Jakobsen, l'astro nascente

di Giulia De Maio

La stagione perfetta della Quick Step Floors è stata sugellata dalla rivelazione del 2018: Fabio Jakobsen. Il ventiduenne olandese ha de­buttato tra i professionisti conquistando sette successi: la Nokere Koerse, la Scheldeprijs, una tappa al Tour des Fjords, una al Binck Bank Tour, una al Tour of Slovakia, per finire con i due successi di tappa al Tour of Guangxi, che hanno portato la formazione belga di Patrick Lefevere ad essere la squadra più vincente di sempre, battendo il record detenuto dalla Mapei Quick Step di 71 successi (conquistato nell’anno 2000). Un filotto di 73 vittorie spalmate in tutta la stagione e suddivise in modo eterogeneo per varietà di corse e di protagonisti, con il campione d’Italia Elia Viviani a farla da padrone, Julian Alaphilippe a firmare il salto di qualità e alla loro ruota questo giovane sprinter che cresce bruciando le tappe.
«Sono davvero felicissimo, non potevo chiedere di più a questa mia prima stagione tra i grandi: si conclude per me e per il mio team è un’annata che resterà nei libri di storia del ciclismo. Far parte di una squadra come la Quick Step Floors è davvero fantastico: vincere le corse ha creato come dire... un effetto valanga, perché ogni successo ha favorito le vittorie successive» racconta al termine dell’ultima tappa della corsa cinese che ha chiuso il calendario World Tour.
«Vincere sette corse da neopro, e tutt’altro che di secondo piano, è fantastico. Ho imparato un sacco, soprattutto da Niki Terpstra con cui ho condiviso spesso la camera, e dai compagni più esperti come Philippe Gilbert, Bob Jungels e Julian Alaphilippe. Corsa dopo corsa ho capito come si svolge una gara professionistica, che è molto differente rispetto a quelle degli Under 23, come preparare gli appuntamenti, come correre da squadra. I direttori sportivi mi hanno insegnato come aiutare e farmi aiutare dai com­pagni. Ab­bia­mo lavorato molto sul treno, che non avevo mai avuto prima o almeno non così strutturato. Mi han­no lanciato le volate Michael Morkov, Florian Se­ne­chal, Davide Martinelli, Max Richeze... Loro sono dei maestri e io imparo già solo guardando come si muovono. Con Elia Viviani ho corso a Dubai, lavorare per lui è stato importantissimo. Ascoltare le sue parole, quelle di Sabatini e dei nostri tecnici mi ha permesso di crescere e di imparare come svolgere questo mestiere. Per quanto riguarda l’alimentazione e l’allenamento non ho cambiato molto rispetto a prima, sto semplicemente più attento».
Ragazzo spigliato e sorridente, ama da­re spettacolo in bici e non solo, in­fatti si concede super volentieri ai tifosi e si racconta a cuore aperto. Nella nostra prima chiacchierata, sapendo di avere a che fare con una testata italiana, ci ha subito rivelato l’origine del suo no­me.
«Mi chiamo Fabio per Fa­bio Ca­sar­­telli. Lo sfortunato corridore italiano è manca­to nel 1995, io sono nato il 31 ago­sto 1996 e i miei genitori, molto ap­passionati di ciclismo, hanno voluto onorarlo dandomi il suo nome. L’idea è venuta a mia mamma e ne sono felice. Quest’an­no sono stato al Tour ospite della tv olandese proprio il giorno in cui la corsa è passata dalla discesa del Portet d’Aspet e il mio compagno Phi­lippe Gilbert è caduto, la curva appena prima di quella di Casartelli, una coin­cidenza da brividi. C’erano i genitori di Fabio in Francia e ho avu­to modo di conoscerli. È stato campione olimpico, aveva davvero una gran classe, sono onorato di chiamarmi come lui».
E come lui ha talento da vendere.
