Giro Next Gen: Jarno Widar, il bambino prodigio

di Carlo Malvestio

Si chiama Giro Next Gen, ma più che “prossima generazione” siamo di fronte al­la generazione del presente, quella dei bambini prodigio, quella che non aspetta e che vuole già tutto. La seconda edizione targata RCS Sport del Giro d’Italia riservato agli U23 ha battuto qualsiasi record di precocità: a 18 anni e 7 mesi il vincitore Jarno Wi­dar è stato il più giovane di sempre a vestirsi di rosa, ha battuto anche Juan Ayu­so, vincitore nel 2021. Non solo, su otto tappe la metà sono state vinte da corridori del primo anno, classe 2005: quelle di Widar a Pian della Mussa e Fos­se, quella del compagno di quadra Steffen De Schuyteneer a Cremona e l’ultima di Matthew Brennan a Forlimpopoli. Tutti corridori che l’anno scorso erano juniores e che presto si ritroveranno probabilmente tra i professionisti.  
Il livello della corsa è stato alto, altissimo, e per rendersene conto basta guardare le medie di velocità delle varie tappe. Abbiamo visto prime ore di gara volare via a 53-54 km/h e se a ciò ag­giungiamo quel pizzico di anarchia tipico delle corse U23, che non permette al gruppo di rilassarsi mai del tutto, ecco che ne è uscita una settimana davvero massacrante per tutti.
Parlare di U23, però, è estremamente ri­duttivo, perché almeno metà del grup­po aveva già avuto diverse esperienze nel professionismo. C’erano 14 squadre satellite di formazioni World­Tour e Profes­sional, e solo 3 team italiani non appartenevano alla categoria Continental: la Arvedi, la Campana Im­ballaggi Geo&Tex Trentino e la UC Tre­vigiani, che infatti hanno faticato non poco. Le tappe, neanche a dirlo, sono state vinte tutte da squadre development del WorldTour.
IL VINCITORE. Vale la pena spendere qualche parola su Jarno Widar, il primo belga di sempre a vincere il Giro Next Gen, che già prima di questo successo era ritenuto all’unisono uno dei maggiori prospetti e in Belgio aveva i riflettori puntati addosso già da un po’ di tempo. 166 centimetri per 52 chili, sembra impossibile possa essere così potente, invece lo è, tanto da essersi piazzato in Top 10 anche nel­la crono inaugurale di Aosta. Poi sono arrivati due successi di autorità a Pian della Mussa e a Fosse, in salita, il suo terreno prediletto.
All’apparenza è timido, un po’ strafottente, ma la personalità del campione sembra averla: se la domanda non gli piace non ha problemi a rispondere a monosillabi o con un “non mi interessa”; se gli pia­ce, invece, è capace di dare letture interessanti. In gruppo è nevrotico e scanzonato, tanto da stare in coda anche in fasi calde della corsa, ridere senza problemi e mimare il gesto di superman per le telecamere. Carpendo un po’ di impressioni qua e là, non a tutti in gruppo sta simpaticissimo, ma non va dimenticato che ha 18 anni, e probabilmente deve crescere sotto molti punti di vista. Anche perché quando ha visto il suo compagno di squadra Milan Donie piangere di emozione per la vittoria, è scoppiato a piangere pure lui abbracciandolo. Sotto sotto, magari, è un tenerone anche lui, e quella del “du­ro” è una corazza che si sta co­stru­endo. Sicuramente è un uomo squadra: «È una sensazione strana vincere il Giro, non riesco a spiegarla, troppo bello - ha detto -. Devo tutto alla squadra, 99% di questa vittoria è merito loro, solo l’1% è merito mio».
Per stazza e personalità, è inevitabile sia accostato a Remco Evenepoel, ma anche da questo punto di vista non ha dato grandi soddisfazioni a chi glielo ha chiesto: «Se devo essere sincero non mi interessa nulla se dicono che sono il nuovo Evenepoel. Ho la mia strada da seguire, quindi non sento alcuna pressione intorno a me, sono paragoni che non hanno un gran significato» ha det­to. Tra le sue citazioni più interessanti, poi, ci sono anche un «che noia le tappe pianeggianti» e un «53 km/h di media alla prima ora? Non li ho sentiti, ero a ruota». Insomma, un personaggio da continuare a seguire, in gara e fuori.
Il ciclismo di oggi, si sa, è tutto numeri e watt, e quelli fatti segnare da Widar salendo verso Fosse sono stati impressionanti. Diversi account di X specializzati in numeri parlano di una delle prestazioni migliori di sempre per un atleta U20: «Io in realtà corro senza misuratore di potenza in salita, perché ho una bici abbastanza pesante e to­gliendolo guadagno 300 grammi in leggerezza, quindi non ho proprio i numeri esatti. Però ho visto i dati dei corridori arrivati appena dietro di me e, sì, è stata una prestazione davvero incredibile. Se posso già vincere coi professionisti? Come numeri magari sì, ma devo migliorare nel posizionamento in gruppo, spendo troppe energie e tra i professionisti sono cose che poi paghi. Mi­gliorerò con l’esperienza… e sto anche andando da un mental coach, spero mi aiuti su tanti fronti».

