Rapporti & Relazioni

21 maggio 2021, un tristissimo giorno storico

di Gian Paolo Ormezzano

S egnatevi la data, può di­ventare tristemente storica: 21 maggio 2021, sui nostri giornali quotidiani è tempo di  cronache e commenti e inchieste e pezzi di colore sul Giro d’Italia arrivato il gior­no prima alla sua tappa numero 12, la Siena-Bagno di Romagna, la seconda vinta da un italiano (Ven­dra­me, dopo il cronoman Ganna vittorioso il pri­mo giorno). Il Corriere della Sera, il giornale milanese che attraverso la Rcs (Rizzoli-Cor­riere della Sera, e dunque an­che Gazzetta dello Sport), è “padrone” della cor­sa ro­sa, il giornale dell’editore Urbano Cairo che sta nello sport (calcio) anche come presidente del Torino da più di tre lustri, de­dica all’evento - molto “suo” ma intanto storicamente di tut­to il grande sport popolare italiano - i canonici servizi di due inviati, Gaia Piccardi e Mar­co Bonar­ri­go, nelle pagine ap­punto sportive, ma gli dedica pure la consueta bella se­quenza di pagine assortite “a la­tere” del Giro, ma dedicate ai posti d’Italia che il Gi­ro tocca.

Eci sono servizi extrasport su luoghi, posti, uomini e cose, ad opera di scrittori, economisti, specialisti. Da “inquietare”, se si vuo­le, La Gaz­zetta dello Sport,  cioè l’essenza editoriale storica della corsa: provvisoriamente molto presa da un finale di calciocampionato assai alla milanese, la “rosea” ha dato per la prima metà del Giro il più della prima pagina al pallone anziché alla bicicletta (co­munque tante pagine interne e il supplemento Sportweek im­prontato alla corsa e al ci­clismo, ci mancherebbe).
Il Corriere della Sera, che fra l’altro dà tanto spazio al Giro anche con inserti speciali delle sue edizioni locali, è il primo quotidiano italiano per tiratura. Seguono la Re­pubblica e La Stampa, che alla cor­sa hanno come inviati rispettivamente Cosimo Cito e Giorgio Vi­ber­ti, impegnati dall’8 maggio del via sino a quel 21 maggio in re­portage ottimi e abbondanti.
La Repubblica e La Stampa da qualche tempo sono confluite, insieme con l’Espresso ed al­tre testate diciamo minori, in un gruppo editoriale comune, che si chiama Gedi, è legato alla famiglia Agnelli e sta ov­viamente in concorrenza con Rcs. I due quotidiani hanno la redazione centrale rispettivamente a Roma e a Torino, con sottoredazioni staccate in non po­che città, hanno le loro pa­gi­ne spor­tive che comunque non sono legate ad alcun tipo di collaborazione fra le due testate, e possono ospitare ar­ti­coli con tesi diverse per non dire opposte.

Bene (nel senso di ma­le): il 21 maggio, dopo una tappa all’italiana, con la bella e tenera e forte storia di quel Ven­drame che per avere un ingaggio ha do­vuto emigrare all’estero e che ha sofferto nel suo passato re­cente una brutta vicenda in cui lui è sta­to vittima dell’aggressione violenta ad opera di di un au­tomobilista di quelli che proprio non sopportano i ciclisti, il 21 maggio la Re­pub­blica dà al Giro un titolino su due delle sue cinque colonne, in basso, di una delle sue pagine sportive (non la prima), con piccola foto del vincitore e una ventina di righe non firmate. E ancora meno dà La Stam­pa: una pagina della se­zio­ne sport, non la prima, una piccola foto, un ti­tolino basso su tre delle sue sei colonne, e 3-righe-3 di dicitura, dove si cerca di liofilizzare tutto della giornata. Gli inviati dei due giornali hanno saputo di questa decisione, presa probabilmente dai loro direttori e trasmessa dai loro capiservizio, verso le 21, quando già da qual­che tempo avevano finito di lavorare, dopo avere mandato in redazione i loro scritti. Questione speciale di spazio, si sono sentiti dire, ma questa vol­ta nessuna dittatura del calcio. Essì, il giorno prima Fe­de­rica Pellegrini a Budapest era arrivata seconda sui 200 metri crawl ai campionati eu­ropei di nuoto, risultato atteso e bene sistemabile, senza delirio grafico di sorta, nello stupendo palmarès della nuotatrice. Essì, il giorno prima Gio­vanni Mala­gò, riconfermato presidente del Coni, aveva diramato, ov­viamente anche ai giornali, la no­tizia della scelta di un ciclista, Elia Viviani pe­da­lante al Gi­ro, e di una tiratrice al volo, Jessica Rossi, a portare insieme la bandiera dell’Italia ai Giochi Olimpici di Tokyo, rubricati co­me 2020 ma per la pandemia spostati all’estate di questo 20021: sempre che la stessa pan­demia non obblighi alla cancellazione definitiva.

