Saronni: «Più uniti, piùdecisi, più forti»

di Giulia De Maio

Avrebbe dovuto essere il rivale più ostico per Chris Froo­me al Giro d’Italia, invece è salito sull’ammiraglia ai piedi del Colle del Lys, nella tappa di Bar­do­nec­chia, la terz’ultima, quando era già staccato in classifica di tre quarti d’ora. Un ritiro mai visto prima nei suoi Grandi Giri. Era il 25 maggio. Il giorno in cui Froome ha inventato la fuga vincente più pazza del ciclismo moderno, 80 chilometrio da solo, nata sullo sterrato del Finestre.
Il giorno più nero per Fabio Aru è or­mai un ricordo. La UAE Emirates guidata da Giuseppe Saronni si è stretta attorno al suo gioiello più prezioso e l’ha “ricostruito”. Come accade in Oriente, dove la tecnica Kintsugi è usata per riparare un oggetto rotto  valorizzandone la crepa, così il 28enne sardo è stato curato ed è pronto a tornare più forte di prima.
Intanto, quello tra Giro e Tour de France è stato un periodo di grandi riflessioni in casa UAE.
«I nostri confronti sono sempre schietti, lo è stato anche quello dopo la corsa rosa, non avrebbe potuto essere altrimenti. Nel corso della stagione abbiamo pianificato momenti in cui ci riuniamo per fare il punto della situazione, per valutare cosa è andato bene e cosa non ha funzionato nel periodo ap­pe­na concluso» racconta Beppe Sa­ron­ni, general manager della UAE.
«C’è stata grande umiltà da parte di tutti. Non per difendere il proprio io, ma per capire dove si può migliorare. Fabio ci ha aiutato tanto, è stato il pri­mo a mettersi in discussione, senza di­fendere interessi personali. Ha voluto capire. Nelle due settimane post Giro ho radunato più volte attorno al tavolo tut­te le componenti della squadra: corridori, tecnici, medici, preparatori. Inu­tile nasconderlo, c’è stato un momento difficile, un attimo di smarrimento. Siamo stati tutti sotto pressione. Ma subito dopo c’è stata la volontà e la professionalità di mettersi in discussione, di rivalutare tutto».
E ancora: «A questi livelli non ci sono mai errori che presi singolarmente ri­sultano fondamentali per il rendimento di un corridore, ci siamo accorti che c’erano piccole cose da modificare, che alla fine messe insieme condizionano la prestazione. Dopo valutazioni a livello sanitario e di preparazione, abbiamo apportato dei correttivi che dovrebbero rendere più efficace il lavoro di tutti».
La preparazione, per forza di cose, cambierà. «Fare sempre le stesse cosa è sbagliato. Fabio ha fatto tanta altura, tre ritiri (sul Teide a febbraio e ad aprile prima del Tour of the Alps; sull’Etna a fine febbraio prima della Tirreno, ndr). Troppi. È probabile che questo l’abbia portato a strafare, ad allenarsi sempre di più. Ha fatto altura su altura cercando qualcosa che non ha trovato. Questo lavoro in pratica è andato a mi­na­re il fisico e alla fine ha chiesto il con­to: Aru è arrivato al Giro quasi finito, fisicamente stressato. Dopo attente analisi con tutto il nostro staff, tecnico e sanitario, abbiamo deciso di farlo re­stare a casa, in modo che potesse allenarsi in tutta tranquillità e inserire una corsa in più, il Vallonia. Anche Fabio ha capito che è fondamentale correre di più. Non per il risultato, ma per confrontarsi con gare diverse dalle sue ca­ratteristiche, per respiare l’atmosfera di corsa».
D’ora in poi Paolo Tiralongo, che Fabio ave­va scelto come suo allenatore personale, che ruolo avrà?
«Lui è un direttore sportivo del team e per la preparazione si confronterà con lo staff della squadra, quindi con i preparatori Marangoni e Notari. Ci sarà più lavoro di gruppo e le decisioni sa­ranno collegiali» spiega Saronni.
«In squadra abbiamo tutte le professionalità di cui abbiamo bisogno, solo dopo la Vuelta valuteremo se è il caso di cambiare qualcosa per il prossimo anno, ora è presto. Paolo ha corso al fianco di Fabio, ne conosce carattere e mentalità, il suo aiuto per noi è importante, ovviamente preferiamo che il suo lavoro sia svolto con una maggiore collaborazione: unire le esperienze di tutte le figure di cui disponiamo è una maggior garanzia di successo» ribadisce il manager.
Ripresa in mano la bici il 9 giugno, Aru è ritornato in corsa al Giro di Vallonia, in Belgio, dal 28 luglio al 1° agosto. Una gara utile con strappi e salitelle. Ora lo attende il Giro di Polonia per rifinire la preparazione, prima della Vuelta a España, che ha vinto nel 2015.
Saronni cosa si aspetta dalle tre settimane in Spagna?
«Voglio vedere un Fabio più tranquillo, più sereno, consapevole che ha grandi responsabilità, ma che da queste non venga schiacciato. Dal canto nostro ab­bia­mo fatto un importante investimento per averlo con noi, pretendiamo che sia concentrato e si impegni al massimo, ma non deve accollarsi una pressione esagerata e controproducente. Come ho già detto in più occasioni, vo­glio che corra di più, gareggiare serve a stemperare la tensione, la voglia di fare che c’è attorno a lui e ha lui al centro. Gareggiando di più, ti alleni di più alle corse e ti abitui allo stress in gara, per gestirlo meglio».
Le vittorie di Kristoff e Martin in Belgio e Francia hanno aperto la fase centrale della stagione del team arabo, che al Tour, nonostante la sfortuna, ha festeggiato due bellissime vittorie di tappa.
«Nei mesi scorsi abbiamo penato non poco. Quando ci sono investimenti im­portanti, ti aspetti i risultati, ma nello sport due più due non fa sempre quattro. Abbiamo richiamato tutti ad essere più professionali, ma non c’è un solo motivo per cui le cose stanno andando meglio. Dan Martin era stato sfortunato, tra cadute e problemi fisici. Si merita il successo che ha ottenuto sul Mur de Bretagne perché è preciso, puntiglioso, ostinato. Con più fortuna sono sicuro che avrebbe potuto chiudere anche me­glio nella classifica generale e comunque il titolo di più combattivo del Tour gli rende certamente onore. Alexander Kristoff è stato tra i pochi velocisti che hanno tenuto duro nel corso delle tre settimane, ha colto piazzamenti di prestigio e alla fine ci ha regalato il capolavoro sul traguardo dei Campi Elisi. In vista della Vuel­ta, con il rientro di Fabio, c’è in­teresse e curiosità da parte di tutti, me compreso» aggiunge l’iridato di Goodwood 1982.
«Non ho rimpianti nè rimorsi, gli acquisti dell’estate scorsa erano i migliori che potevamo fare in quel momento. Ricordo i primi due anni di Sky, quando nonostante una grande organizzazione e un budget immenso, gli inglesi non raccolsero ri­sultati all’altezza; un altro esempio eclatante è l’Asta­na, negli ultimi tre anni è stata pe­nultima o ultima tra i team World Tour, e in questa stagione con lo stesso organico o addirittura con nomi meno blasonati, sta vivendo un’annata super. Ve­de­te, due più due nel ciclismo può fare uno  op­pure sei. Quando cerchi il risultato a tutti i costi, difficilmente arriva. Ci siamo abituati, bisogna avere pa­zienza e an­che fortuna. Il po­tenziale che abbiamo emergerà».
Il ciclismo lo insegna: la ruota, prima o poi, gira.

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