Baroncini: «Se la sfortuna mi lascia tranqullo, posso fare bene»

di Giulia De Maio

«Ho solo bisogno di più fortuna per divertirmi di più». Filippo Baroncini invia un messaggio semplice e chia­ro al 2023. Dopo una prima stagione tra i grandi caratterizzata da infortuni e conseguenti stop, il campione del mondo Under 23 di Leuven 2021 vuole dimostrare tutto il suo valore nella massima categoria.
Nel 2022 la mala sorte non ha risparmiato il giovane romagnolo. Risolto un risentimento al ginocchio, nella prima tappa della Volta ao Algarve, in Por­to­gallo, ad inizio stagione si è fratturato il radio destro, rotto nuovamente, an­che se non nello stesso punto, a fine agosto insieme alla clavicola nella ca­duta in cui è rimasto coinvolto alla Bre­tagne Classic. Prima è stato costretto a stare lontano dalle gare per 38 giorni e poi, dopo aver indossato la maglia az­zurra ai Campionati Europei di Mo­na­co ed essersi illuso che la dea bendata fosse tornata dalla sua parte, ha visto calare il definitivo sipario su una annata più corta e tribolata del previsto. Non è stato di certo il battesimo dei sogni per questo talento che promette di regalare all’Italia ciclistica tante soddisfazioni, ma testa dura e re­silienza sono due doti di Filo che non hanno bisogno di allenamento, a differenza di quell’istinto che da dilettante gli ha permesso di indossare la maglia iridata (beffando niente meno che Bi­niam Ghirmay!) e che tra i big, a detta dei suoi tecnici, deve imparare a tenere a freno per non sprecare troppe energie.
Archiviate le feste, in cui immancabilmente si è messo ai fornelli insieme alla nonna per la gioia di tutta la famiglia, il ventiduenne di Massa Lom­bar­da è pronto a volare in Australia dove tra pochi giorni inizierà il suo secondo anno da professionista in maglia Trek Segafredo.
Prima di guardare avanti, voltiamoci un’ultima volta per tirare le somme del 2022.
«Ci sono stati tanti bassi e qualche alto, non è andata secondo le mie aspettative. La prima cosa che ho pensato è che la stagione era iniziata come la fotocopia della precedente. Nel 2021 mi ruppi la clavicola, ma poi andò tutto liscio, questa volta invece è stata più complicata dall’inizio alla fine. Non sono uno che si butta giù, ma non è stato facile ripartire dopo il secondo infortunio. Quando ero fermo ai box mi sentivo un cavallo imbrigliato, che non vedeva l’ora di correre. Ho cercato di non demoralizzarmi troppo e di cogliere le opportunità che mi si so­no presentate. Ogni volta mi sono rialzato e sono riuscito a tirare fuori qualcosa di buono. Il momento più bello l’ho vissuto al Campionato Ita­liano (si è piazzato 5° sia nella prova in linea che in quella a cronometro, ndr), la sfida tricolore è stata la corsa in cui ho capito che Baroncini ci può essere anche tra i prof. Nonostante tutto ho sempre avuto fiducia nei miei mezzi, ne ho altrettanta per il 2023».
Come è cambiata la tua vita?
«Rispetto a quando correvo tra gli Un­der 23 non tanto, anzi... La vita da prof è quasi più rilassante di quella da dilettante in cui hai gare ogni settimana. Hai un programma più definito, stai via di casa a lungo ma una cena al ristorante è più facile organizzarla adesso rispetto a prima. Mi sono spostato a San Marino, da quando vivo da solo, devo occuparmi delle faccende di casa, sono più casalingo rispetto a quando abitavo con i miei genitori, ma non mi pesa. Avendo frequentato l’istituto al­berghiero per due anni e mezzo in cucina non ho problemi e, per quanto ri­guarda l’alimentazione, sono seguito da Iader Fabbri che mi ha insegnato a bilanciare al meglio i piatti. Ho modificato qualcosina a livello di preparazione, dall’anno scorso sono seguito da Matteo Azzolini, tecnico del Centro Ri­cerche Mapei Sport, a cui la Trek Segafredo si affida. È giusto dare qualche nuovo stimolo al fisico così, dopo aver passato un po’ di ore in bici, ci siamo concentrati sul potenziamento e sulla ricerca di un buon ritmo in salita con lavori ad intervalli, per esempio un minuto forte e uno piano piano, per più ripetizioni».
Cosa ti ha colpito del salto di categoria?
«L’organizzazione della squadra in sé, vedere quante persone lavorano per supportare i corridori in ogni aspetto prima, durante e dopo le competizioni lascia sbalorditi. Ormai i team World Tour sono vere e proprie aziende. Per quanto riguarda lo svolgimento del mestiere in sé, non ho stravolto nulla. Sono sempre stato un buon lavoratore, allenarmi mi piaceva e mi piace tuttora, non mi ha mai pesato. Più di qualche corsa che attendevo maggiormente l’anno scorso sono stato costretto a saltarla, ma spero di rifarmi presto e restare piacevolmente impressionato da pubblico e atmosfera».
Cosa hai imparato nel corso del tuo primo anno tra i grandi?