GLI ALTRI. Prima che Jarno Widar irrompesse di forza a Pian della Mussa, due corridori hanno fatto in tempo ad indossare la Maglia Rosa. Il primo è stato Jakob Söderqvist (Lidl Trek Future Racing), che ha vinto piuttosto nettamente la crono di Aosta e si candida ad essere uno dei favoritissimi anche per la crono mondiale di categoria. Jakob è uno di quei ragazzoni che emana potenza da tutti i pori: 187 centimetri per più di 80 kg di muscoli, arriva dalla MTB e questo è solo il secondo anno in cui si concentra veramente ed esclusivamente sulla strada. Nel 2024 aveva già vinto il Tour de Bre­tagne e due tappe alla Fleche du Sud, mettendo in mostra a più riprese tutti i suoi watt.
Poi è stato il turno di un corridore che abbiamo già imparato a conoscere, per il semplice fatto che ha già vinto anche coi professionisti: Paul Magnier (Sou­dal QuickStep). Il francese classe 2004 ha vinto a Saint-Vincent, ha indossato la Rosa per un giorno, ha rivinto a Bor­gomanero e si è portato a casa la Ma­glia Rossa della classifica a punti. Par­lia­mo di un corridore che si è imposto tra i grandi nel giorno del suo esordio, al Trofeo Ses Salines di Maiorca, e poi si è ripetuto al Tour of Oman. In­som­ma, a tutti gli effetti già un membro del Wolfpack.
La terza, e ultima, volata è stata appannaggio di Steffen De Schuyteneer (Lot­to Dstny), compagno di Widar, anche lui classe 2005. È nato col ciclismo nel sangue, visto che suo papà correva ed è appassionatissimo, tanto da avergli da­to il nome in onore del corridore tedesco Steffen Wesemann, vincitore del Giro delle Fiandre 2004. Più che velocista, però, lui si immagina un futuro da protagonista nelle classiche di un giorno. Per le fughe, invece, abbiamo dovuto aspettare le ultime due giornate. La prima, infatti, è andata in porto a Zocca, a casa di Vasco Rossi, con il “vecchio” - ecco l’appellativo che tocca a un classe 2002 - Huub Artz (Wanty-ReUz-Technord) vincitore in solitaria. Olandese di Eindhoven, 186 cm per 69 kg, si ispira a Mathieu Van der Poel e sogna, un giorno, di vincere il Giro del­le Fiandre. Dal prossimo anno sarà ufficialmente un professionista tra le fila delle Inter­marché, anche se non ha ancora capito che tipo di corridore sia, visto che al Giro ha vinto in salita e a febbraio aveva chiuso terzo sulla Green Mountain del Tour of Oman, ma poi ha vinto la Gand-Wevelgem U23 e si è piazzato settimo alla Parigi-Roubaix.  «Dopo Pian della Mussa e Fosse, però, mi sono convinto che le salite non sono proprio il mio terreno, mi piacciono solo quando sono al top, mi definirei più un corridore da classiche» ha infine detto Artz.
Il gran finale di Forlimpopoli, invece, ha sorriso a Matthew Brennan, che ha raddrizzato il Giro della Visma | Lease a Bike dopo una settimana difficile, grazie a una bella fuga orchestrata in­sie­me ai compagni Pietro Mattio e Darren Van Bekkum e conclusa con una super volata. Anche lui primo an­no, da ragazzino ha alternato pista e MTB e adesso è un corridore molto veloce, che può dire la sua in volata ma anche nelle classiche più vallonate. Il suo sogno è il Giro delle Fiandre perché è una corsa «in cui non ti puoi na­scondere» e il suo idolo «è Michal Kwiatkowski, perché è un vincente ma anche un grande uomo squadra».
Sul podio finale, con Widar, è salita la “nueva onda” spagnola, con Pablo Tor­res (UAE Team Emirates) secondo e Pau Martí (Israel PremierTech) terzo, bravo a beffare Mathys Rondel (Tudor) all’ultima tappa per la somma dei piazzamenti, dopo che i due avevano chiuso con lo stesso tempo.
GLI ITALIANI. In termini di classifica generale, il Giro Next Gen è sempre stato un po’ duro da digerire per gli atleti azzurri. Da quando è tornato in calendario nel 2017, l’unico che ha conquistato il podio è stato Kevin Col­leoni, 3° nel 2020.
Quest’anno è toccato a Florian Ka­ja­mini (MBH Colpack Ballan CSB) tenere alto il tri­colore: il corridore bo­lognese ha chiuso al settimo posto finale e si è portato a casa la maglia speciale di miglior italiano, con Ales­sandro Pi­narello (VF Group - Bardiani CSF - Faizanè) che ha invece terminato al nono posto.
Anche Lorenzo Nespoli (MBH Colpack Ballan CDSB) è riuscito a portarsi a casa una maglia, quella az­zurra di miglior scalatore, per quella che il CT Marino Amadori ha definito «una delle più belle sorprese di questo Giro Next Gen».
Purtroppo, però, non è arrivata nessuna vittoria di tappa ed è la pri­ma volta che succede da quando esiste il Giro riservato agli U23. Ciò non si­gnifica che gli azzurri non siano stati protagonisti, perché sono arrivati molteplici piazzamenti e podi, come il se­condo posto di Andrea Raccagni No­viero (Soudal - QuickStep) nella cro­no di Aosta, il secondo a Saint-Vincent e il terzo a Borgomanero di Lorenzo Con­forti (VF Group - Bardiani CSF - Fai­zanè), il terzo di Andrea D’Amato (Bies­se Carrera) a Borgo­manero, il ter­zo di Samuele Privitera (Hagens Ber­man Jayco) a Zocca e ancora il terzo di Luca Paletti (VF Group - Bardiani CSF - Faizanè) a Forlimpopoli. Il livello è sempre più alto, sempre più vicino a quello professionistico, e agli italiani tocca tener botta.

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