Wout Van Aert, l'uomo che non conosce i suoi limiti

di Paolo Broggi

Strade Bianche e Sanremo in una settimana sono un bottino straordinario, rappresentano un’impresa che proietta Wout Van Aert tra i grandi del ciclismo.
«Restare fermi significa andare in dietro» è la frase che il venticinquenne belga ama ripetere, una sorta di mantrache gli è servito per superare anche il lungo periodo nel quale ha dovuto restare fermo davvero.
Un anno fa, era il luglio del 2019, Wout stringeva troppo una curva durante una crono del Tour, incocciava nella transenna e si procurava una ferita lunga quasi trenta centimetri alla coscia de­stra. Muscoli lacerati, lunghe settimane di pazienza che si trasformano in mesi, l’emozione di muovere i primi passi, il lungo lavoro di rieducazione e di recupero - invero più lungo di quanto esperti e sanitari avessero previsto -, la speranza di disputare qualche cross, lui che della specialità è stato per tre volte consecutive campione del mondo.
No, non è stato facile per Wout Van Aert risalire la china e tornare a correre ad alto livello. Ma una volta tornato in sella, la sua esplosione è stata clamorosa, fragorosa, entusiasmante.
RE DELLA POLVERE. Nell’im­maginario collettivo, il crossita è un atleta che si dibatte perennemente nel fango e si misura con la neve, la pioggia ed il freddo. Ovvero agli antipodi di quello che sabato 1° agosto - giorno della ripartenza ufficiale del World­Tour - hanno trovato i corridori sulel Strade Bianche di Siena: caldo torrido, polvere capace di seccare ogni respiro e soprattutto uno sterrato duro, durissimo, reso tale dal sole caldo. Una si­tuazione, questa, che non ha frenato Van Aert che sull’ultimo tratto di strade bianche ha messo il turbo, ha staccato i compagni di fuga ed è volato via tutto solo per arrivare da campione in Piazza del Campo. E sotto la Torre del magia ha sorpreso tutti tagliando il traguardo con il sorriso in volto e le dita della mano destra a disegnare il gesto delle corna. Corna? gli chiediamo.
«Non c’era un motivo particolare per il gesto delle corna - ci risponde -, ma ho solo pensato che fosse figo fare un ge­sto così, in particolare dopo un periodo difficile come quello che si è da poco concluso».
Tornare a correre dopo cinque mesi di stop non è stato facile. «Diei che è stato difficile correre, in particolare all’inizio. Ho dovuto impiegare un po’ di tempo per capire bene come procedere e seguire il gruppo. La polvere e il caldo hanno reso la corsa mol­to difficile. Gli occhi hanno continuato a bruciarmi fino a sera. Qui a Siena ero già arrivato due volte terzo, ma a quei piazzamenti ho pensato solo un attimo sul muro di Santa Caterina, poi sono andato dritto per la mia strada».
La domanda sulle preferenze è inevitabile, la risposta non tradisce le attese: «Quando corro in bici cerco sempre di restare concentrato, a prescindere dalla strada o dal ciclocross. Sono modi di correre molto diversi, uno più esplosivo e breve e uno di lunga durata. La sofferenza è sostanzialmente la stessa e amo fare entrambi».
Altrettanto inevitabile il pensiero al brutto incidente del 2019: «Questa  vittoria è molto importante per me, l’anno scorso di questi tempi ero in ospedale e molti pensieri negativi affollavano la mia mente. Per fortuna ora tutto è alle spalle, con la mia squadra siamo ad un livello molto alto e ho raggiunto questi risultati grazie ai miei compagni. I dettagli sono importanti in ogni corsa e in ogni allenamento: grazie al mio team sono riuscito ad occuparmi anche dei piccoli particolari che mi hanno aiutato a vincere».
Tra i piccoli, ma neanche tanto, particolari c’è anche un mental coach - Ru­dy Heylen - che ha confidato di essere rimasto stupito dalla razionalità con la quale Wout ha affrontato e superato il problema.
A Siena, le ultime parole di Wout pri­ma di salutare sono una piccola bugia: «Sono stanchissimo, ora avrò bisogno di tenpo per recuperare».
Già perché sette giorni dopo Wout torna a stupire e lo fa in una delle corse più famose del mondo, la Milano-Sanremo.
INEDITO ALLA CLASSICISSIMA. Mai si era corsa la San­remo l’8 di agosto, mai si era passati dal Piemonte e dal Col di Nava per evitare la Ri­vie­ra savonese i cui sindaci hanno detto no alla corsa, mai negli ultimi anni le squadre avevano potuto schierare al via solo sette corridori per dar mo­do agli organizzatori di in­vitare tutte le squadre italiane.
Una corsa con tante no­vità non poteva che scegliersi un nuovo re, negando il bis a chi l’aveva vinta solo un anno prima. Ala­phi­lippe in realtà fa tutto bene: scatta sul Poggio sorprendendo tutti gli avversari e scollina solo, ma alle sue spalle, staccato di pochi secondi, c’è il più scomodo degli av­versari. Sfruttando la sua grandissima abilità nel guidare la bicicletta, Van Aert annulla lo svantaggio nel giro di poche curve, dà il cambio al francese e quando arriva sulla via Au­relia non si ferma a pensarci troppo, nemmeno quando Alaphilippe prova a fare il furbo e non va più in testa. Van Aert accetta la sfida a viso aperto, scarica sull’asfalto di Via Roma tutta la sua potenza e va a vincere la Classi­cis­sima.
«Ora che ho vinto la Sanremo, posso anche ritirarmi» si lascia scappare subito dopo aver abbracciato mamma e pa­pà e aver regalato i fiori alla moglie Sarah, che a gennaio lo renderà padre. Ma quella frase è un’altra delle piccole bugie di un ciclista che sta vivendo il momento più bello della carriera, basta pensare che pochi giorni dopo firmerà un’altra grande vittoria nella prima tappa del Criterium del Delfinato.
Bugie dette a caldo, bugie che si possono perdonare ad un ragazzo che ha fe­steggiato le vittorie concedendosi un buon vino con i compagni di squadra: «Dopo le Strade Bianche abbiamo brindato con il Brunello di Montalcino, dopo la Sanremo abbiamo scelto un ottimo Barbaresco».
Il discorso torna serio quando chiedi a Van Aert quali siano i suoi limiti: «Non lo so nemmeno io, ho solo 25 anni e mi godo il piacere di scoprire di volta in volta ciò di cui sono capace. E così mi immagino una carriera piena di vittorie, corse ed emozioni diverse. È normale che classiche come Fiandre e Rou­baix siano in cima alla lista dei de­sideri mentre per il momento non mi vedo corridore da Grandi Giri, più avanti vedremo. L’importante è riuscire a dare sempre il 100 per cento e magari anche qualcosa in più, come ho fatto io sul Poggio quando è scattato Ala­phi­lippe».
La nuova sorpresa Van Aert promette di regalarla al Tour de France, dove sarà chiamato a lavorare per i suoi capitani Roglic e Dumoulin. Ma state bene attenti, perché i suoi compagni di squadra dicono che in salita va fortissimo e che anche i big non riescono a staccarlo.
In realtà , tra le piccole bugie Van Aert ha detto una grande verità: nessuno conosce i suoi limiti, nessuno sa quanto potrà ancora stupire questo ragazzo che dopo essere stato il numero uno nel ciclocross non ha avuto paura a gettarsi nella mischia del ciclismo su strada e ha cominciato a riscriverne le gerarchie.

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