«Ho iniziato con il calcio, come qualunque bambino in Olanda, ma non ac­cettavo la sconfitta, mi arrabbiavo molto così i miei genitori hanno pensato che uno sport più individuale avrebbe potuto fare di più al caso mio. Allora ho iniziato pattinaggio su ghiaccio, sport che ha praticato da ra­gazzo mio papà, e poi verso i 10-11 anni è arrivato il ciclismo nella mia vita. Dalle mie parti c’erano tante corse per i ragazzini e ben presto mi sono appassionato. La prima l’ho di­sputata a 8 anni con una bici “normale”. Era una Dikke Banden Race, in Olanda chiamiamo così le gare scolastiche a cui i bambini partecipano con bici da passeggio o bmx. Arrivai se­condo e chiaramente mi arrabbiai. Da quel muso, che tenni per qualche ora, è scattata la scintilla. E adesso sono qui con la Quick Step Floors a festeggiare una stagione record».
Il momento più bello?
«Non dimenticherò mai la mia prima vittoria tra i professionisti, la Nokere Koerse in Belgio, da lì in poi è andata sempre meglio. Sono stato fortunato a non ammalarmi né ad incappare in infortuni, ho forse accumulato qualche secondo posto di troppo ma non pos­so assolutamente lamentarmi. La cor­sa in cui ho fatto più fatica è stato il Cri­terium du Dauphiné, dove sono stato co­stretto al ritiro. Voglio diventare più ve­loce e più forte per resistere meglio alle salite, soprattutto in vista dei gran­di giri. L’anno prossimo non pen­so ne disputerò ancora, ma dalla stagione successiva sì, quindi devo essere in grado di scollinare senza morire di fatica. Sarà una sfida. Per il 2019 punto a vincere ancora di più sia personalmente che con la squadra. Lavorare al fianco di Elia Viviani e Fernando Gaviria mi farebbe piacere, far parte del loro treno mi aiuterebbe senz’altro a migliorarmi».
Cresciuto ammirando Tom Boonen e Niki Terpstra sogna di vincere un giorno sugli Champs Elysées. Il traguardo più famoso al mondo.
«Probabilmete ripartirò da Dubai e Abu Dhabi, ma la squadra non ha an­cora deciso il mio programma. Il prossimo anno vorrei disputare la Kuurne-Bruxelles-Kuurne, mi piacciono le classiche di primavera, quella potrebbe essere la più adatta per le mie caratteristiche, sarebbe bello allenarsi in inverno pensando già ad una corsa così importante».
Dopo il team mee­ting in Bel­gio di fine ottobre, è sta­to in Flo­rida in vacanza con la fidanzata Delore, che ogni tan­to si allena con lui, e disputa qualche ga­ra, ma non a livello professionistico.
«Il tempo libero lo trascorro con la famiglia e gli amici. Ho una sorella, Marloes, di 17 anni, che spesso è una rompiscatole (a quell’età chi non lo è? dice ridendo, ndr), alla quale voglio un mondo di bene. I miei genitori, lavoro permettendo, mi seguono quando corro vicino all’Olanda, in Belgio, Francia o Germania. Papà Thijs lavora in un’azienda che produce vetro, mentre mamma Sandra è dipendente di una grande società che realizza roulotte e camper. Sono mol­to legato anche ai miei nonni. Ogni volta che sono lontano da casa mi rendo conto di quanto mi manchino i miei cari, così quando torno cerco di stare il più possibile in loro compagnia».
Il 10 dicembre lo attende il primo training camp.
«Ricordo il primo ritiro, un anno fa, quando mi sono ritrovato al tavolo con Gilbert e Terpstra, gente che ho sempre e solo ammirato in tv. Che figata! Al debutto a Dubai è stato bello condividere il gruppo con campioni come Filippo Pozzato, un’icona del ciclismo, uno che ha vinto la San­remo in grande stile, e Vincenzo Ni­bali, un fuoriclasse in grado di aggiudicarsi tutti e tre i grandi giri. Nei ventagli mi ricordo il momento in cui Alexandre Kristoff mi ha passato e io ho superato John Degen­kolb, mi sembrava incredibile di essere finalmente arrivato dove volevo. Ammiro in mo­do particolare Niki Terpstra perché è olandese come me ed è uno dei più grandi corridori per le classiche. Sti­mo anche Dylan Groe­ne­we­gen, un al­tro connazionale giovane e vincente».
Vincente sì, ma - come tanti altri -  Fabio è già riuscito a metterselo alle spalle.

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