Ganna: «Io inseguo la perfezione»

di Giulia De Maio

Inseguendo la perfezione. Per esaudire il sogno olimpico ha fatto l’eremita. Dopo il Giro d’I­ta­lia ha trascorso un mese in al­tura tra Livigno e Macugnaga, scendendo sotto i 3.000 metri giusto per pedalare, di frequente al Ve­lodromo di Montichiari. Ha seguito una dieta ferrea, bandito l’alcool (an­che nel giorno del suo 28° compleanno dello scorso 25 luglio!), “limato” su ogni aspetto possibile e non ha lasciato nulla al caso. Filippo Ganna ha sopportato tanti sacrifici in vista di una doppia sfida dall’asticella altissima: dare la caccia a due titoli olimpici. 
Nella cronometro il campione piemontese non è riuscito a conquistare l’oro per colpa delle strade bagnate e di un Remco Evenepoel fenomenale, ma ha regalato all’Italia la prima medaglia di Paris 2024. Un argento di cui es­sere orgoglioso e che gli ha fatto venire ancora più voglia di confermarsi sul gradino più alto del podio con i compagni di quartetto nell’inseguimento a squadre su pista. Dopo la chiamata last minute per Rio 2016 e le emozioni di Tokyo 2020, quelli parigini sono i Gio­chi della consapevolezza e della maturità per super Pippo, che ha iniziato il suo terzo appuntamento con i cinque cerchi applaudito niente meno che dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Pippo è più la delusione per l’oro mancato o la gioia per la medaglia vinta? 
«Partivo per l’oro quindi un po’ mi ro­de, ma sono stato battuto da un talento indiscusso che ha meritato il successo. Remco è un campione capace di essere al top quando è necessario e dopo un grandissimo Tour non ha fallito contro il tempo. Guardando ai valori espressi io ho fatto molto di più di quello che era in previsione, quindi non posso la­mentarmi. Si sa, non sono un drago con la pioggia ma per quelle che erano le condizioni ho fatto il mio massimo possibile. Come tutti, avevo provato il percorso in condizioni totalmente diverse, in più ho dovuto buttare via la visiera a metà corsa, che dai test era una delle componenti tecniche più veloci che avevo, ma non vedevo più neanche il manubrio davanti a me. Ovviamente perdere per pochi secondi, mezzo secondo al chilometro brucia, ma aprire il medagliere della spedizione azzurra è stato un onore. Tutti i membri dell’Italia Team sono motivati, con grande cuore, testa, gambe, braccia e polmoni, quindi spero il bottino alla fine sarà davvero ricco. Io sono felice di aver aperto le danze, ora continuiamo a ballare».
Con Evenepoel e van Aert la sfida si ri­proporrà. 
«Sì, ma gli anni passano e a Los An­geles potrei avvertire i primi acciacchi dell’età mentre Remco è ancora super giovane come Joshua Tarling, che alle prossime Olimpiadi sarà ancora più maturo e pericoloso. Wout mi ha detto “so cosa vuol dire fare secondo, so quanto brucia” ma ci siamo fatti i complimenti. Forse era una delle ultime Olimpiadi dove si poteva vincere, ad ogni modo io continuerò ad inseguire la perfezione, ma più che sui rivali so­no concentrato su quello che posso fare io già dalla prossima settimana. Il giorno dopo la crono olimpica sono tornato in Italia per raggiungere i miei compagni a Montichiari e finalizzare la preparazione per le qualificazioni del 5 agosto, il primo turno del 6 e la finale del 7 con Lamon, Consonni, Milan (e Manlio Moro, riserva del quartetto del CT Marco Villa, ndr). Sarà un classico: “tutti per uno e uno per tutti”. Dal 2 allenamenti al velodromo di Saint Quen­tin en Yvelines , il 4 l’ultimo test pre-gara per capire tutti i parametri».
Il portabandiera Gianmarco Tamberi ha detto che quando indossa la maglia az­zurra è come se avesse i superpoteri. An­che per te è così? 
«Sì, perché sai che rappresenti il tuo Paese, l’orgoglio italiano. E cerchi di arrivare preparato, avendo fatto il me­glio per essere al top. Però, allo stesso tempo, non deve rappresentare un fattore “condizionante”. Ad ogni gara, che sia in maglia di club o con la Na­zio­nale, devi mostrarti all’altezza. In tutte le occasioni. Bisogna dare il cento per cento, a prescindere».
Idealmente cosa volevi portare a casa da Parigi? 
«Tutti i gadget. A parte gli scherzi... Sono partito con l’idea di prendere tutto quello che potevo. Rivincere in pista sarà dura, soprattutto quando sai che il livello è molto alto e anche gli avversari crescono. Quindi devi essere pronto a migliorare. I dettagli fanno la differenza tra il tutto e il nulla, noi li abbiamo curati con scrupolo, ma gli al­tri con cui dovremo giocarcela, a partire da Danimarca, Inghilterra, Nuova Zelanda e Australia, saranno stati al­trettanto meticolosi».
Come hai fatto a preparare due sforzi molto diversi come la cronometro e l’inseguimento a squadre? 