«Ad essere forte e che in certe occasioni di corsa potrei dare una frenata in più (sorride, ndr), anche se alla fine la fortuna fa la differenza. Le cadute mi hanno fatto crescere tanto a livello caratteriale. Restare concentrato e de­terminato durante uno stop forzato non è semplice, ma ci sono riuscito. Ho cercato di trovare qualcosa di buo­no anche nei momenti più bui. Sono convinto che siano quelli che ti formano come persona. A livello mentale mi sento forte, riesco ad archiviare le difficoltà e a voltare pagina abbastanza fa­cilmente».
Il consiglio più prezioso che hai ricevuto?
«Di ragionare due volte prima di agire. L’istinto è una mia caratteristica peculiare, mi piace tanto attaccare, ma tra i professionisti questa indole può portare a commettere errori, come mi hanno fatto notare praticamente tutti i tecnici con cui ho avuto a che fare».
Che effetto ti ha fatto vedere il tuo coetaneo Girmay, che ti eri messo alle spalle a Leuven, vincere la Gand Wevelgem e una tappa al Giro d'Italia 2022?
«Mi ha dato tranquillità. Se lui l’anno scorso ha fatto quello che ha fatto, io con una prestazione come quella del mondiale 2021 potrei fare altrettanto bene. Gli rivolgo i miei complimenti più sinceri per quanto ottenuto tra i grandi e mi do l’obiettivo di arrivare al suo livello quanto prima».
L’obiettivo resta vincere.
«Non mi tiro indietro, soprattutto in questo ciclismo in cui nessuno ti aspetta. Bisogna cogliere ogni occasione e non avere timori reverenziali. Alla fine della stagione scorsa non ho praticamente fatto vacanze. Stavo per prenotare proprio la settimana in cui mi sono fatto male per la seconda volta, ma dopo l’infortunio mi era scappata la voglia. I primi giorni della pausa li ho passati dal mio fisioterapista di fiducia Matteo Manzi per recuperare al cento per cento. Ora mi sto allenando molto e sono volenteroso di ripartire».
Alle spiagge esotiche hai preferito il ciclocross.
«Sì, ho voluto provare questa nuova esperienza. A inizio dicembre ho preso parte al Memorial Amedeo Severini. Ho usato la stessa bici del team Trek Ba­loise, come telaio è molto simile alla Emonda. Il manubrio è un po’ più alto, per mantenere una guidabilità migliore e decisa. Ai box ad assistermi c’erano papà Carlo e la mia fidanzata Alessia. Volevo divertirmi e così è stato. Dopo il lungo stop avevo voglia di mettere il numero sulla schiena e sia io che la squadra siamo convinti che uno sforzo intenso come quello di una gara di cx dia i suoi frutti. È stata un’ora intensa con una frequenza cardiaca molto alta, dove si stimola la soglia. Aiuta ad en­trare in forma prima. Inoltre è molto divertente e utile per migliorare la tecnica in bici. Ora sul bagnato mi sento più sicuro. Se mi avessero doppiato magari avrei desistito (ride, ndr), ma considerato il terzo posto finale mi è venuta voglia di riprovare in futuro».
Di recente hai festeggiato il primo Natale senza nonno Paolo.
«Già, se n’è andato a marzo all’improvviso, lasciando un vuoto enorme in fa­miglia e tra tutte le persone che lo amavano. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo sa che dava due giri a tutti. Ave­va una grinta pazzesca. Da qualcuno l’avrò pur presa... È sempre stato la mia forza, mi ha seguito dal primo all’ultimo giorno della sua vita. Fin da quando ero un bambino che tirava calci al pallone o aspettava il pullmino della Ciclistica Massese che passava davanti a casa, mi ha stimolato a migliorarmi. Per lui ero un vincitore anche quando perdevo. Vorrei dire qualcosa di più, ma il magone mi stringe la gola (Fi­lippo si commuove, ma dopo una breve pausa ha una promessa da rivolgere al cielo, ndr). In bici voglio spaccare il mondo, adesso ancora più di prima. Per te, nonno».

Un desiderio per l’anno nuovo?
«Che la sfortuna non sia più mia compagna di viaggio, senza di lei sono già sicuro che il 2023 sarà un buon anno. Ne avrei anche altri, ma li tengo per me per scaramanzia. Il 6 gennaio parto per l’Australia da dove inizierà la mia stagione, quindi tornerò in Algarve. Per quanto riguarda il calendario italiano sulla carta dovrei partecipare a Strade Bianche, Tirreno-Adriatico e Milano-Sanremo, che per il futuro è la mia corsa dei sogni. Grandi giri? Pro­ba­bil­mente debutterò alla Vuelta a España ma è presto ora per guardare così avanti. Nel corso degli anni vorrei diventare un buon corridore per le classiche e le brevi corse a tappe, ma sono curioso di vedere come me la cavo nelle tre settimane con il recupero e tutto il contorno. Non metto nel mirino una corsa nello specifico, in ognuna voglio ben figurare e una qualsiasi andrà bene per iniziare a provare l’ebbrezza di vincere nella massima categoria».

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