Villa: «L'Italia della pista c'è ma bisogna fare sistema»

di Giulia De Maio

Non ama stare sotto i riflettori, ma puntualmente ai Giochi Olimpici ci finisce. Marco Villa, commissario tecnico della Nazionale Italiana su pista, anche questa volta è tra i volti da copertina della rassegna a cinque cerchi. Tra i tecnici più apprezzati e titolati, anche al di fuori del nostro orticello ciclistico, il 55enne di Abbiategrasso è stato il ct che con i suoi pistard ha firmato quasi un decimo delle 40 medaglie vinte dall’Italia Team a Paris 2024. Possia­mo attribuire al suo lavoro e a quello del suo staff il bronzo conquistato dal quartetto maschile, l’oro della Madison femminile e l’argento della coppia ma­schile a cui va aggiunto l’argento di Fi­lippo Ganna nella cronometro di cui è responsabile Marco Velo. Per tirare le somme di una settimana ricca di alti e bassi andiamo con ordine, partendo dalle finali dell’inseguimento a squadre, attorno a cui ruotavano le at­tese maggiori dopo il titolo conquistato tre anni fa a Tokyo da Ganna con Fran­­cesco Lamon, Simone Consonni e Jonathan Milan. 
«Non siamo riusciti ad arrivare preparati a puntino come in Giappone o co­me ha fatto quest’anno l’Au­stra­lia, che ha sorpreso il mondo come a noi era riuscito nel 2021. Ci sono mancati piccoli particolari: Ganna ha preparato benissimo la crono e forse poi è andato un pochino in calando, Milan è in crescendo e la settimana precedente faceva più fatica. Consonni era più in difficoltà che a Tokyo: piccole differenze che hanno fatto sì che non si riuscisse a fare meglio. In pratica, siamo riusciti a lavorare poco tempo insieme e questo si è rivelato un problema. Mi chiedete se il bronzo è una bella medaglia? Certa­men­te. La mattina della finale ho detto ai ragazzi di non sottovalutare la medaglia di bronzo perché io ho vinto solo quella alle Olimpiadi (sorride, ndr). Mi hanno ascoltato e mi hanno accontentato», ha commentato nella zona mista del caldissimo velodromo di Saint Quentin en Yvelines.
Inevitabili le riflessioni sul futuro di questo quartetto e sul movimento intero alle sue spalle: «Il ciclo di questo gruppo dipende da questi ragazzi, Pip­po in pista viene spesso anche per preparare le crono, per fare un esempio, e comunque sanno che Villa per loro ci sarà sempre. Abbiamo delle nuove le­ve, Manlio Moro che a Parigi non ha corso ma aveva i tempi degli altri e si è meritato il rispetto dei compagni. Poi abbiamo i giovani che spero possano seguire le orme di Viviani, Ganna e compagnia, ma non vi nascondo che faccio fatica: già al primo anno Under 23 stentano a capire quanto possa essere utile la pista. Ci devono ve­nire in­contro i manager e i procuratori, devono capire tutti che pista e strada possono coesistere. Basta guardare quello che hanno fatto ai Giochi di Parigi atleti come Welsford nell’Au­stra­lia, Hayter nella Gran Bre­ta­gna, la Faul­kner e la Dygert con il quartetto femminile».
Il trenino rosa si è fermato ai piedi del podio, ma il CT Villa - che ha proseguito il lavoro avviato da Dino Salvoldi - non ha dubbi sul vero valore delle nostre inseguitrici. 
«Mi spiace per le ragazze. Il nostro rit­mo è quello che abbiamo mantenuto in finale nei primi tre chilometri, quando eravamo davanti alle inglesi. Pur­troppo ci sono mancati otto-dieci giorni di la­voro tutti insieme per rifinire i dettagli della preparazione - ha raccontato do­po la finale che ha assegnato le medaglie a Stati Uniti, Nuova Zelanda e Gran Bretagna -. Del resto, pensate che Elisa Balsa­mo a maggio è stata costretta a restare ferma per una frattura alla mano e al naso, ha cercato di recuperare magari anche un po’ af­frettatamente per disputare il Giro d’I­ta­lia, per trovare la condizione e invece si è ammalata e per una settimana non l’abbiamo vista. Ha lavorato con noi a Mon­­tichiari solo due giorni, poi è partita con la Nazionale della strada e abbiamo provato davvero poco il quartetto, non siamo riusciti a perfezionare il nostro lavoro. La for­za di Elisa è che fa in fretta a ri­prendersi ma il doppio infortunio 2023-2024 ha lasciato sicuramente il segno, an­che per questo ho deciso di non schierarla nella Madison. E la stessa Guazzini lo scorso anno è stata due mesi a letto dopo una brutta caduta e quest’anno, quando ab­bia­mo forzato, ha faticato a ritornare sui suoi soliti tempi. Se questa preparazione precaria ci ha portato al quarto posto in un torneo olimpico, le invito a crederci perché queste ra­gazze sono giovani e possono puntare tranquillamente alla prossima Olim­piade».
A riprova del talento delle azzurre, grazie a Chiara Con­sonni e Vit­toria Guaz­zini nella Madison è arrivato a sorpresa l’oro, che alla quarta Olimpiade da commissario tecnico è la terza medaglia consecutiva del metallo più prezioso per Villa dopo l’oro di Vi­via­ni nell’Omnium a Rio 2016 e nell’inseguimento a squadre di Tokyo nel 2021.
