Con la faccenda definita Pro Tour il ciclismo è riuscito a far parlare di sé nell’inverno. Magari in negativo, ma sempre meglio che il letargo pieno. A proposito, Pro Tour finisce sempre - lo dicono le ultime vicende della “creatura” che si è ammalata seriamente dopo appena un anno di vita - per significare, anche se la genesi della definizione è un’altra, qualcosa che va a vantaggio del Tour de France. Pro Tour de France, sempre. Più facile scalfire la presunta e comunque storica supremazia francese nei vini e nei formaggi che la storica e sicuramente non presunta supremazia del Tour ciclistico non solo sugli altri grandi Giri, ma su tutto il resto del ciclismo messo insieme. Come prova il fatto che qualsiasi ciclista, messo nell’anno olimpico di fronte all’ipotesi di vincere la gara dei Giochi, la prova iridata, il Giro d’Italia e quello di Spagna nonché una decina di classiche e qualsiasi classifica mondiale a punti, oppure di vincere “soltanto” il Tour de France, sceglie la maglia gialla a Parigi.
Questo problema di restare vivo in inverno, per il ciclismo italiano e non solo, è già stato da noi affrontato su queste colonne, in questa rubrica. Ma siccome il problema resta, non è peccato mortale e neanche veniale tornare sopra ad esso. Perché, molto semplicemente, è un problema vitale. Oppure si vuole “vivere”, d’inverno, con morti di Pantani e sensazionali rivelazioni su Pantani?
Nessuno sport grosso si permette un letargo così lungo come il ciclismo. Lo sci, direte. Ma lo sci non è uno sport grosso. Lo si pratica a livello di specialità alpine in neanche dieci paesi al mondo, e quanto al fondismo non c’è neppure bisogno delle dita delle due mani. Si può casomai dire che la proposta di campioni dello sci ad altissimo livello di popolarità è proprio legata all’anomalia di questo sport: nel senso che un Tomba conquista anche e magari più facilmente chi non ha mai visto la neve, e viene a priori attratto dalla straordinarietà (per lui) dell’ambiente naturale (o quasi) ma intanto geograficamente limitato in cui lo stesso Tomba opera.
Tutti gli sport importanti, popolari, ecumenici in senso aperto, pieno, riempiono di qualcosa di buono le loro stagioni troppo calde o le loro stagioni troppo fredde. Sport tipici di sala, di impianti indoor, come il basket e la pallavolo, d’estate si concedono il lusso massimo dei Giochi olimpici, o dei campionati del mondo, o dell’evoluzione pruriginosa in beach-volley. E quanto, per fare un esempio eguale e contrario, ad uno sport che a priori sembra tipicamente estivo, il nuoto, la sua attività massima è ormai tutta al coperto, tanto è vero che quando per i Giochi olimpici 2004 di agosto nella soleggiatissima Atene non viene completata in tempo la copertura dello stadio nautico, si grida allo scandalo. E per dire anche del calcio, una sua ormai brevissima pausa estiva, almeno nel nostro emisfero, è riempita tutta dalle notizie sul mercato o sulla preparazioni, e le prime amichevoli, per fasulle che siano, richiamano pubblici famelici.
Una volta per l’inverno dei ciclisti si poteva contare sulla pista. Che dicono sia morta, ma che nessuno ha cercato di far resuscitare approfittando della liberalizzazione delle scommesse. Magari andava buca, noi non siamo il Giappone e il keirin non ci fa delirare, ma si poteva almeno provare.
Vien quasi da pensare che il ciclismo ami il letargo. Che questo letargo sia fisiologico per lo sport legato ad appetiti pantagruelici di corridori ed a strepitosi banchetti di dirigenti. Ma ormai lo sport professionistico ha un problema di fitness, di look come la dirigenza di una grande azienda. E questa faccenda del letargo sa tanto di grasso superfluo.
hhhhhhh
ATorino hanno restaurato lo stadio, detto un tempo Comunale e ora Olimpico, che dopo avere ospitato le cerimonie di apertura e di chiusura dei Giochi invernali dovrebbe chiamarsi Grande Torino e che sarà di nuovo sede delle partite delle squadre calcistiche cittadine (a priori quella granata, ma anche la Juventus ci giocherà, perché la rivoluzione edilizia del suo stadio delle Alpi procede lentamente). Nell’occasione della consegna dell’impianto - sin troppo bello, sin troppo comodo, seggiolini distanziati e nessuna possibilità per i tifosi calcistici di qualche insardinamento casinistico, di cui pure c’è ogni tanto bisogno per stare caldi a scambiarsi la passione - sono state compiute rivisitazioni scritte dei fasti passati di quello stesso impianto. Chi scrive queste righe ha ricordato su La Stampa quel giorno del luglio 1956 quando arrivò a quello stadio la tappa Gap-Torino del Tour de France, la radio funzionò da tam-tam, si seppe per tempo che Nino Defilippis, torinese, il Cit, il piccolo, era nel gruppo dei primi, la gente confluì in grandi ondate al Comunale, l’organizzatore Pino Villa che aveva acquistato per pochi soldi la gestione dell’evento si scoprì carente di biglietti d’ingresso, gli ultimi entrarono gratis, volata vincente - sulla pista piana per l’atletica, in terra rossa - del Cit sul belga Ockers campione del mondo e sul francese Bauvin, l’urlo dei sessantamila felici. Bene, ci ha telefonato lo stesso Defilippis per ringaziarci del ricordo, dovere e piacere abbiamo risposto, felici di essere stati testimoni diretti di quell’evento. Ma pochissimi lo hanno ricordato, quasi tutti sono andati indietro a cercare i fasti del calcio, casomai anche quelli dell’atletica.
Sarebbe stato bellissimo se, alla consegna dell’impianto agli organizzatori olimpici, fosse stato presente anche l’amico Renato Di Rocco, presidente federale. Al quale siamo forse in tempo di suggerire un uso di un grande campione olimpico, il ciclista Paolo Bettini, per i Giochi invernali. Non diciamo no, di metterlo sugli sci, ma di trovargli posto nella sicura sagra di stelle dello sport che Torino ospiterà. A meno di puntare sul mese successivo, dal 10 al 19 marzo, Giochi paralimpici, cioè Giochi olimpici paralleli per disabili, per handicappati, ammettendo di non avere l’abilità classica piena di sfruttare gli eventi massimi…
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