Viviani è l’ultimo degli az­zur­ri ad avere ha conquistato l’oro olimpico estivo: è accaduto ai Gio­chi di Rio de Ja­neiro 2016, nella degna ancorché non po­polarissima prova su pista dell’omnium, mentre la Rossi ave­­va vinto l’oro ai Giochi di Londra 2012. Campioni sì, i due, ma non sicuramente in sport di vasta partecipazione popolare. Comunque il 21 mag­gio grandi titoli sulle pri­me pagine, oltre che sulle pa­gi­ne sportive, di tutti i giornali italiani, ti­toli si capisce relativi ai due “eventi”, con abbondanza di particolari sulla longevità del­la Pel­le­gri­ni (ormai alla quinta sua Olim­pia­de) e sull’alto valore simbolico di quei due ori che in Italia, pae­se an­cora troppo ignorante di sport vero, avevano avuto, ai tempi del lo­ro conseguimento, meno attenzioni di un gol se­gnato o anche mancato da un divo del calcio.

Mistero. C’è stato persino chi ha vo­luto ve­dere nell’insieme degli eventi un risvolto della guerriglia calcistica (e non so­lo: anche editoriale, se si vuo­le) fra Urbano Cairo presidente del Torino e Andrea Agnelli presidente della Juventus che pochi giorni prima era incorso nella gaffe dell’annuncio della creazione fra i superclub di una Superlega morta prima di essere nata (e Cairo si era la­mentato per la mancanza di sanzioni alla stessa Juventus da parte di Uefa e/o Fifa). Si può pensare a tutto ed al suo contrario. Non si può non av­vertire la sorpresa. Quasi che lo sport, preso da una sorta di raptus extracalcistico ed extraciclistico, abbia voluto dire la sua, in modo giornalistico davvero speciale, nel contesto lieto della ripresa italiana do­po il buio della pandemia, en­fatizzando la notizia della me­daglia d’argento continentale ad una campionessa già ricca d’oro mondiale, nonché della scelta (ma quanto partecipata dalla gggente?) dei due portabandiera per l’inaugurazione di un’Olimpiade ancora in bi­lico. Lo sport che attraverso i giornali si dice anch’esso lieto, in­somma, per il bel momento.
Ma perché non dirlo anche con Andrea Vendrame, e nel senso anche di Giro bel­lo, avvincente, che vince sulla strana lunga pioggia di maggio e sulle paure residue del contagio, che ospita grandi nomi stra­nieri e propone emergenti nomi italiani?

Sinceramente: la nostra brava gente si emoziona di più per l’argento di Federica in una asettica pi­scina di Budapest che per la capacità, infine, di un italiano di vin­cere una tappa in linea in una grande corsa di quello che è stato lo sport della rinascita postbellica nostrana?
O c’è altro? Si tenga presente, mistero nel mistero, che il giorno dopo La Stampa ha ri­preso con il suo inviato a dare al Gi­ro uno spazio degno, fra l’altro presentando il tappone dello Zoncolan, mentre la Repub­bli­ca (che quando nacque, anno 1976, manco aveva una redazio­ne sportiva) ha colpito più du­ro ancora, “re­galando” e in­fliggendo alla cor­sa un titolino diciamo pure offensivo su una colonna, po­che righe non firmate, e dan­do il suo spazio riservato allo sport alla rivelazione della fine dell’amore fra Jessica Rossi e il marito pure lui fuciliere, alla conquista di una medaglia d’oro europea bis da parte del­la nuotatrice Simona Qua­da­rella e, ci mancherebbe, ad una vasta disamina della situazione nei più importanti europei del pallone. Segnaliamo alla nuova dirigenza del nostro ciclismo la forte eventualità che il 21 maggio 2021 diventi giorno tristemente storico dell’editoria sportiva è forte, fortissima. Nel male co­me (più difficile) nel bene. Sempre che chi ha scritto queste righe non abbia capito nien­te ma proprio niente no­nostante quasi settant’anni di giornalismo, con “dentro” persino la direzione di un giornale sportivo quotidiano.

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