«Come avevo fatto a Tokyo (quando fu 5° ad appena 5” dall’argento su un percorso non ideale per lui, ndr), come negli ultimi 10 anni della mia vita, allenandoli entrambi, sopportando tanti sacrifici. Il post-Giro a livello di preparazione è stato molto intenso e im­pegnativo. Ho trascorso pochi giorni di relax a casa. Sono stato in altura 10 giorni a Livigno con la Nazionale (e Fernando Gaviria che stava preparando il Tour de France), poi altrettanti a Macugnaga, mi sono allenato in pista, quindi ho corso i Campionati Italiani e sono tornato di nuovo in pista. Poi un’altra settimana a Macugnaga e ho preso parte al Giro d’Austria (vincendo la quarta tappa, nella triste giornata fatale al giovane norvegese André Dre­ge, ndr) e sono di nuovo andato in al­tura al Rifugio Oberto Maroli prima del­le ultime sessioni di lavoro al velodromo di Montichiari. Non sono stato mai fermo. Per me non è una novità. Non so se dall’esterno sembra che “dietro” la gara ci sia poco o nulla, al contrario c’è tanta carne al fuoco pure “in mezzo”. Molto spesso, quello che la gente non vede fa la differenza».
Per questo ogni tanto c’è bisogno di staccare? 
«Sì, in attesa delle classiche vacanze a me per ricaricare le batterie basta stare a Macugnaga, nel ritiro dove ritrovo serenità lontano dai frastuoni del mon­do. Spengo il telefono e mi isolo. Lì ritrovo me stesso. Prima di volare a Parigi avrò trascorso un mesetto in altura spezzettato in diversi periodi, per lo più da solo, ma sul finale ho voluto la compagnia della mia fidanzata Rachele e della famiglia (la sorella Carlotta con i genitori Daniela e Mar­co, azzurro di canoa ai Giochi di Los Angeles 1984, ndr), che ovviamente non è mancata nemmeno a Parigi. Co­me passavo il tempo tra un allenamento e l’altro? Anche giocando a un gioco in scatola che si chiama “La Flamme Rouge”. Capito come funzionava, devi essere bravo a valutare quan­do attaccare, proprio come in cor­sa, la prima partita l’ho vinta io, la seconda Piero (il massaggiatore Baffi, ndr), Dario (l’allenatore Cioni, ndr) seppur sia il diesse ha fallito, quindi bocciato».
Tanto da vivere i Giochi con la Na­zionale della Gran Bretagna di Tarling. 
«Ovviamente avrei preferito averlo al mio fianco come ai mondiali o quando abbiamo stabilito il record dell’Ora, ma capisco che sia stata una bella occasione per lui. Magari anche la nostra Na­zionale in futuro penserà di ingaggiare il tecnico di un team World Tour come ha fatto British Cycling... Detto questo nella preparazione è stato fondamentale, come sempre. Questa volta ho proprio cercato di limare su tutto per inseguire la perfezione. Per esempio, non dico di essere diventato astemio, ma quasi. Negli ultimi mesi un giorno mi sono concesso due birre, e diciamo che è stato il massimo dello sgarro. Sentire che Remco a Nizza per la fine del Tour ha fatto le 4.30 del mattino non mi ha fatto piacere, ma quando uno è un fe­no­meno cosa vuoi dirgli? Invitami al prossimo party!».
Sei scaramantico? 
«Non particolarmente, però ho un rito quando corro nei velodromi. Come ormai sapete è mia abitudine dare un pugnetto alla pista e poi a Marco (il CT Marco Villa, ndr)».
In gara sei chiamato ad essere il più veloce possibile, che rapporto hai con la lentezza? 
«Anche nella vita di tutti i giorni cerco di essere lesto perché la mia quotidianità è fatta di orari, doveri, appuntamenti. E ti devi sbrigare. Quando mi concentro sulla valigia per le gare, invece, sono metodico. Preferisco concedermi dieci minuti in più». 
Firmeresti per un’altra medaglia non d’oro? 
«No, sono andato all in nella crono fi­guriamoci nell’inseguimento a squadre in cui abbiamo già dimostrato di poter essere i numeri 1. Sarà ancora una vol­ta una sfida serrata ma voglio sognare in grande. Siamo qui per vincere, se poi arriva un podio perché qualcun altro sarà stato più forte, come successo su strada, sarà comunque un paracadute niente male ma ora come ora pensiamo solo al gradino più alto del podio».
Al di là dei Giochi Olimpici qual è il tuo obiettivo? 
«Ispirare i giovani ad avere una vita sana e fare attività. Io sono cresciuto con la disciplina. Oggi manca, anche perchè il servizio militare non è più obbligatorio. Mio padre è sempre stato abbastanza rigido. Mi ha educato. Quando era il momento di tirarmi le orecchie lo faceva. E mi ha trasmesso solidi principi. Devo ringraziare i miei genitori per tutto ciò che hanno fatto per me».
Sei felice? 
«Sì, sono in pace. Sono innamorato e convinto che più si sorrida meglio si sta. Stiamo troppo poco in questo mondo. Se uno pensa a quanto è lunga la vita della terra e a quanto è lunga in media quella di una persona, 70, 80, 90 anni, è assurdo passare brutti momenti e farsi travolgere dalla tristezza. Nel mio caso tutti possono dire “hai fallito” ma sulla bici ci sono io, non Tizio o Caio. Ovviamente i fan vorrebbero vederti sempre vincere... e a volte criticano, è inevitabnile che sia così. Ma io so quanti sacrifici ho fatto, io so dove sono arrivato. Al di là del risultato finale, io sono uno che dà il massimo. Sempre».

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