguire, di inseguire, fa delle figure fantozziane (di chi si vuole vestire da Rambo essendo nato san Fran­ce­sco), se decide di andare sempre per la sua solita strada rischia di trovarsi in un posto dove non c’è più nessuno. È un problema enorme, vitale. Si pensi allo sport in teoria più semplice di tutti per quel che riguarda l’uniforme da gara, cioè il nuoto, in pratica tuffatosi adesso nella tecnologia più spinta, più interessante ma anche più ammorbante, con quella faccenda dei costumi speciali confezionati con un avveniristico tessuto che comprime certi muscoli, rendendoli più funzionali e intanto meno esposti alla invasioni dell’acido lattico, cioè all’handicap che si chiama stanchezza. Dove sta an­dando, dove arriverà il nuoto?

Proviamo ad andare comunque avanti in questa tematica del­la scelta innovativa, e pazienza se suscitiamo nostalgia del “ciao mama” di cui almeno si capiva tut­to. Il ciclismo deve fare la scelta, e la confusione esistente nei suoi or­ganismi massimi, cioè federazione internazionale, federazioni nazionali, organizzatori e si capisce pe­dalatori, confusione che spesso si evolve in guerra, certamente non aiuta. La scelta fra la difesa dell’epica e l’abbandono di essa, fra il ci­clismo delle grandi montagne e il ci­clismo lungomare, deve essere fatta o quan­to meno discussa: an­che perché non ci sono abbastanza ciclisti forti e capaci e validi attori per praticare entrambe le strade, recitare en­trambi i copioni. E non importa che la scelta sia già stata fatta dentro i cuori, nel senso che chiunque deve dire che da ciclofilo ama lo Stelvio più del litorale di Ostia: è nella pratica o almeno in prospettiva che de­ve essere fatta. Per esempio una Sanremo deve cercare un percorso sempre più duro e sempre più epi­co, partendo però per ragioni di chilometraggio fuori dalla me­tro­po­li, come la Parigi-Roubaix che di Pa­rigi non ha più nulla, o deve conservare il suo diritto a solcare le strade milanesi, e pazienza se partendo dalla periferia?

In linea di massima, le grandi prove a tappe stanno sacrificando un bel po’ dell’epica classica (casomai frequentata in versioni sadomaso e un pochino bieche della fatica), a pro di innovazioni organizzative che prevedono ad esempio partenze strane e da posti strani, e pazienza se i ci­clisti devono fare ore e ore di trasferimento extracorsa. Manca co­munque una ideologia chiara, una programmazione, si naviga a vista, se domani viene fuori un’offerta per una cronoscalata alla collina dove sta la scritta Hollywood si fa festa e si vola a Los Angeles.
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