«La prima medaglia al femminile del mio corso la voglio dedicare all’intero gruppo e a tutta la Federazione. Ave­vamo un oro a cinque cerchi da difendere tutti insieme, non ci siamo riusciti con gli uomini ma l’abbiamo fatto con le donne della Madison: un bel segno! - ha dichiarato emozionato dopo aver cantato l’inno di Mameli con tutti i suoi ragazzi e ragazze -. A inizio e fine di ogni allenamento abbiamo provato dei cambi, anche misti, coi ragazzi che facevano vedere alle ragazze come perfezionarli. Permettetemi un pensiero per i colleghi della strada, i ct Da­nie­le Bennati e Paolo Sangalli, che hanno dovuto fare delle rinunce per privilegiare la pista dove avevamo delle belle pos­sibilità, e ne è valsa la pena. Ideal­mente salgono sul podio insieme a me. Nella mia gestione al femminile eravamo partiti subito con un titolo mondiale nel quartetto, poi abbiamo avuto le nostre difficoltà. La Madison è specialità dove ci vogliono sia ritmo che resistenza: Chiara e Vittoria sono state bravissime e ci hanno regalato una grande emozione. Amo questa specialità perchè i pronostici scritti sulla car­ta possono stravolgersi...». 
Da applausi il giorno successivo anche Elia Viviani e Simone Consonni, d’argento in questa specialità particolarmente cara a Villa, due volte campione del mon­do e bronzo a Sydney 2000 con Silvio Mar­tinello. 
«Il risultato dell’Omium di Elia (9°, ndr) non mi quadrava, non l’ho mai visto andare così forte, non l’ho mai visto lavorare così tanto, ha cambiato anche modo di allenarsi perché ha capito che per correre queste gare ormai bisogna usare dei rapporti più lunghi e non li aveva nelle gambe, ma in quest’ultimo anno ci ha messo tanto impegno per migliorarsi. Sono felice che abbia chiuso il cerchio con un compagno altrettanto valido, che ha sempre dato l’anima in pista» aggiunge Villa, che ha assecondato la tattica “suicida” della coppia azzurra che ha guadagnato un fondamentale giro di vantaggio co­me erano riuscite a fare 48 ore prima le compagne. 
«Elia addirittura voleva scattare al pronti via. Aveva dichiarato che avremmo adottato una tattica pazza... Ci è riuscito qualche giro dopo rispetto alla sua idea. Questo argento ripaga gli sforzi anche di Simone che in questi anni è sempre andato vicino al risultato pieno in questa disciplina, anche al mondiale. Ha rischiato di indossare la maglia iridata a Roubaix, sfumata all’ultima volata per un cambio sbagliato, altrimenti poteva essere campione del mondo con Michele Scartezzini, che mi è davvero dispiaciuto dover lasciare a casa. Avrei fatto a meno della caduta ovviamente, ma il Portogallo sapevamo che era tra le Na­zio­nali più forti, aver chiu­so alle sue spalle e da­vanti alla Da­ni­marca deve renderci or­gogliosi».
Ripensando all’Olimpiade in cui è co­minciato il suo viaggio olimpico da tecnico sembra passata una vita. 
«A Londra Viviani era l’unico atleta che avevamo, poi abbiamo fatto sistema. Dodici anni dopo la contabilità di questa spedizione è di tre medaglie, che avrebbero potuto essere di più se il quartetto femminile non fosse stato falcidiato da infortuni e malanni, e Letizia Paternoster non avesse subito la pressione del grande appuntamento nel­l’Om­nium che aveva preparato minuziosamente. Nel tempo abbiamo trovato campioni, merito di madre natura, che con il loro talento hanno esaltato il modo in cui stiamo lavorando» continua Marco Villa, che ha avuto giusto il tempo di tornare a casa per abbracciare la moglie Maria Luisa e i figli Da­vide, Riccardo e Gian Luca, prima di cambiare la valigia e ripartire per la Cina. A Luoyang si sono disputati i campionati del mondo juniores che hanno visto l’Italia ottenere il terzo posto nel me­da­gliere finale, alle spalle di Gran Bre­ta­gna e Australia, oltre al primo posto, insieme alla Gran Bretagna, per numero di medaglie conquistate: 11 in totale (3 ori, 1 argento e 7 bronzi). 
Il futuro è roseo? 
«Da questa Olimpiade portiamo a casa una medaglia per ciascuno dei tre me­talli, siamo in linea con il lavoro egregio che stiamo svolgendo, ma dobbiamo continuare a lavorare per migliorare ulteriormente le prestazioni e i bottini. Il ciclismo su pista ormai ha un li­vello altissimo. Abbiamo un gruppo femminile giovane - non dimentichiamo Miriam Vece e Sara Fiorin che han­no riportato l’Italia ai Giochi nelle specialità veloci - e uno maschile più esperto, ma che può ancora andare avanti a lungo, Viviani docet. Chi di loro vuol restare in questo gruppo è ben accetto, poi per fortuna abbiamo pure nuove leve che stanno venendo su bene. A livello Juniores e Under 23 stiamo vincendo titoli internazionali, come il quartetto U23 che un mese fa ha battuto un Belgio stellare. Dob­bia­mo insistere nel far sistema e non perdere talenti a causa della strada. Spero che i risultati consolidino la giusta men­talità» insiste Marco Villa, che chiude con un appello.
«In questo ruolo sto bene e ho voglia di proseguire, a patto di continuare a fare sistema in maniera armonica. Dico questo perché, senza fare nomi, ci sono giovani promettenti che hanno vinto ai mondiali juniores 2023 con Salvoldi, ma successivamente non hanno risposto alle mie convocazioni e in pista non sono più venuti... Peccato».

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